Dopo i fratelli Lumière, colui che viene riconosciuto come il secondo padre del cinema è Georges Méliès. Fu lui il primo grande innovatore della settima arte (nato l’8 dicembre 1861, 160 anni fa), grazie all’introduzione e la sperimentazione di numerose novità tecniche e narrative, primo vero Regista Cinematografico della storia. Grazie al suo particolare montaggio, è considerato il pioniere del cinema fantastico e fantascientifico, il primo che filmò mondi diversi dalla realtà. E tra i primi registi a usare l’esposizione multipla, la dissolvenza e il colore (dipinto a mano direttamente sulla pellicola).
La scoperta della stop-motion
In particolare, Georges Méliès è universalmente riconosciuto come il “padre” (accidentale) degli effetti speciali. Correva l’anno 1896 e la prima, rudimentale macchina da presa di Georges Méliès tendeva incepparsi – un difetto che, stando ai suoi ricordi, “produsse un effetto inatteso un giorno che riprendevo prosaicamente Place de l’Opéra. Mi ci volle un minuto per sbloccare la pellicola e far ripartire la cinepresa. Durante quel minuto, naturalmente, i passanti, gli autobus e le automobili avevano cambiato posizione. Nel proiettare la pellicola, che avevo unito di nuovo nel punto in cui si era strappata, vidi all’improvviso un autobus della linea Madeleine-Bastiglia trasformarsi in un carro funebre, e gli uomini tramutarsi in donne”.
Méliès era inciampato in un trucco nuovo e cruciale, la cui prima applicazione intenzionale fu nel suo Escamotage D’Une Dame Au Theatre Robert Houdin nell’ottobre 1896. Un incidente cinematografico aveva consentito a Méliès di scoprire la discontinuità all’interno della continuità apparente dell’esperienza normale. Era una lezione che molti cineasti avrebbero seguito con passione nella lunga tradizione dell’animazione, fra cui i più gloriosi rappresentanti sono Willis O’Brien (Un Mondo Perduto, 1925, e King Kong, 1933) e Ray Harryhausen (Il Risveglio Del Dinosauro, 1953, e Gli Argonauti, 1963). Sebbene in tempi recenti la stop motion sia stata ampiamente rimpiazzata dalla Cgi (Computer Generated Imagery), e gli spettatori più ingenui provino gusto a notare la presunte carenze degli effetti speciali del passato, si può sostenere che l’importanza dell’effetto speciale non sia mai stata tanto nell’illusione della realtà quanto semmai nella liberazione da essa tramite il meccanismo del cinema. In questo ambito, l’opera di Méliès resta insuperabile.
La Chrysalide et le Papillon (1901)
I film prodotti prima del 1906 sono spessi etichettati con la formula “cinema delle attrazioni”, intendendo con ciò una modalità narrativa basata sui singoli eventi curiosi, spettacolari o di natura inconsueta: le smorfie di un signore con l’indigestione, un monello che semina il caos in panetteria, l’effimera apoteosi di una féerie danzante. La Chrysalide et le Papillon sembra rientrare in questa categoria; è una storia raccontata in circa due minuti, in apparenza con una sola inquadratura (ma alcuni trucchi ottici sono dovuti al montaggio della pellicola), più o meno come tanti altri cortometraggi del periodo, visioni di un favoloso Oriente evocate dai cineasti del primo Novecento.
La differenza è in questo caso nella successione degli eventi descritti da Méliès nel suo lussureggiante giardino esotico: un bramino ha incantato un gigantesco bruco con il suo flauto magico e lo ha fatto entrare in un bozzolo che dà vita a una meravigliosa donna-farfalla. Rapito dalla sua bellezza, il bramino l’avvolge con un drappo. La farfalla è ora diventata un’ancora più seducente principessa Indù; pazzo di gioia, l’uomo dichiara subito il proprio amore alla splendida fanciulla prostrandosi inutilmente al suo cospetto.
Non contenta di aver respinto le sue profferte, la principessa gli appoggia un piede sulla testa e lo trasforma in un bruco, in tutto e per tutto identico a quello iniziale. “Cinema delle attrazioni” fatali: in una manciata di secondi Georges Méliès ci ha dato la più concisa, struggente e crudele storia di amour fou nel cinema delle origini.