Presentato lo scorso maggio alla Quinzaine del 69° Festival di Cannes, esce oggi al cinema Fai Bei Sogni, l’ultimo film diretto da Marco Bellocchio liberamente ispirato all’omonimo romanzo scritto da Massimo Gramellini (edito da Longanesi). Protagonista è Valerio Mastandrea, affiancato da Bérénice Bejo, Guido Caprino, Nicolò Cabras, Dario Delpero, Barbara Ronchi, Miriam Leone e con la partecipazione preziosa di Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka e Fabrizio Gifuni. Direttore della fotografia è Daniele Ciprì.
Fai Bei Sogni racconta il dramma di Massimo, un bambino di nove anni che non riesce a spiegarsi la scomparsa di sua madre, una donna bella, affettuosa e divertente, che con lui rideva e ballava il twist, gli rimboccava le coperte e lo abbracciava continuamente. Questa perdita mai accettata, questo lutto che porta con sé paura, ansia e insicurezza, segnerà indelebilmente i successivi trent’anni del protagonista prima da bambino (Nicolò Cabras), poi da adolescente (Dario Delpero) e in seguito da adulto (Valerio Mastandrea).
Massimo intraprende con successo la carriera di giornalista, riuscendo a convivere anni anche brillantemente con la propria indifferenza difensiva. Tornato a casa dopo un reportage dalla Guerra in Bosnia viene colpito da un attacco di panico e un medico al telefono riesce a calmarlo. Massimo vuole conoscerlo. Il medico si chiama Elisa (Bérénice Bejo). Questa donna saprà rispondergli anche con durezza, spezzando finalmente la sua, per usare un’espressione un po’ retorica, “incapacità di amare”.
Vi presentiamo ora di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Marco Bellocchio.
Che cosa l’ha spinta a misurarsi con l’adattamento per il cinema di Fai Bei Sogni?
Ho letto il romanzo. Poteva diventare un film: mi ha colpito il dolore di Massimo che perde a nove anni la mamma che adorava, la sua ribellione all’inizio e poi, col passare del tempo, l’adattamento per sopravvivere a una perdita incomprensibile. Adattamento alla vita che ha un costo pesante per Massimo perché oscura, riduce, proprio per la necessità di difendersi per sopravvivere, la sua capacità di amare, la raffredda, la annulla con dei danni che si prolungheranno nell’adolescenza e poi nella sua vita adulta. Finché questa corazza di indifferenza, per circostanze complesse e incontri solo apparentemente casuali, non incomincerà ad incrinarsi.
Cosa ha visto in questo dramma?
Ho visto qualcosa che mi apparteneva: l’esperienza professionale ti permette di scoprire anche in storie apparentemente lontane qualcosa che percepisci come profondamente tuo, personale. E riesci a rappresentarlo liberamente. È la tragedia dell’indifferenza, dell’anaffettività che serve a Massimo per difendersi da un dolore insopportabile e poi ci sono la famiglia, la madre, il padre, la casa dove si svolge metà del film, con la televisione (unicamente Rai), e anche un po’ l’Italia di quei trent’anni.
La tragedia che accade qui – la perdita di una madre – è speculare a quella che lei ha raccontato più di 50 anni fa nel suo folgorante film d’esordio, I Pugni in Tasca.
Sì, è vero ma in quel mio primo film il protagonista non amava certamente la mamma dato che la gettava in un burrone, mentre questa volta si tratta di una donna che viene quasi “adorata” dal figlio: si tratta di due assoluti, due estremi. Se quella de I Pugni in Tasca era una madre che non dava niente ai figli, quella di Fai Bei Sogni invece è l’esatto opposto, è generosa, affettuosa, esclusiva, tanto che la sua perdita diventa per il figlio intollerabile. Ma c’è qualcosa che unisce le due madri per me, che è semplicemente l’amore che nella mia vita non ho mai conosciuto (e perciò mi sono riempito di rabbia) e il grande amore che ho sentito nel libro di Gramellini, un’esperienza che ho fatto mia e ho cercato di rappresentare. Immedesimandomi nel dramma dello scrittore, senza perdere la mia identità, la mia storia.
Come si riadatta alla vita Massimo?
Massimo, già grande affermato giornalista, si “risveglia”, riaffronta il suo dolore “primario” fino alla scoperta finale, vero colpo di scena che non va raccontato (ma che chi ha letto il libro, e sono tanti, già conosce). Si potrebbe parlare di “guarigione”, preferisco più prudentemente parlare di un principio reale di cambiamento. E poi i cambiamenti, le “guarigioni” sono sempre instabili, ci possono essere delle ricadute, sempre.
Intanto vediamo l’Italia che cambia proprio anche dalle finestre di casa…
Sì, Roma, Sarajevo, Torino, l’Italia vista e vissuta da chi fa di mestiere il giornalista. Massimo è giornalista di un importante quotidiano nazionale, e cosa significa essere giornalista, cronista della realtà, freddo testimone, o volerne invece diventare in qualche modo appassionato interprete, questo è un tema, una domanda a cui il film cercherà di rispondere.