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Cupa ma vitale, Donatella Finocchiaro è L’Accabadora di Enrico Pau

Sarà al cinema dal 20 aprile L’Accabadora, il film diretto da Enrico Pau ambientato nella Sardegna anni ’40 del secolo scorso, in tempo di Guerra. Protagonista della storia è Donatella Finocchiaro, affiancata da Barry Ward, Sara Serraiocco, Anita Kravos, Carolina Crescentini.


Cagliari negli anni ‘40 è già una grande città per chi giunge da un piccolo villaggio. Annetta (Donatella Finocchiaro) vi arriva nei giorni in cui l’Italia sta entrando in guerra e gli Alleati iniziano a bombardarla. È una donna di circa trentacinque anni, sempre vestita di nero, solitaria e silenziosa, d’una bellezza di pietra tipica delle zone più arse della Sardegna. A Cagliari nessuno sa nulla di questa donna che sembra custodire nel suo passato un terribile segreto. Dice di essere in cerca della nipote Tecla (Sara Serraiocco) e trova lavoro e alloggio presso una famiglia altolocata che le lascia in custodia una grande villa e abbandona la città per sfuggire alla guerra. Proprio durante un bombardamento, nella concitazione della fuga verso il rifugio, Annetta intravede Tecla uscire dal portone di una casa di tolleranza.

Le offre aiuto ma la ragazza sembra preferire quella vita umiliante piuttosto che accettare qualcosa da lei. La frattura tra loro risiede nel passato di Annetta: un passato fatto di solitudine, dolore e morte perché lei, per tutti, era l’Accabadora, colei che dà la “buona morte” ai moribondi che la richiedano, un ruolo tramandatole un tempo dalla madre. La sua nuova vita nella grande città, sgravata ormai dell’antico ruolo, la porta a scoprire di essere una donna capace di avere curiosità per la vita, di vivere il sentimento dell’amicizia e forse dell’amore. Ma la guerra e la distruzione porteranno Annetta davanti a una difficile scelta: riprendere i suoi antichi abiti di Accabadora o concedersi di vivere la vita?

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L’Accbadora

Enrico Pau con L’Accabadora, ha voluto “esplorare gli angoli più nascosti della realtà, gli angoli dimenticati, dove scorrono vite invisibili, dimenticate dalla Storia”. Annetta è uno di questi esseri umani la cui esistenza trascorre dentro un microcosmo “arcaico” (nel senso etimologico di cosa arcana, dimenticata). Questa distanza siderale di Annetta dal mondo, dalle sue luci, questo suo nascondersi nell’ombra, negli angoli della vita non è una scelta. In questo senso Annetta è inizialmente un personaggio tragico, le traiettorie della sua vita paiono disegnate al di là della sua volontà, il destino l’ha collocata in un luogo remoto, la sua vita è segnata dalla tradizione, dai riti di un mondo oscuro, per svolgere il ruolo di Accabadora che sua madre le ha trasmesso e la comunità le ha richiesto.

Annetta vive in questa dimensione abitata da un distacco quasi sciamanico dal mondo, nasconde o meglio ignora i suoi sentimenti, ha acquistato tutta la durezza di cui aveva bisogno per svolgere il ruolo di Accabadora, per dare la buona morte. Eppure Annetta, come l’abbiamo immaginata, è lontana anni luce dallo stereotipo di Accabadora che la tradizione popolare e i pochi studi esistenti, ci hanno raccontato: una donna anziana, esperta di medicina naturale, capace di dare la “buona morte” ai malati terminali, in un mondo arcaico in cui, in mancanza di cure, esisteva, forse, la tacita accettazione per questa forma di pietas istintiva.

Donatella Finocchiaro con Carolina Crescentini

Donatella Finocchiaro con Carolina Crescentini

La nostra Annetta è invece una donna ancora giovane e bella, a cui la madre ha imposto i segreti del rito con cui portare i malati alla fine delle sofferenze e dell’agonia. Ma questa condizione, come lei chiaramente dirà, l’ha sepolta, ancora bambina, in una fossa. Vive sepolta come fosse i suoi morti, accompagna i movimenti sotterranei della sua anima la presenza del suo primo “accabato”, per tragica fatalità proprio un bambino affetto da un male che fu endemico nella nostra isola: l’anemia mediterranea. Perché quella di Annetta è una vita non vita, una vita che deve avere a che fare continuamente con la morte.

Ma, a differenza delle figure tradizionali, Annetta è abitata anche senza saperlo da un desiderio vitale di luce, di contatto, di amore e troverà proprio nel fallimento del suo ruolo tradizionale la forza di cambiare il suo destino. L’unica verità che ha guidato Enrico Pau è quella del personaggio: “non avevamo nessuna intenzione di recuperare una verità storica o antropologica. E la cosa più interessante che può succedere a un personaggio è la rottura del suo equilibrio, da lì si genera tutto. Per questo abbiamo colto Annetta in un momento di passaggio: è una cosa che riguarda soprattutto la sua vita, il suo passare da una condizione a un’altra, da un mondo sospeso, nelle sue forme immutabili, all’incertezza, all’indeterminatezza di una nuova condizione che comprende un valore inesplorato per lei: l’amore, nelle sue tante forme”.

Barry Ward e Donatella Finocchiaro

Barry Ward e Donatella Finocchiaro

Annetta diventa una donna moderna nel passaggio dalla campagna alla città. Ma negli anni ‘40 anche la città sta vivendo un cambiamento enorme: Cagliari in modo paradossale sta vivendo il passaggio verso la modernità. La guerra ha portato il cambiamento nella sua forma più tragica: la distruzione attraverso le bombe, prodotto all’epoca di sofisticata tecnologia. “Queste ragioni narrative hanno guidato il nostro desiderio di dare al film una forma capace di restituire tutte queste suggestioni – continua Pauil mondo arcaico andava raccontato nella sua fissità, in questo senso è stato affascinante il lavoro di ricostruzione che doveva rispondere alla qualità materica del mondo arcaico in cui vive la prima Annetta”.

Per Enrico Pau questo film “nasce dal desiderio di pormi davanti al tema del passato della nostra terra. Per affrontarlo ho voluto tornare indietro ai giorni dei bombardamenti della nostra città, per dare forma ai racconti di mia madre che era bambina sotto quelle bombe. La città in quel tempo era vista dalla campagna come qualcosa di lontano, gli abitanti del Campidano, la pianura che la circonda, ammiravano Cagliari, la vedevano come a qualcosa di bello e lontano dalla vita dura e ostile delle campagne”.

Annetta

Annetta

La guerra, le distruzioni, costrinsero però molti cagliaritani a lasciare la città, le sue comodità, i suoi caffè, i suoi cinema, i suoi teatri, la sua vita frenetica, per cercare riparo nella campagna: “decine di migliaia di cagliaritani sfollarono – conclude il regista – ma qualcuno rimase a tenerla in vita, e a costoro il film è dedicato”.

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