Era il 5 dicembre del 1890, esattamente 130 anni fa, che a Vienna nasceva Fritz Lang, il più grande maestro del cinema tedesco. Per ricordarlo vi parliamo di uno dei suoi capolavori, Metropolis, film-manifesto di un cinema espressionista, realizzato nel 1927. La pellicola è universalmenta riconosciuta come un modello d’avanguardia del cinema di fantascienza moderno.
Il film
Nella città di Metropolis la società è divisa in due classi: un’elite oziosa che vive nei grattacieli e gli operai schiavizzati che faticano nel sottosuolo. A capo della città Joh Fredersen (Alfred Abel), che dall’alto della grande torre di Babele controlla le attività produttive. Suo figlio Freder (Gustav Fröhlich) vede casualmente emergere dalle profondità di Metropolis un gruppo di bambini poveri accompagnati da una giovane donna, Maria (Brigitte Helm). Colpito dalla miseria dei ragazzi e dalla bellezza di Maria, Freder li segue nel sottosuolo. Qui scopre lo spazio della fabbrica e assiste a un’esplosione che uccide un gran numero di operai. Dopo un drammatico confronto con il padre, decide di scambiare la propria vita con quella di un operaio. Intanto Joh Fredersen viene a sapere di misteriosi documenti trovati nelle tasche degli operai morti. Allarmato, fa visita al suo antico rivale, lo scienziato Rotwang (Rudolf Klein-Rogge), che gli mostra un robot di sua produzione. Gli rivela che i documenti sono in realtà le mappe di antiche catacombe scavate nel livello più profondo della città. I due scendono nelle catacombe dove spiano Maria mentre predica agli operai annunciando il prossimo arrivo di un “Mediatore” in grado di unire le classi. Fra gli operai, camuffato, c’è Freder. Dopo il sermone rivela a Maria di essere lui il predestinato.
Fredersen chiede a Rotwang di dare al robot le sembianze di Maria in modo da seminare discordia fra lei e gli operai. Rotwang cattura Maria trasformando l’automa in un suo doppio. Ma Rotwang cova nei confronti del tiranno di Metropolis un’antica vendetta, da quando questi molti anni prima gli aveva sottratto l’amata. Per vendicarsi, programma il robot per distruggere la città. Quest’ultimo aizza la rivolta operaia: i lavoratori distruggono il generatore energetico, provocando l’inondazione della città e rischiando di far affogare i loro stessi figli. Freder e la vera Maria, finalmente libera, salvano i bambini dall’inondazione. Resisi conto di quanto fatto, gli operai catturano il robot e lo bruciano sul rogo. Rotwang insegue la vera Maria sul tetto della cattedrale, Freder viene in suo soccorso e Rotwang viene ucciso. Riconciliatosi con il padre, Freder riesce a pacificare le classi della città.
Le fonti letterarie
Sia nel libro di Thea von Harbou [all’epoca moglie di Fritz Lang autrice del romanzo Metropolis e della sceneggiatura del film, n.d.r.], sia nell’intera trama del film, si possono rilevare diversi tipi d’impronta, che collegano l’intrigo alla fantascienza ma anche, in maniera contraddittoria, a diversi racconti di tipo mitico o arcaizzante. Sul piano delle nuove tecnologie e delle reazioni che esse suscitano, tra fascinazione e paura, particolarmente significativo è il modo in cui l’inventore Rotwang crea un robot androide al quale infonde la vita attribuendogli i tratti verginali di Maria. Oltre ai “robot” del drammaturgo ceco Karel Čapek (che aveva da poco coniato il termine, nel 1921), come ascendente possibile dell’androide è stata spesso citata l’Eva Futura (1886), in cui lo scrittore Villiers de L’Isle Adam immagina la creazione di un essere di questo tipo (che egli definisce un’Andréide) da parte dell’inventore americano Edison; da qui si può risalire alla creazione del mostro di Frankenstein (nel romanzo di Mary Shelley, 1818), così come ai racconti ispirati al magico o al miracoloso più che alla scienza, come quello della creazione del Golem, o alla metamorfosi di Galatea da statua di marmo a donna in carne e ossa. Altra fonte spesso evocata, i romanzi d’anticipazione dell’inglese H.G. Wells, La Macchina Del Tempo (1895) e Il Risveglio del Dormiente (1897), che tratteggiavano come Metropolis una società duale, rigidamente divisa in una classe dirigente inattiva e decadente, e un proletariato ridotto alla stregua di un animale e di una macchina.
Menzioniamo un’ultima fonte letteraria debitamente identificata dal critico tedesco Roland Schacht all’uscita del film, ma un po’ sbiadita dai tagli della versione americana: Notre-Dame de Paris di Victor Hugo. La cattedrale di Metropolis (la cui collocazione rimane tuttavia imprecisata), l’opposizione tra la sua architettura gotica e il modernismo della città, il personaggio di Rotwang e i suoi ambigui rapporti con le due Maria, la massa triangolare degli operai che avanzano verso la cattedrale: sono tutti elementi che richiamano l’opera di Hugo, la sua cattedrale medioevale, la massima dell’arcidiacono Frollo, il desiderio di Frollo per Esmeralda, i mendicanti di Clopin che, disposti ‘a triangolo romano’, danno l’assalto a Notre-Dame… Talune di queste immagini possono essere state suggerite a Thea von Harbou e Lang dall’allora recente adattamento del romanzo di Hugo firmato da Wallace Worsley per la Universal. I riferimenti letterari più espliciti di Metropolis non hanno nulla a che vedere con la fantascienza, essendo piuttosto improntati alla Bibbia: il racconto, liberamente ispirato alla Genesi, della costruzione della torre di Babele e della confusione linguistica che ne deriva; quello della fine dei tempi, illustrato dalle citazioni dall’Apocalisse di San Giovanni; la falsa Maria che appare come l’incarnazione della meretrice di Babilonia seduta su una bestia dalle sette teste e dalle dieci corna.
Le fonti cinematografiche
Manifeste o discrete, le fonti propriamente cinematografiche non mancano. La sorprendente visione della sala delle macchine che si trasforma agli occhi del giovane Freder in un Moloch bramoso di sacrifici umani, rimanda al mostruoso idolo cartaginese del film storico di Giovanni Pastrone Cabiria (1914). Ispirato dalle messe in scena teatrali di Max Reinhardt, l’uso delle ‘masse’, delle moltitudini di figuranti, è un tratto distintivo del cinema tedesco, come è possibile vedere per esempio negli sfarzosi film di Lubitsch come Madame DuBarry e La moglie del faraone, così come la straordinaria mobilità della macchina da presa che Karl Freund aveva già messo al servizio di L’Ultima Risata e Varieté. L’architettura e le scenografie di Metropolis richiamano diverse tendenze dominanti nell’ambito del cinema espressionista: nella città alta la celebrazione futurista della modernità meccanizzata, con l’architettura in vetro, i grattacieli, l’intreccio di autostrade, le automobili e gli aerei; nella città sotterranea, l’arcaismo organico della cattedrale, delle catacombe, della casa di Rotwang, simile a quella del creatore del Golem nel film di Paul Wegener (1920).
“Metropolis non è un film unico: sono due film uniti per il ventre, ma con necessità spirituali divergenti, assolutamente antagonistiche. Quelli che considerano il cinema in quanto valido narratore di storie, patiranno con Metropolis una profonda delusione. Ciò che lì ci viene narrato è triviale, ampolloso, pedantesco, di un vieto romanticismo. Ma se all’aneddoto preferiamo lo sfondo plastico- fotogenico del film, allora Metropolis colmerà tutte le misure, ci stupirà come il più meraviglioso libro d’immagini che sia mai stato composto”.
Luis Buñuel, in “La Gaceta Literaria”, n. 9 del 1 maggio 1927