Oggi Giancarlo Siani avrebbe sessant’anni. Magari andrebbe in giro con una macchina diversa dalla Mehari decappottabile, forse avrebbe un’utiliaria più sobria, magari avrebbe messo su famiglia e continuerebbe ad essere un fan di Vasco Rossi e a seguirlo in tour. Magari continuerebbe a cercare notizie con il taccuino in mano, a raccontare storie, a vedere le fonti e a parlare con le forze dell’ordine per capire la realtà. Però il gioco di immaginare la storia si può fare soltanto con l’ausilio del condizionale.
Siani, un giornalista troppo scomodo
La realtà ci riporta al 19 settembre 1959 quando nacque Giancarlo Siani, giornalista napoletano che, pochi giorni dopo aver festeggiato il suo compleanno, venne ucciso dalla mafia a colpi d’arma da fuoco sotto casa, dentro la sua macchina decappottabile. Aveva soltanto 26 anni, un gran bel sorriso come testimoniano le sue foto e tanta voglia di entrare dentro i fatti di una terra difficile e complessa come la Campania. Aveva scritto troppo sullla camorra. Aveva scritto troppo e bene. Era scomodo e per questo andava “silenziato”. I mandanti furono i boss Nuvoletta e Gionta.
Giancarlo, un eroe dimenticato
Purtroppo, così come per tanti “eroi” normali, anche per Giancarlo c’è stata una lunga damnatio memoriae a livello nazionale. Nonostante un 26enne fosse riuscito a scavare negli interessi criminali, nonostante avesse ricostruito alla perfezione gli equilibri tra le famiglie Gionta, Nuvoletta e Bardellino, nonostante avesse raccontato storie di ordinario degrado andando per strada e tra la gente, Giancarlo non è stato, per molti anni, celebrato a dovere. Stessa sorte è toccata ad altri cronisti caduti per mano mafiosa come Pippo Fava, Cosimo Cristina, Beppe Alfano, Mario Francese, Giovanni Spampinato, Mauro De Mauro, Mauro Rostagno. Un elenco lungo e che trasuda storie di sangue che si intrecciano con le troppe domande scomode poste da cronisti appassionati e assetati di verità.
L’arma del cinema per ricordarlo
In aiuto di una grande storia di impegno civile, come spesso accade, allora arriva il cinema. L’arma più potente per far conoscere al grande pubblico storie spesso sconosciute. Nel 1999 un cortometraggio aiuta il fratello Paolo Siani, un medico adesso impegnato in politica, a togliere il velo di polvere dalla storia di Giancarlo. Dall’emblematico titolo Mehari, come l’auto verde e decappotabile del coraggioso giornalista, diretto da Gianfraco De Rosa e sceneggiato da Maurizio Cerino è il primo passo per restituire onore alla vita breve, fuliminea e intensa di un grande cronista. Un altro film nel 2004, E Io Ti Seguo di Maurizio Fiume, e uno spettacolo teatrale Ladri Di Sogni hanno contribuito a raccontare Giancarlo, la sua quotidianità e la sua passione.
Fortapàsc, un manifesto anticamorra
Poi nel 2009, dieci anni fa, Giancarlo Siani diviene, grazie a Fortapàsc diretto da Marco Risi, una sorta di manifesto anticamorra. L’interpretazione magistrale di Libero De Rienzo, aggiunta a una somiglianza incredibile, contribuisce a restituire la vivida immagine di un giovane giornalista spensierato, come lo può essere un ventenne, ma incredibilmente attento e appassionato alla realtà che lo circonda. Giancarlo con la Mehari verde è il simbolo della libertà, dell’affrancamento da una subcultura criminale che ha distrutto e continua a distruggere l’immagine del Sud. Ma è anche il simbolo di una violenza difficile da estirpare, perché proprio su quell’auto trascorrerà gli ultimi istanti della sua vita prima che I killer gli scarichino oltre dieci colpi addosso.
Giornalisti Giornalisti
Una scena di Fortapàsc divenuta ormai di “culto”, in particolare tra i giovani cronisti, è quella in cui Giancarlo Siani passeggia con il suo caporedattore Sasà (interpreato da Ernesto Mahieux). Quest’ultimo disulluso e rinchiuso in una dimensione da “impiegato del catasto” che da giornalista dà, a suo modo, una lezione al giovane e rampante Giancarlo smanioso di condurre un’inchiesta su crimine organizzato e voto di scambio:
“Ci sono due categorie: giornalisti – giornalisti e giornalisti impiegati. Io sono un giornalista impiegato: tengo la macchina, la casa, l’assistenza sanitaria e pure il cane. I giornalisti giornalisti portano le notizie, gli scoop e so’ rotture e’ cazz…e fanno male…fanno male assai. Questo non è un paese per giornalisti giornalisti, è un paese per giornalisti impiegati”.
Tutelare la stampa libera
Parole ricostruite da Marco Risi nella sceneggiatura ma che danno la tara di un mondo difficile nel quale Giancarlo Siani lavorava. Lo stesso mondo, precario e sottopagato, che affrontano ogni giorno decine e decine di giovani giornalisti in tutta Italia. Pagati pochi euro a pezzo, sfruttati h 24, mai contrattualizzati. Eppure con una passione indomita, come quella di Giancarlo. E oggi se fosse vivo, a 60 anni, siamo certi che sarebbe in prima linea a difendere i giovani, a lottare con loro per il diritto di raccontare, a tutelare la stampa libera. Auguri Giancarlo!
Andrea Sessa