Dopo essere stato presentato ieri in Concorso al 71° Festival di Cannes, esce oggi al cinema Dogman, il nuovo film diretto da Matteo Garrone che ha come protagonisti principali Marcello Fonte (strepitoso) e Edoardo Pesce. La pellicola è ispirata al delitto del Canaro: un caso di cronaca nera avvenuto a Roma negli anni Ottanta. Si tratta dell’omicidio, in seguito ad efferate torture, del criminale e pugile dilettante Giancarlo Ricci, da parte di Pietro De Negri, detto er Canaro.
Il film
In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l’unica legge sembra essere quella del più forte, Marcello (Marcello Fonte) è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Alida (Alida Baldari Calabria), e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino (Edoardo Pesce), un ex pugile che terrorizza l’intero quartiere. Dopo l’ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall’esito inaspettato.
Matteo Garrone racconta Dogman
“Come è capitato spesso nei miei film, anche all’origine di Dogman c’è una suggestione visiva, un’immagine, un ribaltamento di prospettiva: quella di alcuni cani, chiusi in gabbia, che assistono come testimoni all’esplodere della bestialità umana… un’immagine che risale a oltre dieci anni fa, quando per la prima volta ho pensato di girare questo film. Ma era davvero “questo” film? Difficile dirlo, perché nel tempo Dogman è cambiato insieme a me, diventando un film sempre nuovo, sempre diverso”.
“Alcune delle idee originali sono arrivate fin qui, ma non esauriscono secondo me il senso più profondo della storia che ho voluto raccontare: Dogman, per esempio, non è soltanto un film di vendetta, anche se la vendetta (ma meglio sarebbe chiamarla riscatto) gioca un ruolo importante, così come non è soltanto una variazione sul tema (eterno) della lotta tra il debole e il forte”.
“È invece un film che, seppure attraverso una storia “estrema”, ci mette di fronte a qualcosa che ci riguarda tutti: le conseguenze delle scelte che facciamo quotidianamente per sopravvivere, dei sì che diciamo e che ci portano a non poter più dire di no, dello scarto tra chi siamo e chi pensiamo di essere. In questo interrogarci nel profondo, nell’accostarsi alla perdita dell’innocenza di un uomo, credo sia un film universale, “etico” e non moralistico: anche per questo tengo molto a sottolineare la distanza dal fatto di cronaca che lo ha soltanto liberamente ispirato. Tutto, a cominciare dai luoghi, dai personaggi, dalle loro psicologie, è stato trasfigurato”.
“Un’ultima nota, per sottolineare l’importanza dell’incontro con il protagonista del film, Marcello Fonte. La sua dolcezza e il suo volto antico che sembra arrivare da un’Italia che sta scomparendo, hanno contribuito in modo decisivo a chiarire dentro di me come affrontare una materia così cupa, che per anni mi aveva attratto e insieme respinto, e il personaggio che volevo raccontare: un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente”.