Diane Lane, Arnaud Viard e Alec Baldwin sono i protagonisti di Parigi Può Attendere, un road-movie che segna l’esordio alla regia ed alla sceneggiatura per Eleanor Coppola, moglie di Francis. I costumi del film sono della nostra Milena Canonero.
Anne (Diane Lane) è a un punto di svolta nella sua vita. E’ sposata da tanti anni con un produttore cinematografico (Alec Baldwin) che pensa solo al successo e che la trascura. Improvvisamente, a seguito di una serie di eventi inaspettati, si ritrova a fare un viaggio in macchina da Cannes a Parigi, assieme a un socio in affari del marito (Arnaud Viard). Quello che doveva essere un banale tragitto di sette ore si trasforma in un viaggio alla scoperta di se stessa, grazie anche agli scorci pittoreschi, al buon cibo, all’ottimo vino, tanto humour, alcune perle di saggezza e molto, molto altro ancora.
Lasciamo ora spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata da Eleanor Coppola.
Suo padre è stato un vignettista di satira politica. Ha ereditato il suo talento? Anche lei disegna?
Mio padre era un artista molto bravo… ai miei occhi di bambina. Per questo, avevo paura di disegnare e di dipingere, nonostante mi attirassero moltissimo i colori e le forme. Mia madre m’insegnò a cucire quando avevo sei anni. La cosa che mi piaceva di più fare era andare al negozio da 10 centesimi a comprare le stoffe colorate. Quando andavo al college, pensavo di voler diventare una designer di stoffe, perciò mi diplomai in Design Applicato. Non mi ha mai interessato e non sono mai stata brava nel disegno tradizionale che riproduce la realtà. Pensavo che solo una macchina da presa potesse farlo. Ho scoperto la mia passione per le belle arti quando sono andata assieme a Francis a New York, alla fine degli anni ’60, e vidi le opere di due artisti astratti/minimalisti, che mi cambiarono la vita. Scoprii che potevo essere espressiva senza riprodurre la realtà. E’ da allora che ho iniziato ad amare il disegno e la pittura, principalmente l’arte figurativa astratta.
Nelle sue interviste ha detto che un’impresa artistica non dovrebbe essere diversa o distaccata dalla vita di tutti i giorni. Com’è arrivata a questa conclusione filosofica?
E’ stata una battaglia sin dall’inizio. Quando Francis ed io ci siamo sposati non avevo ancora conosciuto la sua famiglia. Non sapevo ancora quanto lui fosse tradizionalista: Il ruolo della moglie era di prendersi cura dei bambini e di creare un ambiente familiare felice. Inizialmente, ho passato un brutto periodo perché ero uno spirito libero. Col tempo, ho imparato a dedicarmi ai miei progetti all’interno della struttura familiare. Ero come la maggior parte delle donne artiste dell’epoca. Un libro in particolare, scritto da Judy Chicago, ha avuto una forte influenza su di me. Secondo l’autrice le donne artiste dell’epoca si dedicavano all’arte solo quando potevano… sopra alla lavatrice, mentre i figli facevano un pisolino, ecc. E’ stata quella la mia epoca. Facevo quello che potevo, quando potevo. Quando c’è stata la mia retrospettiva d’arte nel 2014/15, ho notato il ripetersi di alcuni temi ricorrenti nelle mie opere, nonostante avessi utilizzato dei mezzi sempre differenti.
Avete mai affrontato un conflitto serio, per questa ragione?
Qualche volta nel corso degli anni Francis ed io abbiamo litigato, ma abbiamo sempre scelto di tenere unita la famiglia. Lui non mi ha mai incoraggiato molto nelle mie imprese artistiche, perché le vedeva come del tempo rubato al mio “lavoro vero”: la famiglia. Era questa la cultura dell’epoca. Sono state altre donne artiste a sostenermi. Parigi Può Attendere ha rappresentato una svolta per me e Francis come coppia. Mentre ero occupata a Parigi nella fase di pre-produzione, lui è venuto a fare un discorso presso la Cinematheque. Siamo andati insieme a conoscere il mio team francese di produzione. A lui è piaciuto molto, e ci ha aiutato a risolvere alcuni problemi difficili dell’ultimo momento. Ha fatto intervenire American Zoetrope con un investimento che ci ha garantito la possibilità di completare il film. Mi ha difeso con i finanziatori quando hanno sollevato delle obiezioni riguardo alcune delle scelte che avevo fatto. Mi ha dato dei consigli saggi, quando ho dovuto affrontare dei problemi che non sapevo come risolvere a causa della mia poca esperienza. E’ stato cruciale per la realizzazione del film.
Quali sono, secondo lei, gli aspetti più importanti della storia?
Michael non è un marito perfetto. Jacques anche non è perfetto. Non volevo mettere in competizione il “cattivo” marito e il francese “favoloso” che avrebbe reso felice Anne, come in una favola. Ho reso il francese “inconsistente”. E’ affascinante, ma spesso le fa delle domande imbarazzanti… la porta in qualche posto incantevole, dove poi però incontrano qualche sua vecchia fiamma. Anne si trova in un momento della sua vita, in cui il figlio è andato a vivere da solo. Lei ha compiuto cinquant’anni ed è più riflessiva. Inizia a rendersi conto che suo marito da solo non le basta, ha bisogno di qualcosa in più per essere pienamente soddisfatta, ma sa che non sarà certo un altro uomo a poter risolvere il suo problema. Perché solo lei può essere l’artefice della sua felicità. Il passo successivo che deve compiere per la sua crescita personale è percorrere un viaggio interiore. Un primo passo verso questa avventura interiore è rappresentato dalle sue fotografie, la sua visione personale del mondo che la circonda. Volevo che il film fosse divertente ma che facesse anche riflettere. Spero che al pubblico piacerà il viaggio compiuto da questi personaggi, e che impareranno a godersi le piccole gioie della vita… come ad esempio un delizioso pomodoro.
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