Da giovedì 24 novembre arriva al cinema Fortuna Granda, il film documentario di Alberto Gottardo e Francesca Sironi già Selezionato al Biografilm Festival International Celebration of Lives 2022, e vincitore del Premio Solinas per il Miglior Documentario per il Cinema 2020. Il film racconta la realtà di Goro, un paese in provincia di Ferrara in fondo al Delta del Po che vive grazie alla pesca delle vongole.
Il documentario
Al centro della vicenda Alessandro, Gioele, Matteo e Samuel, quattro ragazzi di 16 anni che pescano in barca da quando ne hanno cinque. «Siamo nati in acqua», dicono in un dialogo del film. Eppure frequentano una scuola che prova a insegnare loro quello stesso mestiere, nel tentativo di tenerli sui banchi, di far loro frequentare gli studi almeno fino al diploma. «Considerate le alternative, perché non si sa mai», dicono i maestri. Ma il confronto non è semplice. Nel film i quattro amici percorrono traiettorie diverse, accomunate dalla consapevolezza del privilegio di un lavoro all’aperto, nella natura, in un territorio altrimenti difficile per i giovani. È nelle contraddizioni di questo desiderio che il film segue i ragazzi fino all’esame di fine anno, con tutti i significati che per ognuno di loro avrà.
Alberto Gottardo e Francesca Sironi raccontano…
«Fortuna Granda è nato nel 2017, ci trovavamo nel Delta del Po per un reportage sugli adolescenti della provincia di Ferrara quando siamo arrivati a Goro e abbiamo intravisto i confini di una comunità unica, chiusa sia geograficamente (ci arriva una sola strada), che economicamente (per via della ricchezza delle vongole, arrivata negli anni ‘80). Poco dopo abbiamo scoperto il record di dispersione scolastica del paese. Avanzando su queste domande abbiamo incontrato il corso avviato da Giovanni Lolli, e la classe Pesca dell’Istituto professionale. Alessandro, Gioele, Matteo e Samuel sono diventati subito i protagonisti del film, al primo incontro. Abbiamo iniziato le riprese con il solo desiderio di ascoltarli. Non ci interessava analizzare i ragazzi, studiarli. È piuttosto nell’adesione alla voce dei protagonisti, al loro punto di vista, che abbiamo voluto dare forma al film. Il Delta che abbiamo visto insieme a loro non è paesaggio: è abitudine, muro o gioco. Per questo non abbiamo cercato di estetizzare il contesto naturale. O la scuola, che è complessa, anti-retorica, non ha posizioni facili. Abbiamo lavorato così, costruendo spazi di fiducia, confrontandoci continuamente con l’esperienza, senza precostruzioni. Nel riflettere sulla rappresentazione, durante le riprese e il montaggio, ci sono stati però elementi che non abbiamo mai messo in discussione. Fra questi il dialetto: la possibilità di usare la lingua madre, il Goranto, è stata fin da subito centrale nel nostro rapporto».