Compie oggi 75 anni uno dei principali registi della storia del cinema italiano, Dario Argento. Cinefilo onnivoro durante l’infanzia, critico cinematografico in gioventù e poi regista simbolo del cinema thriller e horror italiano (e non solo), Dario Argento ha riscritto la grammatica estetica del terrore al cinema fin dall’esordio con L’Uccello dalle Piume di Cristallo, imponendosi con uno stile teso e ricercato, capace di trasformare delitti e omicidi in suggestive coreografie nere. Il crescente successo internazionale ottenuto grazie a Profondo Rosso, Suspiria e Phenomena lo ha trasformato nell’Autore per eccellenza del Giallo e dell’Horror all’italiana. Argento unisce da sempre la voglia di spaventare con il desiderio di farsi riconoscere e apprezzare presso il grande pubblico. Un interesse che lo ha portato anche negli anni più recenti a confrontarsi con il mondo dell’arte (La Sindrome di Stendhal), della letteratura (Il Fantasma dell’Opera, Dracula 3D) e dell’occulto (La Terza Madre).
Per festeggiare il regista abbiamo deciso di intervistare il critico cinematografico Edoardo Becattini che ha curato Cuore di Tenebra – Il Cinema di Dario Argento, un volume di recente uscita (edito da ETS), composto da saggi di vari autori* che hanno analizzato l’opera del regista da diverse prospettive .
Cuore di Tenebra prova a riassumere il cinema di uno dei maestri del cinema del terrore. Come si può definire il cinema di Dario Argento? C’è un filo conduttore che unisce tutte le sue pellicole?
Probabilmente Argento amerebbe sentirlo definire come un “cinema perturbante”, data la sua dichiarata passione per Freud e per il lato oscuro dell’inconscio. Ma trovo più interessante la tradizione della “danza macabra” in cui lo ha inserito anche Stephen King. Penso renda più onore alla sua natura di intrattenitore e all’aspetto vitale, dinamico, spettacolare del suo cinema. A questo proposito, a parte il sangue e gli omicidi, credo che un buon filo conduttore stia nel dettaglio nascosto che ossessiona tutti i protagonisti dei suoi film. Il tema ricorrente di una persona che vede qualcosa apparentemente senza importanza e poi non riesce a toglierselo dalla testa rappresenta bene tutto il suo cinema. Allo stesso modo, infatti, i suoi film e le sue immagini sia per chi li odia che per chi li ama, non smettono di vibrare e di muoversi nella testa anche tempo dopo la loro visione. Il cinema di Argento è in questo senso un “cinema curioso”, non solo per le sue anomalie, ma anche per le curiosità e le pulsioni contradditorie che raccontano i suoi film e che suscita nel suo pubblico.
Fin da piccolo il legame tra Argento e la settima arte è stato fortissimo. Qual è il segno più grande che questo regista ha dato e continua a dare al cinema?
C’è un segno culturale e un segno estetico. Il segno estetico ha lasciato da subito la sua impressione su tutti i film, vicini e lontani, italiani e stranieri: l’uso delle soggettive per creare un’identificazione con l’assassino, la trasfigurazione degli ambienti e delle architetture per creare disorientamento e suspense, l’iperrealismo del colore. C’è poi un segno culturale che ha impiegato più tempo a incidersi ma che ha dato un contributo fondamentale, soprattutto in Italia, all’abbattimento della soglia stabilita fra cinema d’autore e cinema d’intrattenimento.
Secondo lei perché Dario Argento è sempre stato più apprezzato dalla critica estera rispetto a quella italiana?
Perché all’estero hanno cominciato a scardinare ben prima di noi questa stessa muraglia, a lavorarne le fondamenta. E perché in Italia la critica, come ha imparato presto lo stesso Argento nei suoi anni da giovane critico, ha troppo spesso giudicato i film in base al loro messaggio etico e al contenuto politico.
Quest’anno si sono celebrati i quarant’anni di Profondo Rosso. Un film-icona, un simbolo, il primo titolo che ci viene in mente quando pensiamo a lui. Dove sta la grandezza di questo film?
Nel perfetto incastro di tutti gli elementi che fanno amare un thriller al grande pubblico. È il suo film più lungo, quello con l’intreccio più complesso, con la colonna sonora più ardita, con ambienti e scenari memorabili e delle sequenze d’omicidio perfettamente coreografate. Sono uno per uno tutti gli elementi che fanno grande un thriller e lui li ha saputi dispiegare in una misura equilibrata, canonica e al tempo stesso ardita e innovativa.
La scorsa settimana si è spento Wes Craven, un altro grande regista che riusciva ad esprimere l’inconscio e le paure profonde con il suo cinema. Secondo lei ci sono punti di contatto tra le sue opere e quelle di Argento?
Senza dubbio nella fascinazione per il mondo dei sogni e nel cercare di dare corpo agli incubi più ricorrenti di ognuno di noi. La differenza, però, è che Argento è molto più legato a una concezione moderna del fare cinema: artigianale, autoriale e “artistica” nel senso della ricercatezza e del manierismo. Craven, al contrario, ha sempre lavorato oltre ogni principio di autorialità, riflettendo molto di più sulle impurità dell’inconscio, sul fatto che i veri mostri non sono innati, ma sono i figli del nostro immaginario culturale.
In conclusione le chiedo un suo personale podio. I tre film del regista che ha apprezzato di più.
Escludendo Profondo Rosso e Suspiria, che restano secondo me fra i migliori film mai realizzati nel cinema horror e thriller globale, direi Quattro Mosche di Velluto Grigio, Tenebre e l’episodio Il Gatto Nero di Due Occhi Diabolici. Ma non sono mai stato bravo a fare classifiche.
Intervista di Giacomo Aricò
* Cuore di Tenebra – Il Cinema di Dario Argento contiene gli scritti di: Edoardo Becattini, Claudio Carabba, Valentina D’Amico, Donato De Carlo, Federico Ferrone, Diego Garufi, Caterina Liverani, Marco Luceri, Daniel Montigiani, Luigi Nepi, Ranieri Polese, Gabriele Rizza, Giovanni M. Rossi, Chiara Tognolotti, Massimo Tria, Elisa Uffreduzzi, Marco Vanelli.