Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Emmanuèle Bernheim, giovedì 13 gennaio nelle sale italiane uscirà È Andato Tutto Bene, il nuovo film diretto da François Ozon con protagonisti Sophie Marceau e André Dussolier.
Il film
André (André Dussolier), il padre 85enne di Emmanuèle (Sophie Marceau), viene ricoverato in ospedale in seguito ad un ictus. Quando si risveglia, debilitato e non più autosufficiente, quest’uomo vitale e curioso, amante della vita, chiede a sua figlia di aiutarlo a morire.
Sophie Marceu racconta…
“Mentre lavoravamo al film mi immaginavo un vecchio indiano d’America che saliva sulla sua montagna per morire. Fa tutto parte di un rituale e qualcuno lo accompagnerà in quel rituale…Io credo che l’eutanasia dovrebbe essere una scelta individuale. Dobbiamo prendere più sul serio il desiderio di morire. Fa parte del nostro patto con la vita. Non dobbiamo abbandonare le persone subito prima che muoiano. Questa storia mi ha mostrato come si possa morire con dignità in un Paese dove è ancora illegale farlo”.
François Ozon
Qui sotto ecco un estratto dell’intervista rilasciata dal regista del film, François Ozon.
Quale è stata la sua reazione quando ha letto il libro?
Mi ha inviato la bozza di stampa e mi sono commosso nello scoprire e nel condividere la sua esperienza con suo padre. Ho amato il ritmo, il tono, l’accelerazione finale, la suspense che lo rende quasi un romanzo giallo e l’ambiguo e ambivalente sollievo delle due sorelle per aver compiuto la loro “missione”. Emmanuèle mi chiese se fossi interessato ad adattare il libro per il cinema. Ero sicuro che sarebbe potuto diventare un bellissimo film ma era una storia talmente sua che in quel momento particolare della mia vita, non riuscivo a vedere come avrei potuto farla diventare mia.
Che cosa l’ha spinta ad adattarlo adesso?
La morte di Emmanuèle, la sua assenza, mi hanno fatto desiderare di essere ancora con lei. E forse anche, a livello personale, mi sono sentito pronto a tuffarmi nella sua storia. Mi è successo spesso con i libri che ho adattato che avessi bisogno di tempo per lasciarli maturare, per scoprire come farli miei. E volevo lavorare con Sophie Marceau. Ho pensato a lei per diversi miei film e ci siamo incrociati spesso ma non siamo mai venuti a capo di nulla. Intuitivamente sentivo che questo era finalmente il momento giusto, il progetto giusto. Così le ho mandato il libro di Emmanuèle di cui lei si è innamorata. E ho iniziato a scrivere la sceneggiatura.
Lei ha esplorato un problema sociale usando un’angolazione intima…
Mi sono focalizzato sull’esperienza personale di Emmanuèle. Il film non diventa mai un dibattito sull’eutanasia. Ovviamente siamo tutti spinti a esplorare i nostri sentimenti e le nostre domande sulla morte ma quello che mi interessava sopra ogni altra cosa era la relazione fra il padre e le figlie. Nel raccontare questa storia ho sentito il grande stress che Emmanuèle deve aver provato nell’affrontare una società che non ci permette di organizzare una morte desiderata in un modo legale e strutturato. Non credo che i figli o i cari della persona che desidera morire dovrebbero caricarsi di questo fardello con il senso di colpa che lo accompagna.
Quanto si è sentito libero di prendersi delle libertà rispetto alla realtà raccontata nel libro?
Naturalmente non era mio desiderio tradire Emmanuèle. Ma avevo bisogno di fare mia la storia. Conoscevo Emmanuèle abbastanza bene da sapere che non si sarebbe offesa e non mi avrebbe censurato. Era generosa nella sua scrittura con una tendenza ad ammorbidire la violenza e concentrarsi sull’umanità e sulla bellezza delle cose.
È da tempo che lei desiderava lavorare con Sophie Marceau.
Sophie Marceau è un’attrice della mia generazione. In un certo senso sono cresciuto con lei e mi ha sempre interessato. Mi è piaciuto filmarla ora che è poco più che cinquantenne. Questo film è una sorta di documentario su di lei allo stesso modo in cui Sotto la sabbia lo è stato su Charlotte Rampling. Non finge mai. È là, presente, accoglie le sensazioni ed esprime la propria sensibilità. In cucina con Serge, alla fine crolla e si rifugia fra le sue braccia. Non avevo scritto la scena in quel modo. Non volevo che piangesse, volevo risparmiare le sue emozioni per la scena della telefonata con la signora svizzera. Ma Sophie ha sentito la cosa diversamente e aveva ragione.
Il film dà la sensazione di essere un diario, scandito da date.
Questa storia è un conto alla rovescia, quindi le date sono importanti. Soprattutto per André. È lui che vuole fissare una nuova data per la sua morte, dopo aver cancellato il primo appuntamento. La sua più grande paura è di perdere il senno e non possedere più l’autodeterminazione richiesta per decidere la propria morte. Le sue figlie non sarebbero più in grado di organizzare il viaggio se dovesse perdere la capacità di prendere la decisione consciamente. Man mano che ci si avvicina al giorno fatidico, sale la tensione: andrà fino in fondo con il suo piano? Cambierà idea?