L’Italia del cinema scende oggi in campo a Venezia con Anime Nere, il film in Concorso (al cinema dal 18 settembre) diretto da Francesco Munzi che muove dall’omonimo libro di Gioacchino Criaco. Un film girato ad Africo (per la prima volta nel cinema), nella profonda Calabria, con protagonisti Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Anna Ferruzzo e Barbora Bobulova.
Se nasci in Aspromonte il tuo destino è spesso segnato, ma molti giovani cercano di intraprendere un cammino alternativo e vanno a vivere altrove. Sono però costretti a tornare al luogo d’origine dove le dinamiche sono criminali e l’insegnamento tramandato dalla famiglia, che loro stessi hanno assorbito, è spesso crudele e duro da accettare. Ad una situazione già difficile si aggiungono una realtà familiare fatta di affetti e contraddizioni e un paesaggio straordinario. Una storia incentrata sul male che definisce i rapporto tra gli uomini.
Protagonisti sono tre fratelli (nel libro in uscita il prossimo 17 settembre in nuova edizione erano amici), eredi di una famiglia criminale che è passata senza apparenti scossoni dalle cura delle capre al traffico di cocaina. Luigi, Luciano e Rocco (Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane) fanno affari a Milano e in Sudamerica, sembrano avere ormai ben poco in comune con i loro nonni e zii raccontati da Corrado Alvaro, quegli africesi che «odiano il mare» descritti da Corrado Stajano. E poi c’è Africo, appunto, il protagonista che fa da sfondo.
“Ho girato nel paese che la letteratura giudiziaria e giornalistica stigmatizza come uno dei luoghi più mafiosi d’Italia, uno dei centri nevralgici della ’ndrangheta calabrese: Africo“. A parlare è il regista, Munzi. “Quando raccontavo che avrei voluto girare lì, tutti mi dissuadevano dal farlo: troppo difficile la materia, troppo inaccessibile, troppo pericoloso. Era un film impossibile. Ho chiesto a Gioacchino Criaco, lo scrittore di Anime nere, di aiutarmi. Sono arrivato in Calabria carico di pregiudizi e paure”.
Un lavoro durato tre anni, in cui Munzi ha sfruttato la sua esperienza come documentarista per fotografare la vita, catturata nella sua autenticità (dialoghi in dialetto): “Ho scoperto una realtà molto complessa e variegata. Ho visto la diffidenza trasformarsi in curiosità e le case aprirsi a noi. Ho mescolato i miei attori con gli abitanti del paese, che hanno recitato, lavorato con la troupe. Senza di loro questo film sarebbe stato più povero. Africo ha avuto una storia di criminalità molto dura che però può aiutare a comprendere tante cose del nostro paese. Da Africo si può vedere meglio l’Italia”.