Chissà che penserebbe Babette di tutta questa esplosione di programmi e film (oggi esce al cinema Chef – La Ricetta Perfetta) sulla cucina. Chi è Babette? È il personaggio francese protagonista de Il Pranzo di Babette, il film di Gabriel Axel ispirato all’omonimo racconto di Karen Blixen che vinse l’Oscar nel 1988 nella categoria dei film stranieri. Una storia indelebile e toccante, ambientata nella fine dell’Ottocento in un villaggio danese. Più precisamente nella casa di due anziane sorelle che hanno passato la loro esistenza lontane da idee di matrimonio in totale dedizione alla piccola comunità religiosa ereditata dal compianto padre, un pastore protestante. A fare la governante è proprio la donna parigina, arrivata devastata dalla Francia, dove le hanno appena ucciso marito e figlio in seguito alla grande repressione della Comune di Parigi.
Le sorelle la accolgono, lei partecipa a tutte le opere di beneficenza. La vita scorre monotona, senza vizi nè brividi, le persone consumano pasti frugali, semplici. Pappette senza gusto, senza sapore. A cambiar tutto sono, un pò come oggi, i soldi. La lotteria (non le slot), ed esattamente 10 mila franchi d’oro. Babette li vince senza fatica, quasi risarcita dal destino per il dolore della perdita dei propri cari. Invece che scappare da quel posto cupo e depresso, decide di spendere tutto per celebrare il centenario della nascita del pastore padrone. E decide di celebrare la ricorrenza con un pranzo, da qui il titolo della pellicola.
La donna si fa mandare ogni ben di Dio per realizzare un menù ricco e prelibato, cucinato con infinito amore. Tutti i dodici invitati tornano ad assaggiare la vita, in lotta tra pentimento e piacere. Fortissima è infatti per tutta la pellicola, la visione distorta del cibo. Visto come peccato, come minaccia, come errore ed affronto ad una vita tranquilla e retta. I commensali rimangono estasiati e inebriati dalle pietanze. Tra di loro c’è anche un generale che ricorda il Café Anglais di Parigi, dove cucinava uno chef donna che avrebbe fatto perdere ogni traccia di sé. Ricorda tale esperienza come una “avventura amorosa“, in cui il banchetto seduce e dà piacere. Ovviamente lo chef era Babette che torna così ad esprimere la sua arte. Il pranzo si conclude con la frase del generale: “oggi rettitudine e felicità si sono sposate“. I piatti e il vino riescono così scalfire la resistenza di quegli abitanti freddi e dormienti. Si risveglia il palato e torna a scaldarsi il cuore. Riaffiorano ricordi, amori silenziosi e censurati, e si torna a ridere. Il banchetto diventa così qualcosa di sublime e liberatorio, una medicina che torna a far scorrere la vita. Un pranzo-regalo, un momento unico, che fa capire bene il valore del cibo.
Arriviamo così a oggi, più di un secolo dopo. Se accendiamo la tv ci troviamo sommersi di programmi di cucina. Concorrenti giovani, adulti, anche junior. Luci abbaglianti, colori vivi, elettrodomestici che tagliuzzano, tritano, mescolano. Freddi, meccanici, centrifughe in cui gettare ingredienti su ingredienti per poi comporre la pietanza e servirla ben impiattata. Ricette su ricette, per ogni momento, con diversi gradi di difficoltà. Adatte agli esperti, ma anche agli imbranati. In edicola riviste, sul web blog e siti, in tv tanti programmi, tanti talent show, tutti trascinati da un grande successo di audience. Il cibo è il protagonista, ma il suo valore è decisamente diverso.
Le regole del gioco divertono ma sono perverse. Così gli aspiranti chef cucinano, con un timer che incalza sempre, così sbagliano, si agitano e vanno nel pallone. I giudici, spietati, li insultano e se non gradiscono il risultato talvolta buttano anche a terra il piatto. Lo spettatore sorride, al sicuro sul suo divano. Eppure guardare tutta quella quantità di cibo, carne, uova, farina, e chi più ne ha ne metta, sprecata così, beh forse un pochino male fa. Sia per la delicata fase storica che stiamo vivendo, ben diversa dai tempi dell’abbondanza o del boom economico di tanti anni fa. Sia per il rispetto che tutti i prodotti della terra meritano.
Non vogliamo discutere la passione per i fornelli, perché cucinare è una forma d’arte, un atto d’amore. Tutti i programmi di ricette intrattengono e insegnano (sebbene una quantità così grande rischia di annoiare e, ancor peggio, nauseare), e soprattutto aprono un ponte con la Danimarca di fine Ottocento. Sul valore del cibo e sul ruolo che ha nella società. Senza ampliare troppo il raggio d’azione, focalizziamoci solo sulla sua esibizione. Un salmone per ogni concorrente, un pollo per ogni concorrente, e così via, al fine di superare delle prove di abilità. Gli occhi guardano e registrano. Sono tempi questi in cui gli italiani tagliano su ogni cosa, cibo compreso. Anche la spesa alimentare ha subito un ridimensionamento. Forse è il caso di non mostrarlo così tanto, per rispetto di chi fatica, di chi ha fame davvero. Lontani dall’essere moralisti, un po’ più vicini però alle tradizioni culinarie così importanti del nostro Paese. Secolari, sacre, tramandate da generazioni, da mani capaci, umili.
I campi coltivati, i contadini, le vecchie cascine. Una candela, un fuoco, la neve che scendeva fuori. Adulti e piccoli insieme, che in fondo avevano quello conta: una famiglia, un tetto, un pasto. Certi sprechi sono un insulto alla vita, anche se fanno ascolti, anche se fanno sorridere. Il cibo è di tutti, le torte in faccia ora non fanno più ridere così. Il Pranzo di Babette invece è un messaggio ancora valido, alla riscoperta dei valori della famiglia, dello stare insieme, del celebrare una data importante. Come spiega Babette nel film, quando le chiedono come mai ha scelto di non tornarsene in Francia dopo aver vinto la lotteria spendendo tutto per il pranzo: “ogni artista non è mai povero”. Sta tutta qui l’arte, non quella che ti fa inseguire fama e frivolezza, ma quella che sfama appetito e spirito.
Giacomo Aricò