Al Teatro Franco Parenti di Milano, da l’8 al 19 febbraio è in scena L’Uomo Dal Fiore in Bocca…e non solo, spettacolo – tratto da Luigi Pirandello – diretto e interpretato da Gabriele Lavia che recita al fianco di Michele Demaria e Barbara Alesse.
Dopo Sei Personaggi in Cerca d’Autore, passando per Vita di Galileo di Brecht, Lavia torna al drammaturgo agrigentino che più di ogni altro ha segnato la cultura, e di conseguenza il teatro, del nostro tempo, arricchendo il monologo originale con altre novelle che affrontano il tema della donna e della morte. Il denominatore comune sono le paure e il bisogno di esorcizzarle dietro una qualche forma di maschera, imposta dagli altri e infine accettata, per quieto sopravvivere. Tra l’essere e l’apparire.
L’Uomo dal Fiore in Bocca di Luigi Pirandello è la scena maestra dell’incomunicabilità, della solitudine che si aggrappa alla banalità dei particolari più piccoli e insignificanti del quotidiano per cercare di rintracciare una superiorità della vita sulla morte. Gabriele Lavia, con Michele Demaria e Barbara Alesse, prova a trattenerla un altro po’, prima della fine.
L’atto unico, rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano, è un colloquio fra un uomo che si sa condannato a morire fra breve, e per questo medita sulla vita con urgenza appassionata (l’Uomo dal fiore in bocca, interpretato da Gabriele Lavia), è uno come tanti, che vive un’esistenza convenzionale, senza porsi il problema della morte (il Pacifico Avventore, interpretato da Michele Demaria). L’autore, come in altri casi, trasse il testo teatrale da una novella scritta anni prima e intitolata La Morte Addosso.
“La Morte Addosso potrebbe essere il sottotitolo di tutta l’Opera Letteraria di Pirandello – scrive Gabriele Lavia nelle note di regia – si sa che fin dalla sua fanciullezza il piccolo Luigi fu come “risucchiato” dall’orrore e dal mistero della Morte. L’episodio, famosissimo, del cadavere e dei due amanti, accaduto al giovanissimo Luigi, in quello strano “fondaco” buio, segnò per sempre lo Scrittore e la sua Opera”.
L’originale pirandelliano, che non subisce alcuna modifica nella trasposizione teatrale che ne fece l’autore, è stato arricchito da Gabriele Lavia con altre novelle che affrontano il tema della donna e della morte (“per Pirandello sono “figure” inscindibili, vorrei dire “sovrapposte” ” scrive Lavia).
La scena si apre in una simbolica Sala d’Attesa di una qualche stazione ferroviaria del Sud Italia. Si tratta di una scenografia imponente, disegnata da Alessandro Camera, e realizzata interamente nei laboratori del Teatro della Pergola, riaperti appositamente per questa produzione. La struttura portante, alta almeno 9 metri, tutta in legno di pioppo, regge le vetrate annerite della vecchia stazione. Ai lati vi sono lunghe panchine con scanalature e braccioli a motivi semicircolari, mentre il pavimento è composto di 92 tasselli d’abete e ricoperto da uno strato di decorazione a motivi geometrici; al centro, incombente, un grande orologio che ha smesso di girare.
“Piove a dirotto, ma è estate (tempo assurdo!) per soddisfare il “sentimento del contrario” – annota Gabriele Lavia – così amato dalla poetica del nostro Autore. C’è un uomo nella stazione e arriva anche un ometto pacifico, pieno di pacchi colorati, che perde sempre il treno e che lo perderà sempre”.
L’uomo dal fiore in bocca comincia a parlare con un’insistenza crescente, ironica e disperata, dimostrando una straordinaria capacità di cogliere i più minuti e all’apparenza insignificanti aspetti della vita. Le sue considerazioni amare rivelano terribili verità: l’uomo infatti è in attesa di morire. Mentre è in preda a queste dolorose confessioni vede dietro l’angolo l’ombra della moglie (interpretata da Barbara Alesse). È una donna preoccupata, lo vorrebbe curare col proprio affetto, ma all’uomo dal fiore in bocca non è di consolazione, anzi, è un ostacolo alla sua stringente necessità di vita da vivere che lo porta a osservare i commessi che impacchettano la merce venduta.
“C’è una donna, che guarda dentro la Sala d’Attesa, da fuori della grande vetrata – conclude Lavia – e poi ci sono tante donne che non si vedono ma che sono l’assillo o l’incubo del nostro piccolo “uomo pacifico”. Chi è quella donna che passa? La moglie? La morte?. La morte non è qualcosa che ci salta addosso e, quindi, possiamo scacciare. No, la morte, quando entra in noi, è invisibile”.