Sarà da domani nelle sale Io, Arlecchino l’opera prima di Giorgio Pasotti – che l’ha anche interpretata – in collaborazione con Matteo Bini, che l’ha scritta e sceneggiata. Un film che parla di un rapporto padre-figlio attraverso commedia e dramma, ed in particolare attraverso la maschera più conosciuta ed amata.
Paolo (Giorgio Pasotti), noto conduttore di un talk show televisivo pomeridiano, viene raggiunto a Roma da una telefonata che gli comunica che il padre Giovanni (Roberto Herlitzka) è stato ricoverato in ospedale. Costretto a tornare nel piccolo villaggio medievale di Cornello del Tasso, in provincia di Bergamo, Paolo scopre che il padre è gravemente ammalato. Giovanni, ex attore teatrale e famoso Arlecchino, manifesta il desiderio di voler spendere gli ultimi mesi della sua vita continuando a recitare con la piccola compagnia teatrale del paese, mettendo in scena spettacoli di Commedia dell’Arte.
Il ritorno al paese, ed il contatto con il padre e il suo mondo, porteranno Paolo a ricucire un rapporto con le sue origini, a ridefinire la sua identità e a riscoprire il tesoro artistico rappresentato dal personaggio di Arlecchino, del quale si troverà a vestire i panni. Una favola moderna che racconta la storia di un padre e di un figlio, avvolta dalla magia del personaggio di Arlecchino e della tradizione della Commedia dell’Arte italiana che tutto il mondo ci riconosce.
Io, Arlecchino è un film con due protagonisti, che trova anche una dimensione di coralità attraverso i suoi vari personaggi secondari, i quali, secondo le parole dei due registi, “non solo fanno da contorno alle vicende principali ma rappresentano i custodi di un piccolo mondo ancora incontaminato dai veleni della modernità”. Gli stessi luoghi, infatti, divengono elementi di narrazione e di significato e contribuiscono a definire i personaggi e le loro relazioni.
Ecco allora contrapporsi tre mondi diversi, nei quali vivono storie e persone caratterizzate da elementi peculiari. Il mondo della televisione, con i suoi luccicanti riflettori, “che tutto tengono illuminato senza pudore e con un’immagine, quella televisiva, a tratti superficiale che pretende di farsi custode del senso delle cose”. Il mondo della Commedia dell’Arte, nella quale, attraverso le maschere, “si raccontano con immediatezza vizi e virtù dell’uomo”.
Infine ecco anche il mondo della piccola città di provincia, a tratti “soffocata dal verde in una valle angusta, un po’ aspra e grezza, dove roccia e natura si inseguono e mischiano, come in una danza”. Un paesino al riparo dai tormenti della città, nel quale il ritmo della vita rallenta, per dare spazio all’incontro con l’altro. In questo contesto la bellezza si racchiude “nella semplicità di una tavola imbandita, dove il cibo diventa occasione di incontro e condivisione”.
La storia di Paolo racconta un passaggio tra ambienti lontani e a tratti incompatibili tra di loro; è la storia della contaminazione di un giovane uomo e del suo incontro con mondi distanti e persone da lui molto diverse, che lo stimoleranno a conoscere una vita nuova, così differente da quella sinora vissuta. Il film è anche la storia del nuovo incontro tra un padre e un figlio, è la storia di un passaggio di testimone. L’evoluzione del personaggio di Paolo, il moderno Arlecchino, rappresenta il percorso evidente di una trasformazione visiva dello stesso, che culminerà nel finale in una sorta di sorprendente “trasfigurazione”.
In questo momento storico, il film racconta la storia di un recupero della tradizione con un occhio rivolto al futuro: come diceva il compositore Gustav Mahler, “tradizione non è contemplare le ceneri ma passare il fuoco”. La Commedia dell’Arte e la maschera di Arlecchino torna attuale come “simbolo di positiva vitalità, di forza ed energia, di capacità di reinventarsi”.
“Con questo film vogliamo raccontare una storia semplice ma ricca, che farà ridere e piangere, in cui il movimento viene dato dall’armonia tra gli opposti, in un gioco di sottrazione, dove alcuni momenti di poesia verranno risvegliati da guizzi, salti e lazzi. Arlecchino farà capolino nella nostra vita ed è pronto a smascherarci”
Matteo Bini e Giorgio Pasotti