Dopo aver trionfato a Cannes, arriverà domani nei nostri cinema Winter Sleep – Il Regno d’Inverno, la monumentale opera di Nuri Bilge Ceylan premiata con la Palma d’Oro. Lunghissimo (tre ore e venti minuti circa) ma scorrevole, quasi ipnotico, molto curato nella messinscena. Un film esistenzialista, fitto di dialoghi filosofici sulla vita: è la parola che prevale sull’azione.
Aydin (Haluk Bilginer) è un attore che, dopo essersi ritirato dalle scene, gestisce un piccolo albergo nel cuore dell’Anatolia insieme alla giovane moglie Nihal (Melisa Sözen), con la quale ha un rapporto difficile e distante, e alla sorella Necla (Demet Akbağ), che ancora soffre per il recente divorzio. In inverno, mentre la neve inizia a ricoprire la steppa, l’albergo diventa il loro rifugio, ma anche il teatro delle loro lacerazioni.
Riproponiamo di seguito un estratto dell’intervista a Nuri Bilge Ceylan realizzata lo scorso maggio a Cannes da Michel Ciment e Philippe Rouyer e pubblicata su Positif (luglio/agosto 2014).
Com’è nata l’idea di girare un film tra le scogliere della Cappadocia?
Mi sono ispirato a tre brevi racconti di Cechov. Ho avuto questo progetto in mente per 15 anni. Non voglio dire che storie ho scelto, per evitare di guidare la lettura del film, ma per chi conosce bene il lavoro di questo scrittore non sarà difficile trovare il materiale sorgente. Abbiamo cambiato molto la storia, aggiungendo alcune cose. Inizialmente non volevamo girare in Cappadocia, perché era un posto troppo bello per questo film. Ma non siamo riusciti a trovare un hotel in qualsiasi altro luogo che fosse stato fuori dal mondo e in cui abbia potuto mettere i miei personaggi. Inoltre cercavo un posto con dei turisti e in Cappadocia le persone vengono anche in inverno. Quando abbiamo finalmente trovato il posto dove volevamo girare la nostra storia, la storia stessa ha iniziato ad evolversi.
La gente ha menzionato Il Giardino dei Ciliegi come sua fonte di ispirazione.
Non l’ho mai pensato. Non c’è una connessione diretta, ma dal momento che tutti I lavori di Cechov vertono sulle stesse tematche, Il Giardino dei Ciliegi non fa eccezione.
Il nome dell’hotel, Othello, i poster di Caligola di Camus, e di Antonio e Cleopatra di Shakespeare che si vedono nell’ufficio di Aydin potrebbero essere altri indizi?
Non proprio, ma dal momento che il personaggio principale è un ex attore, non è sorprendente che ci siano alcuni manifesti teatrali nel suo posto di lavoro. Sono poster che gli appartengono, rappresentazioni teatrali in cui è comparso. Haluk Bilginer è un noto attore in Turchia, quindi è logico che il personaggio che interpreta, che gestisce un albergo, abbia scelto il nome di un eroe di Shakespeare.
Hai lavorato alla sceneggiatura con tua moglie Ebru. Com’è stato lavorare con lei?
Scriviamo insieme già a partire da Il Piacere e l’Amore. Prima ci concentriamo sulla costruzione del racconto, poi scriviamo il dialogo. Il tempo impiegato a scrivere dura meno rispetto a quello trascorso a discutere! Dal momento che sono il regista, voglio avere l’ultima parola, ma Ebru trova sempre il modo di convincermi su quale sia il dialogo giusto. Le nostre discussioni proseguono anche dopo che il film è uscito. Se un giornalista critica un aspetto del film su cui lei non era d’accordo, lei mi dice che aveva ragione: per questo devo trovare un articolo che sposa il mio punto di vista!
Che qualità porta Ebru alla vostra scrittura?
Lei è particolarmente brava a scrivere la trama. Quando abbiamo lavorato su C’era una Volta in Anatolia, è state lei a risolvere la maggior parte dei problemi. Penso che sia anche più spietata di me quando si tratta di giudicare il nostro lavoro. Lei è una persona molto realista e questo aiuta molto nella scrittura di un film.
Il fatto che il film abbia più dialogo del solito, ha cambiato la vostra scrittura?
Abbiamo avuto alcuni dubbi mentre stavamo scrivendo la sceneggiatura e ci siamo chiesti se il pubblico avesse accettato questo dialogo molto letterario, che non rappresenta invece un problema in teatro.
Winter Sleep ha qualche similitudine con Il Piacere e l’Amore, che dipinge il ritratto di una coppia, e che è venuto dopo due film che potrebbero essere classificati come thriller noir, Le Tre Scimmie e C’era una Volta in Anatolia. All’inizio avevi davvero intenzione di dirigere un film di 196 minuti, una sorta di storia epica?
Quando abbiamo finito di scrivere la sceneggiatura, avevamo capito subito che cosa stava per accadere, perché aveva 163 pagine, rispetto alle 96 di C’era una volta in Anatolia! Ma non era molto importante per me. Penso che ho bisogno della stessa libertà di un romanziere che, quando scrive, non sa quante pagine il suo romanzo dovrà avere. Queste sono solo preoccupazioni commerciali che limitano i registi a fare film lunghi in media 90 o 100 minuti. Ma non ci ho pensato e ci siamo imbarcati in questa avventura.
C’è una sequenza che esce un po’ dal tono generale del film, in cui Nihal viene ad offrire dei soldi per Ismail, padre alcolizzato del bambino, che poi brucia il fascio di banconote come in un famoso capitolo de L’Idiota di Dostoevskij.
Per me, il personaggio di Ismail non è molto realistico. Io lo vedo come più utopico. Abbiamo voluto che fosse così, che vive in un altro mondo, e abbiamo pensato che questa sequenza fosse necessaria per insegnare una lezione Nihal. Mi piace molto questa scena intrisa di utopia, per mostrare meglio il realismo di tutto l’insieme. In Dostoevskij, potete anche trovare questo tipo di contrappunto.
Come vede i personaggi femminili in relazione a Aydin? Sembrano più solide e meno illuse rispetto a lui.
Quando ho scritto questi forti ruoli femminili, ho tratto ispirazione dalla mia infanzia, perché ho vissuto con mia zia e le sue due figlie che erano in quella topaia. Gli uomini non erano spesso a casa. Sarebbero potuti andare e venire e queste donne avrebbero dato loro una parte di loro. Questo mi ha ispirato molto.
Fitzgerald ha scritto che la vita è un processo di scomposizione. Nella scena della bevuta, si ha la sensazione che Aydin stia cadendo a pezzi dopo un lungo processo che vede la sua maschera cadere.
È vero, ma mi vorrei aggiungere che Aydin doveva essere realmente distrutto in modo che potesse ricominciare da capo. Penso che nella vita succeda spesso così: si deve toccare il fondo con un processo di distruzione per poi cambiare la propria esistenza. Ecco perché siamo arrivati a questa scena in cui si annega nell’alcol. Aydin deve poi trovare un po’ di orgoglio per avere la forza di tornare a casa e, infine, scrivere la sua Storia del teatro turco. Alla fine, c’è la possibilità di fare le cose con Nihal, ma non possiamo essere certi che pronuncia davvero quelle parole. Eppure, allo stesso tempo, con quelle parole butta tutta la responsabilità sulle spalle di sua moglie.
Come mai ha scelto di usare la sonata numero 20 di Schubert, presente anche in Au Hasard Balthazar di Robert Bresson?
Abbiamo sentito e provato molti pezzi ma abbiamo optato per la sonata perché Schubert nel suo componimento usa lo stesso tema e interviene solo con lievi modifiche e variazioni infinitesimali. Si tratta di un brano molto noto e facendo alcune ricerche ho scoperto che anche Bresson lo aveva usato. Non mi sono però preoccupato di questo.
Dall’asino in Balthazar al cavallo di Winter Sleep?
In turco, Cappadocia significa “terra dei bei cavalli”. Ci sono molti cavalli selvatici magnifici nella regione: era impossibile non includerli nella storia. Non hanno alcun contatto con l’uomo e, non appena catturati, non smettono di lottare per la loro libertà. Erano perfetti per il mio film.
Nelle due scene grandi scene centrali (quella tra Aydin e sua sorella e quella tra Aydin e sua moglie, girate in campo/controcampo), si ritrova la stessa intensità dei film di Bergman. Egli sembra essere più di una influenza qui rispetto a Cechov.
È vero, nella storia del cinema, Bergman è un maestro nel descrivere conflitti all’interno coppie e regolamenti di conti, e lui è uno dei miei registi preferiti. Non volevo cercare una forma diversa per queste due sequenze: ho scelto uno stile più semplice possibile per far emergere questo confronto tra i due personaggi. Qualsiasi altro approccio avrebbe minato l’emozione di questi duelli. Ho girato con una sola telecamera, ma ho fatto un sacco di riprese.