Esce giovedì 26 febbraio al cinema Automata, film scritto e diretto da Gabe Ibáñez che porta sul grande schermo una storia al confine tra sci-fi e realtà, un’interessante prospettiva sulla teoria dell’evoluzione e su un futuro per nulla remoto. Un cast d’eccezione, tra cui spiccano Antonio Banderas (che qui è anche co-produttore), Birgitte Hjort Sørensen, Melanie Griffith, Dylan McDermott e Robert Forster.
Anno 2044. La Terra ormai sta andando verso la graduale desertificazione. L’umanità cerca faticosamente di sopravvivere a un ambiente sempre più ostile. La scomparsa della razza umana è appena cominciata, in bilico tra la lotta per la vita e l’avvento della morte.
La tecnologia tenta di contrastare questo scenario di incertezza e paura con il primo androide quantistico, l’Automata Pilgrim 7000, progettato per alleviare la minaccia che incombe sulla società umana. Automata alza il sipario sulla convivenza tra uomini e robot in una cultura e in un mondo plasmati, per antonomasia, sulla natura umana.
Al declino della civiltà umana fa da contrappeso la rapida ascesa della ROC (Robotics Corporation), società leader nel campo dell’intelligenza robotica. Malgrado la morte a cui l’umanità è destinata, la società ha posto in essere rigidi protocolli di sicurezza per assicurare il controllo dell’uomo sugli androidi quantistici.
L’agente assicurativo Jacq Vaucan (Antonio Banderas) è pagato per svolgere controlli di routine sui modelli difettosi di androidi: è così che inizia ad addentrarsi nei segreti e nelle vere intenzioni che si celano dietro gli Automata Pilgrim 7000. I sospetti di Jacq continuano ad alimentare il mistero – svelando una verità molto più scomoda e inquietante di qualunque robot.
La Teoria della Singolarità Tecnologica è un punto, nell’evoluzione di una civilizzazione, in cui il progresso tecnologico umano accelera oltre la stessa capacità di comprendere e prevedere, dando vita, più specificamente, a un’intelligenza superiore a quella umana. Elaborata dagli scienziati negli anni ’50, la teoria della singolarità tecnologica ha attraversato la cultura del ‘900, affascinando e appassionando anche i registi contemporanei, che ne hanno esplorato le estreme conseguenze attraverso il linguaggio cinematografico.
La teoria della singolarità ha permesso allo scrittore e regista Gabe Ibáñez di guardare la vita con occhi nuovi, con una prospettiva che mette in gioco il senso stesso della vita e il ruolo dell’uomo nella storia dell’evoluzione. Così il film comincia con queste poche righe sovrimpresse: “Milioni di robot stanno assistendo al declino della civiltà umana” – “Milioni di robot che obbediscono a due protocolli di sicurezza: Il primo protocollo impedisce al robot di minacciare qualunque forma di vita. Il secondo protocollo impedisce al robot di modificare se stesso o altri robot”.
Quasi profetizzando un futuro in cui uomini e robot vivranno fianco a fianco, Ibáñez introduce lo spettatore nella notte fitta e scura che avvolge una città e le sue strade. “Il film rappresenta il punto in cui l’intelligenza artificiale raggiunge e interseca quella umana; il momento in cui nascono i robot, sviluppando un’intelligenza che supera la stessa umanità”. Ibáñez esplora così la complessità della mente umana, spingendosi fino alla sfida tra Uomo e Macchina.
Per riuscire a dare corpo all’idea, Ibáñez racconta di aver cercato e trovato ispirazione nei classici noir hollywoodiani. La trama filmica si snoda prendendo le mosse da “un personaggio che scopre un dettaglio apparentemente insignificante, che in realtà è tutt’altro che trascurabile”, dice Ibáñez. “Questo tipo di approccio narrativo è tipico dei film noir. È come piantare un seme nella vita del protagonista e, lentamente, coltivarlo attraverso l’interazione con ogni nuovo personaggio che entra in scena”.
Nel mondo di Ibáñez, l’intelligenza artificiale è quasi una parte naturale della società, da cui è accettata e incamerata, con la propria funzione e scopo precipui. “Dei robot l’aspetto più importante è l’intelligenza, non la forza, la velocità o le capacità”, racconta Ibáñez. Ecco perché la trama è costruita attorno al concetto di singolarità tecnologica, a partire dal momento in cui l’intelligenza artificiale prende forma e trova una sua collocazione all’interno della stessa teoria dell’evoluzione.
Nel caos imperante, causa e conseguenza della progressiva distruzione e desertificazione terrestre, Ibáñez riesce a trasmettere una certa empatia per le creature artificiali, portatrici di quella fibra morale che gli umani sembrano aver smarrito e finanche disprezzato nel tempo. Il regista ha voluto dare, a questo ritratto dell’intelligenza artificiale, la caratteristica reale e possibile di un futuro non troppo lontano. Lungi dal mettere uomini e robot gli uni contro gli altri, come in tanti altri thriller sci-fi, Ibáñez ha dato maggior risalto alle teorie filosofiche che sottendono al tema stesso. “Nel film, naturalmente i robot sono e restano creature spettacolari”, dice Ibáñez. “Ma in fondo, questo è un film che parla dell’uomo, della sua intelligenza, di come ha abbandonato le caverne, ha scoperto il fuoco e ha inventato la ruota”.
Con questo film, Ibáñez ha voluto far guardare attori e robot negli occhi, in modo emotivamente coinvolgente, anche se solo attraverso plastica e fibra di vetro. Questo aspetto conferisce grande profondità al film, con un ritratto intimo e vivido di come potrebbe essere un giorno, il nostro futuro, se gli uomini scoprissero che i robot hanno imparato a vivere.