Presentato al 37° Torino Film Festival e diretto da Peter e Orso Miyakawa, giovedì 24 settembre 2020 esce nelle nostre Easy Living – La Vita Facile è una commedia dai toni malinconici, un racconto di formazione in cui la realtà contemporanea dei migranti di Ventimiglia viene filtrata dallo sguardo di un ragazzino e resa un’avventura. Una storia che ci parla di chi siamo e di chi vorremmo essere, tutta giocata sul filo sottile dell’ironia e con un tocco di speranza e umanità.
Il film
Un ragazzino di quattordici anni, una giovane universitaria che contrabbanda medicine sulla frontiera italo-francese e un bizzarro maestro di tennis americano che sogna di fare il pittore. Le loro vite vengono scombussolate dall’incontro con un migrante clandestino che cerca di passare il confine con la Francia. Siamo a Ventimiglia e tra tennis club, cene consumate a lume di candela e vecchi film visti al cinema, l’improbabile trio composto da Brando (James Miyakawa), Camilla (Camilla Semino Favro) e Don (Manoel Hudec), insieme a Elvis (Alberto Boubakar Malanchino), legati tra loro da un insolito legame di amicizia, affronterà una piccola, grande avventura.
Peter e Orso Miyakawa raccontano…
“Siamo cresciuti passando le vacanze estive a Mentone, sul confine tra la Francia e l’Italia. Un confine che all’epoca quasi non esisteva. Durante la nostra infanzia, la fatiscente struttura metallica anni ‘70 della frontiera rimaneva lì, abbandonata, a pochi passi dal mare, ad arrugginirsi nella salsedine. Dopo il liceo, ci siamo entrambi trasferiti negli Stati Uniti per continuare gli studi. Per qualche anno non siamo più andati a Mentone. Quando ci siamo ritornati, abbiamo subito notato una grossa differenza. Nel periodo della nostra assenza, le crescenti tensioni causate dal terrorismo internazionale, unite a una politica europea basata spesso su interessi nazionali, avevano fatto entrare la Francia e l’Italia in uno stato di grande agitazione“.
“La prima conseguenza riguardava proprio la frontiera. Quell’edificio di confine, rimasto deserto per anni, era tornato alla ribalta, più splendente che mai: esercito francese da una parte, esercito italiano dall’altra, camionette dei militari, perquisizioni. Ventimiglia si è lentamente trasformata in un luogo di attesa e di tensione. Migliaia di migranti hanno cominciato a concentrarsi lì, bloccati, alcuni anche per mesi, nella speranza di riuscire ad arrivare in Francia. Quest’atmosfera di sospensione si è piano piano trasformata in normalità e le dinamiche quotidiane di frontiera (come la differenza di prezzo di medicine, benzina, alcol e sigarette) vi si sono gradualmente adattate. Aver vissuto in prima persona il cambiamento di un luogo che conosciamo tanto bene, ci ha fatto venire voglia di raccontarlo in un film. Ma, ci siamo chiesti, un film che tratta di argomenti così gravi, urgenti e drammatici, dev’essere per forza una tragedia?“.
“Abbiamo notato spesso, in questi anni carichi di conflitti ideologici, come i film che trattano l’argomento dell’immigrazione clandestina siano quasi sempre intrisi di dramma, tragedia, accuse e sensi di colpa. Indubbiamente, tutto questo può essere utile a rappresentare il dolore e la difficoltà nella quale versano queste vite. Non sempre però, secondo noi, giocare sui sensi di colpa di chi guarda, aiuta a creare empatia. Anzi, spesso finisce per allontanare il pubblico dal soggetto. Nel nostro film, abbiamo provato ad approcciare il tema dell’immigrazione in maniera leggermente diversa“.
“Abbiamo creato il personaggio di un migrante, ma con l’intenzione che non facesse semplicemente pena. L’abbiamo reso figo, l’abbiamo chiamato Elvis Presley e l’abbiamo fatto andare in giro con occhiali da sole e camicia hawaiana. Così che agli occhi di un ragazzino non suscitasse solo compassione, ma anche ammirazione. In questa storia, personaggi con vite, età, background e problemi molto diversi tra loro si ritrovano ad avere un obbiettivo comune: Aiutare un immigrato clandestino a varcare il confine. Non per beneficenza, ma per amicizia“.