Catherine Deneuve torna sul grande schermo in Quello Che So Di Lei, il film diretto da Martin Provost che sarà al cinema dal 1° giugno. Al fianco della Deneuve, il Premio César Catherine Frot. Il film è la storia dell’incontro di due donne molto diverse accomunate dal bisogno di cambiare, di trovare un senso alla propria esistenza.
Claire (Catherine Frot) è un’ostetrica meravigliosamente dotata, con un talento naturale nel mettere al mondo i neonati con gesti dolcissimi. Ma nel corso degli anni, i suoi modi delicati, il suo senso di orgoglio e di responsabilità sono entrati in conflitto con i metodi più improntati all’efficienza delle moderne strutture ospedaliere. Più vicina alla fine della sua carriera che all’inizio, Claire comincia a mettere in discussione il suo ruolo e la sua professione.
Un giorno riceve una strana telefonata. Una voce riemerge dal passato: Béatrice (Catherine Deneuve), la stravagante e frivola amante del suo compianto padre, ha notizie importanti e urgenti da darle e vuole rivederla, trent’anni dopo essere scomparsa nel nulla all’improvviso. Agli antipodi in tutti i sensi, la super-coscienziosa Claire – che rasenta l’inibizione – e lo spirito libero, amante della vita Béatrice, impareranno ad accettarsi l’un l’altra e, rivelandosi reciprocamente antichi segreti, inizieranno a recuperare gli anni perduti.
Ecco un estratto dell’intervista rilasciata da Martin Provost.
Come le è venuta l’idea di raccontare la storia di un’ostetrica?
Io stesso sono stato salvato alla nascita da un’ostetrica. Mi ha donato il suo sangue e questo suo gesto mi ha permesso di sopravvivere. Ho deciso di renderle omaggio a modo mio, dedicandole questo film, e, attraverso una protagonista ostetrica di tributare un riconoscimento a tutte queste donne che lavorano nell’ombra, dedicando le loro vite agli altri, senza aspettarsi nulla in cambio. Ma con questo film non ho voluto raccontare la mia storia: di fatto, mi è servita solo come pretesto per andare oltre ed entrare maggiormente in contatto con una professione che mi ha sempre affascinato. Dunque ho incontrato numerose ostetriche, in primo luogo per comprendere fino in fondo quello che mi avevano fatto la notte della mia nascita ed è stato così, attraverso le loro risposte, che si è progressivamente delineata la storia di Claire. Ho voluto tracciare il ritratto di una donna al tempo stesso alle prese con la realtà della sua epoca, ma anche con un momento di svolta cruciale nella sua vita personale.
Claire è un personaggio complesso e anche inflessibile…
È una donna impegnata che vive a servizio degli altri. Possiede dei principi e dei valori ai quali si rifiuta di abdicare e questo le fa solo onore. A livello professionale, non è disposta ad accettare i cambiamenti che la società vuole imporle. Il piccolo reparto maternità dove ha sempre lavorato sta per chiudere i battenti per far posto a una ‘fabbrica di neonati’, a una di quelle strutture che stanno fiorendo sempre più numerose in cui la logica del rendimento tende a sostituire il fattore umano. Claire declina l’offerta di lavoro che le viene proposta, rifiuta di scendere a compromessi. È fatta così, è una donna tutta d’un pezzo che conosce il valore della sua esperienza e del rapporto con le pazienti. Il denaro non è una sua priorità, malgrado lo spettro della disoccupazione sia per lei fonte di ansia. Arriverà a dichiarare che è disposta a vendere il suo appartamento piuttosto che piegarsi e prestarsi alla logica del profitto. Nella vita privata si comporta con lo stesso convincimento: suo figlio è da poco andato a stare per conto suo, lei non ha un compagno, ma va avanti dritta per la sua strada, al limite della superbia. L’irruzione di Béatrice nella sua vita cambierà ogni cosa.
Béatrice è l’esatto contrario di Claire, al punto che è difficile a non pensare alla favola di La Fontaine “La cicala e la formica” quando le vediamo insieme. Si tratta di un riferimento intenzionale?
Sì, lo rivendico a tutti gli effetti. Per me, questo film è una favola, ma più dolce rispetto a quella di La Fontaine, che personalmente trovo terrificante. È una favola nella quale cerco di dire che ciascuno di noi ha il dovere di essere al tempo stesso un po’ cicala e un po’ formica. Claire e Béatrice sono radicalmente agli antipodi, ma poco a poco, questa opposizione diventa fonte di complementarità, di scambio reciproco, di saggezza. Ho una grande paura del conflitto, eppure non possiamo sempre farne a meno in quanto spesso ci permette di andare incontro all’altro nella sua diversità. È quello che accade tra queste due donne. Claire vive un po’ troppo nell’ombra e Béatrice torna nella sua vita per portarle un po’ della sua luce. E per Béatrice, che ha sempre vissuto come un elettrone in libertà, è forse l’occasione di comprendere meglio la sua esistenza, di fermarsi finalmente un istante per accettare il fatto che senza gli altri non siamo niente.
In questo senso, il film solleva la questione di sapere cos’è realmente la libertà…
Esattamente. Per me, la libertà è un concetto su cui mi interrogo il più spesso possibile. La libertà non consiste nell’assenza di limiti o di regole, come sembra pensare Béatrice. La malattia che la colpisce rimetterà in discussione il suo modo di essere e di pensare. Quello che lei chiama “libertà” è sempre stato un modo di essere vicino a una forma di fuga, ma all’improvviso non può più scappare, ha bisogno di Claire, è fragile. Ha bisogno di Claire, perché porta dentro di sé quello che Béatrice ha sempre rifiutato scegliendo di vivere in modo leggero, ai limiti della superficialità, ovvero una specie di estrema compassione per gli esseri umani senza difese e vulnerabili. In questo senso, cosa c’è di più simile di un neonato appena venuto al mondo e di un anziano che il mondo sta per lasciarlo? Béatrice, donna-bambina, incantevole, meravigliosa e divertente, crudele a causa della sua leggerezza, si rende finalmente conto di essere prigioniera di se stessa. È troppo tardi, ma le resta ancora un’occasione: offrire a Claire la possibilità di conservare un buon ricordo di lei, perché i morti continuano a vivere dentro di noi, continuano a vivere nella mente delle persone che hanno amato e che li hanno amati. Per Béatrice, è l’ultima forma di libertà possibile. Una delle cose peggiori al mondo è morire soli, senza qualcuno che ti tenga la mano.
Quello Che So Di Lei è anche una storia di trasmissione e il racconto di una trasformazione…
Ciascuna delle due donne colma un vuoto nella vita dell’altra. Claire ritrova la sua seconda madre, colei che un tempo aveva scelto come modello, negli anni in cui stava diventando una giovane donna, e Béatrice ritrova la figlia che non ha avuto. Questo rapporto di filiazione è al centro della storia. Del resto, Béatrice non esita a presentare Claire come sua figlia ai medici che l’hanno in cura e di conseguenza Claire, messa alle strette, abbozza. E quando Béatrice non ha più alcun luogo dove andare, è Claire che le apre la porta del suo piccolo appartamento e quindi della sua vita. Ed è così che il trilocale si trasforma nell’arena in cui andrà in scena tutto quello che la vita non aveva permesso loro fino a quel momento, la possibilità di recuperare il tempo perduto e di riconciliarsi. Insieme, riesumano l’uomo che hanno adorato, ciascuna a modo suo. Per Claire, si tratta di un padre scomparso troppo in fretta e in modo troppo brutale e per Béatrice, si tratta dell’unico vero amore della sua vita. Lasciarsi il passato alle spalle significa compiere il primo passo verso l’accettazione del futuro, l’inizio di una nuova vita per Claire, una fine più serena per Béatrice.