Diretto da Daniel Espinosa, è da oggi al cinema Life – Non Oltrepassare il Limite, un agghiacciante thriller fantascientifico che ha come protagonista il trio formato da Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson e Ryan Reynolds.
Life – Non Oltrepassare il Limite è incentrato su una squadra di scienziati a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, la cui missione si tinge di autentica paura quando si scopre che una forma di vita in rapida evoluzione, causa dell’estinzione della vita su Marte, sta minacciando la squadra e la vita stessa sulla Terra.
L’approccio scelto per Life è stato quello di realizzare un thriller con una storia basata su fatti che potremmo tranquillamente trovare nei titoli di un quotidiano oggi: “la sceneggiatura aveva un fortissimo livello di realismo e trasmetteva tensione costante – afferma Ryan Reynolds – il film inizia come fosse la storia di una scoperta nello spazio e poi si tinge di tensione crescente man mano che restiamo in contatto e conosciamo sempre meglio questa ‘cosa’ portata a bordo della Stazione Spaziale Internazionale”.
Il regista Daniel Espinosa dice che prima di essere chiamato a girare Life, aveva sempre prestato attenzione al modo in cui i suoi eroi cineasti avevano approcciato la fantascienza: da Ridley Scott in Alien, a Stanley Kubrick in 2001: Odissea Nello Spazio, ad Andrei Tarkovsky in Solaris. “Credo che il motivo principale che ha spinto tanti grandi registi ad intraprendere un percorso nella fantascienza fosse il forte desiderio di lavorare con l’ignoto, che fosse la paura o il fascino dell’ignoto – osserva il regista – viviamo in un mondo fisico e materiale mentre nello spazio ci si trova catapultati in un’avventura a parte. Non ne conosciamo le sembianze, non sappiamo cosa si prova, né cosa possa farci o dove si trovi. Non ci sono rumori. E tutto questo è agghiacciante”.
Dopo aver letto il copione del film, Espinosa ha subito intravisto la possibilità di attingere al lavoro delle sue icone, mettendo a punto allo stesso tempo un film che avrebbe portato la sua firma personale: “la sceneggiatura era più propriamente un film di fantascienza realistico, direi un film basato su una realtà scientifica.” Sottolinea Espinosa rimarcando il fatto che gli scienziati hanno di recente avuto prova della presenza di acqua su Marte, come hanno scoperto migliaia di esoplaneti che ruotano intorno ad altre stelle ed hanno persino risvegliato microbi di 50 mila anni ibernati in cristalli.
“Trovare vita su altri pianeti è chiaramente molto emozionante e credo che siamo più vicini ad un momento del genere di quanto non crediamo” – afferma Paul Wernick, co-sceneggiatore con il suo socio Rhett Reese. Gli sceneggiatori si sono chiesti cosa accadrebbe se degli astronauti scoprissero una nuova forma di vita. Soprattutto si sono domandati – come sempre accade anche con la migliore delle intenzioni – cosa accadrebbe se questo organismo fosse stato studiato ed esaminato in maniera sperimentale, a tal punto da renderlo ostile: “questo avrebbe dato al film una tensione tremenda, rendendo la storia un horror, più che fantascienza, però ambientato sulla SSI, in totale assenza di gravità”.
La creatura aliena del film è a se stante e viene condizionata da quanto gli accade intorno: “credo che quello che spaventa sull’idea di scoprire una vita extraterrestre sia che non sappiamo quali siano le sue intenzioni, se sarà amichevole o ostile, se la sua intelligenza sarà elevata o bassa, se ci sfrutterà o se sarà sfruttata da noi – osserva la Reese – credo sia una paura realistica e ben fondata. Stephen Hawking ha scelto di raccontare quel che potrebbe accadere se un organismo extraterrestre non fosse amichevole e non avesse le migliore intenzioni nel confronti dell’umanità”.
Reese e Wernick hanno pensato ad una creatura aliena originale: “abbiamo pensato di creare un alieno che inizialmente fosse un organismo monocellulare. Poi si riproduce tante volte fino a diventare pluricellulare, un organismo complesso capace di sopravvivere nell’ambiente dove si è riprodotto – osserva la Reese – non ha un’intelligenza superiore: è una combinazione di cellule indifferenziate. In questo particolare alieno, ogni cellula svolge tutte le funzioni. Ogni singola cellula di questo organismo ha in sé la funzione di occhio, muscolo e neurone, ed in quanto tale, la creatura è fortemente capace di adattarsi all’ambiente circostante”.
I filmmaker non avrebbero potuto scegliere un ambiente più terrificante dell’angusta Stazione Spaziale Internazionale, dal clima inospitale e privo di gravità, per scatenare questa storia sull’esplorazione dell’ignoto. “La Stazione Spaziale Internazionale è una delle ultime idee idealistiche messe in atto dall’umanità negli ultimi 50 anni – spiega Daniel Espinosa – è uno dei centri vitali dell’umanità e racchiude l’esplorazione e la scoperta dell’ignoto. Il film è un omaggio ed un tributo al coraggio necessario ad incontrare l’ignoto senza paura ed allo stesso tempo, porta in sé la storia dell’umanità. Di fatto, noi uomini non abbiamo incontrato l’ignoto molto spesso. E quindi la questione sarà non tanto cosa farà l’ignoto a noi, bensì cosa faremo noi all’ignoto”.
Jake Gyllenhaal vede nella creatura aliena la chiave di lettura del film: “l’organismo vivente alieno è reale ma è anche una incredibile metafora di quanto potrebbe accadere. La curiosità è uno dei tratti umani più importanti ma temo che cercare ad eccessiva distanza, ambire a troppo, possa diventare un atto di arroganza. E in tal modo, l’organismo vivente è una specie di conseguenza di questo eccesso di curiosità”.
“Se trattiamo male l’ignoto, non pensate che l’ignoto ci tratterà altrettanto male? Se trattiamo l’ignoto con paura, non pensate che l’ignoto reagirà a tale paura”.
Daniel Espinosa