A poco meno di un mese dalla morte di Peter Fonda, da lunedì 9 settembre la Cineteca di Bologna riporta al cinema – nel 50° anniversario dell’uscita – il mitico Easy Rider, la pellicola che vide protagonista il compianto attore al fianco dell’allora esordiente regista Dennis Hopper. Era il 1969 e Easy Rider – che torna in sala nella versione restaurata per il progetto Il Cinema Ritrovato – segnò un’intera epoca, proponendo nuove idee per nuove platee. Nel cast anche Karen Black, Luana Anders e un giovane Jack Nicholson nel ruolo che lo ha lanciato verso il successo e che gli fece ottenere una nomination agli Oscar del 1970 come Miglior Attore Non Protagonista.
Easy Rider
Capitan America (Peter Fonda) e Billy (Dennis Hopper), a bordo dei loro chopper, le Harley Davidson rese celebri dal film, sono in viaggio tra la California e New Orleans. Lungo il tragitto incontreranno di tutto: compresa la morte. La pellicola, premiata come Miglior Film per un Regista Esordiente al Festival di Cannes del 1969, ottenne, oltre a Nicholson, anche la nomination agli Oscar 1970 per la Miglior Sceneggiatura, scritta a sei mani dagli stessi protagonisti Peter Fonda e Dennis Hopper, entrambi supportati da Terry Southern.
Manifesto di un’epoca
Manifesto di un’epoca, in Easy Rider troviamo la musica e le immagini dell’utopia degli anni ’60. Quintessenza del road movie e sintesi della cultura hippy, un viaggio nella decadenza dell’American Dream, nei nuovi sogni ribelli, tra donne, sesso, motociclette, stupefacenti e ottima musica rock. Poi c’è anche una sottile trama con una morale, che trova la sua perfetta sintesi alla fine del film. E lascia un terribile amaro in bocca. Indie fino al midollo, costò due lire e incassò milioni diventando il film-bandiera di un’intera generazione.
Un film entrato nel mito
Tratto da Dennis Hopper: Easy Rider (Lindau 2000) di Giampiero Frasca.
“Easy Rider si è trasformato nell’immaginario collettivo in un vero e proprio fenomeno di costume, un mito che ha prodotto diversi e pericolosi tentativi di emulazione nei giovani che nei vari periodi si sono succeduti. Come sostiene, tra gli altri, Franco La Polla, il grande merito di Hopper è stato infatti quello “di miticizzare la tematica giovanile, di renderla, sì, indicativa, rappresentativa di una problematica americana contemporanea, ma al tempo stesso di farne una tavolozza mitologica“. A questo risultato ha indubbiamente concorso la fusione dei grandi motivi in voga nel periodo (la controcultura, la droga come concetto di liberazione dai vincoli, l’abbandono di una società in cui non ci si rispecchia, la musica rock, la sfiducia e la critica al sistema) con il tema per eccellenza della cultura americana, quel viaggio che da Huckleberry Finn fino a Sai Paradiso, passando per tutta un’epopea western alla quale il film non è indifferente, aveva popolato pagine indimenticabili della letteratura a stelle e strisce”.
“Easy Rider utilizza il viaggio non come momento di ricerca dell’essenza americana (Wyatt e Billy non cercano niente, come Kerouac si muovono e basta) ma come incontro con le sue varie mentalità, differenti culture, elevate contraddizioni, dandone un’immagine certamente non completa ma sintomatica del pensiero del periodo. Si tratta di un film che ha indubbiamente segnato un’epoca, rimanendo indelebilmente impresso nel costume non solo degli Stati Uniti ma di una porzione cospicua dell’intero globo. Perché, all’interno di una certa ontologia leggendaria, “ci sono film che contano assai di più del loro reale valore. Easy Rider è uno di questi” (Lee Hill). Eppure era nato tutto da un semplice viaggio, iniziato a Los Angeles lucidando un paio di choppers e conclusosi oltre i vili spari degli intolleranti rednecks, trascendendo la pura orizzontalità del percorso per ascendere direttamente alla cultura e alla mente di un’intera società“.
Una nuova Hollywood
Tratto da La Nuova Hollywood. Dalla Rinascita Degli Anni Sessanta All’Era Dei BlockBuster (Einaudi, 2004) di Geoff King.
“Quella fu un’era in cui Hollywood realizzò un numero piuttosto cospicuo di film innovativi che andavano oltre i limiti delle pellicole convenzionali degli studios in termini di contenuto e di stile e la cui esistenza non era soltanto in funzione di un sistema puramente commerciale o industriale. È opinione diffusa che in questi anni si assista alla nascita (o alla rinascita) del film ‘d’arte’ hollywoodiano, o qualcosa di simile. Altri ritengono che in questo arco di tempo Hollywood si sia avvicinata alle forze più liberali e radicali della società americana. Anni di rivoluzione. Il movimento dei diritti civili, rivolte razziali: il black power. La controcultura, gli hippy, le droghe: il “potere dei figli dei fiori”. I giovani, la musica e la moda pop. Le proteste contro la guerra in Vietnam. La radicalizzazione studentesca e la ‘Nuova Sinistra’. Una nuova ondata di femminismo e le richieste di riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Speranze politiche, sogni e incubi“.
“[…] In un certo senso, Easy Rider riprende la storia là dove si interrompe nel Laureato. Intona un peana alle libertà della vita sulla strada stile anni Sessanta, alimentata non tanto dalla benzina quanto dalla marijuana, l’LSD e gli inni della musica di allora. Il film ha una trama e uno sviluppo narrativo, ma il suo fascino è piu quello del musical. La sua essenza sta nei ‘numeri musicali’ regolari e frequenti in cui si vedono Billy e Wyatt percorrere l’America, specialmente gli aperti paesaggi del Sud Ovest, su accompagnamento di colonna sonora degli Steppenwolf, The Byrds e The Band. La presentazione dei numeri musicali è una celebrazione della controcultura ridotta, principalmente, a uno spirito sfrenato di libertà, a movimento e stile. Il paesaggio attraversato da Billy e Wyatt è senza dubbio quello degli anni Sessanta. La comune in cui un gruppo di ragazzi di città cercano con sincerità, ma anche con disperazione, di creare un idillio pastorale in una zona semidesertica. Il caffè di una cittadina nella provincia del Sud dove un gruppo di ragazzine adolescenti traboccano di ammirazione per i due motociclisti di passaggio mentre gli adulti, che sfoggiano tutti un taglio a spazzola, fanno insinuazioni e minacce; un avamposto di quel mondo reazionario i cui scoppi di violenza razziale apparivano regolarmente sugli schermi televisivi americani negli anni Sessanta“.
Recensione dell’epoca #1
Frederic Tuten, Easy Rider, “Film Society Review” (n°9, Maggio 1969)
“Easy Rider ha la sua origine nel tessuto dei miti di viaggio della nostra cultura: i voli spazio-temporali di Whitman in Song of Myself, il misticismo folcloristico del vagabondo di Woody Guthrie in Bound for Glory, e i documenti di un frenetico viaggio beat di Kerouac – tutte promesse di una frontiera americana libera. Ma Capitan America (con allusione all’eroe dei fumetti degli anni ’40) e Billy sono gli ultimi eroi degli ampi spazi: la strada, suggerisce il film, non è aperta a lungo per il viaggio degli spiriti liberi. “Una volta questo era proprio un gran bel paese; e non riesco a capire quello che gli è successo“, dice il giovane avvocato per i diritti civili ai suoi due amici dopo che i tre sono stati tacciati in un ristorante del Sud come “finocchi yankee”. Quello che sta succedendo è una guerra civile culturale. Impliciti nella politica di Easy Rider sono la convention di Chicago, le lotte per i diritti civili, gii incidenti a Berkeley, il boicottaggio al vino californiano, il Vietnam“.
“Questi sono motivi celati di preoccupazione espressi dialetticamente attraverso la nostalgia del film per un’America e degli Americani ancora gradevoli: indiani vivi e morti, piccoli fattori, hippy, sognatori liberali, motociclisti con il sedere incollato sul sellino e fumatori di marijuana, Billy e Capitan America. La moralità di Easy Rider è semplice come quella di un western, eccettuato il fatto che i suoi eroi sono i fuorilegge, mentre le canaglie sono rappresentate dai membri della legge e dell’ordine. Questo paradigma sociale si sviluppa su un paesaggio che non è un semplice sfondo ma diventa un vero e proprio personaggio. I paesaggi dei Sud-ovest, dell’Ovest e del Sud che Billy e Wyatt attraversano con le loro motociclette mostrano un residuo dello spirito americano passato, una presenza così forte che rende piccolissimi gli esseri umani. Easy Rider si estende nel tempo in cui Emerson e Thoureau credevano in un’America pazza e quando gli Indiani stavano facendo la loro ultima triste resistenza“.
Recensione dell’epoca #2
Bernard Eisenschitz, Easy Rider, “Cahiers du cinéma” (n°213, Giugno 1969)
“Il film è un punto di vista realista e senza speranza su un certo numero di miti americani, che questa contraddizione mantiene, ma senza l’umanesimo contemplativo della maggior parte dei tentativi simili. La corsa dei personaggi, dalla California verso il profondo Sud, mostra quest’ultimo privo del suo corredo mitologico corman-faulkneriano (senza che tuttavia sia rifiutato il ricorso ad altre dimensioni, per esempio psicanalitiche), e reso nella sua abiezione non pittoresca, nel suo fascismo quotidiano, senza le caratteristiche del tragico. Per aver portato la sua amabile eccentricità fuori dalla sua città natale, un avvocato alcolista (straordinaria la prova di Jack Nicholson), che ha seguito i due eroi, è massacrato a colpi di spranga. Avendo constatato l’impasse a cui conduce la loro ricerca (filosofia della natura, coesistenza con l’integrazione all’interno dell’establishment, regressione infantile), i due eroi si fanno infine abbattere da due camionisti abbruttiti. L’ultima replica è: “We’re there now” (ci si è, si è arrivati, è finita). Questa conclusione, ammirevole, è l’esatto contrario di quella di “You Only Live Once“: questa non è più la tragicità del destino, ma una violenza naturale e insita nella società che elimina tutto ciò che esce dalla norma“.