Domenica 20 ottobre uscirà al cinema Gli Angeli Nascosti di Luchino Visconti, un documentario (realizzato nel 2007) ideato da Barbara Iannarilli, Giuseppe Galeone e Silvia Giulietti che lo ha anche diretto. Si tratta di una raccolta di testimonianze di grandissimi artisti che hanno lavorato (nell’ombra) al fianco di Luchino Visconti. Tutti ugualmente indispensabili per la realizzazione dei suoi film. Film che hanno fatto la storia del cinema italiano.
Il documentario
Ci sono tanti modi per raccontare un uomo, la sua vita, le sue passioni, i suoi gesti, il suo parlare con il mondo. Così come ci sono tanti modi per inquadrare l’immagine di un paesaggio o di un volto. In Gli Angeli Nascosti di Luchino Visconti viene narrata la quotidianità meno frequentata dalla letteratura ufficiale di un uomo come Luchino Visconti attraverso le inquadrature dei suoi “angeli”, gli operatori e il fotografo che dietro l’obiettivo sono stati il suo “occhio”. L’opera di un regista infatti non è solitaria, come può avvenire per un romanziere o un pittore o un poeta, ma ha una dimensione collettiva che ha bisogno dell’aiuto di tante altre persone per giungere alla sua realizzazione.
È così che un film vede la luce. È così che gli occhi degli angeli nascosti ci hanno restituito cio’ che lui immaginava. Sono loro il punto di partenza del racconto per immagini e parole, in cui si ritrova intatto il legame di stima reciproca e grande affetto che esisteva tra loro e il regista. Un racconto che ci fa vivere con emozione Visconti, dentro e fuori dal set, attraverso un fatto, un aneddoto, un contrasto e la sua risoluzione, una loro privata consuetudine. Ma anche uno sguardo sulla vita da ciurma che naviga nelle avventurose acque del “lavoro artigianale” del cinema, guidata dal suo nocchiero che riesce ad ottenere, con l’autorevolezza e la consapevolezza dell’approdo, risultati mirabili.
Le testimonianze degli “Angeli”
Silvia Giulietti, insieme a Barbara Iannarilli e Giuseppe Galeone, questi ultimi entrambi autori e sceneggiatori, hanno intrapreso questo viaggio raccogliendo ore di testimonianze degli “angeli”, che hanno poi intessuto in un racconto corale nel quale le parole, i respiri e gli sguardi fanno da punteggiatura al ritmo della narrazione. Gli autori introducono lo spettatore nella vita quotidiana del set di Visconti, lo avvicinano a “mestieri” del cinema straordinari e sconosciuti al grande pubblico come quelli dell’operatore, del fotografo di scena e dell’organizzatore di produzione. Tra gli intervistati ci sono: Federico Del Zoppo (Direttore della Fotografia e operatore alla macchina), Daniele Nannuzzi (prima assistente alla regia, poi Direttore della Fotografia), Giuseppe Berardini (Direttore della Fotografia), Michele Cristiani (operatore della macchina da presa), Lucio Trentini (produttore esecutivo e organizzatore generale di produzione), Mario Tursi (fotoreporter, fotografo e fotografo di scena). Gli scatti di quest’ultimo, scelte tra le migliaia del suo archivio, attraverso le inquadrature dei film di Visconti e immagini “rubate” sui set, intrecciano il racconto segreto della lavorazione con quello dell’opera d’arte così come la conosciamo.
Silvia Giulietti
Lasciamo ora spazio all’intervista rilasciata dalla regista Silvia Giulietti.
Come è nato il progetto di questo documentario?
Nasce dall’esigenza che avevo di fare conoscere questo gruppo di professionisti che sono stati la mia famiglia. Per quasi venti anni, lavorando con loro, ho sentito storie ed aneddoti su Luchino Visconti ed ho pensato che riprenderli mentre lo raccontavano, così come lo hanno sempre raccontato a me, potesse essere una testimonianza importante: avere come punto di riferimento un maestro credo sia fondamentale, in ogni campo, non solo nel cinema. La loro devozione nei confronti di Luchino Visconti è commovente e contagiosa. E poi è stato un omaggio che volevo fare da tempo al maestro di tutti noi, Armando Nannuzzi. Così con gli autori decidemmo di realizzarlo, con semplicità, dando spazio alle sole parole e foto, senza alcun contributo dei suoi film, permettendo solo alla musica di legare e accompagnare il tutto con note meravigliose di Rocco De Rosa.
Quale è stata l’eredità professionale di far parte di quel gruppo?
E’ stato un grande privilegio poter far parte di quel gruppo straordinario, di cui Armando Nannuzzi è stato il grande ‘’padre’’. Gli devo tutto. Se oggi sono una regista e produttrice indipendente lo devo agli insegnamenti ricevuti in quegli anni, all’educazione e all’esperienza avuta nei set dei film che ho fatto con loro. In verità non mi rendevo conto della grande fortuna che avevo di essere in quel contesto, l’ho capito quando poi è cambiato tutto, è cambiato il cinema, e sono scomparsi i maestri. Oggi cerco di trasmettere tutto ciò come posso, soprattutto ai giovani che iniziano questo mestiere, cercando di fare capire che oltre ad essere un bravo professionista è importante avere una personalità, farsi apprezzare e soprattutto scambiare e creare valore tra le persone.
Come è stato lavorare in un contesto prettamente maschile?
E’ stato difficile inizialmente, negli anni ’80, eravamo pochissime donne, forse tre o quattro in tutta l’Italia; percepivo la sorpresa di molti nel vedere una donna nelle vesti di operatore o direttore della fotografia, ma penso che le persone si distinguano per capacità professionale e non per differenza di sesso, e su questo ho sempre puntato. Fino a che sono stata con il gruppo dei miei maestri sono stata protetta, poi dopo è diventato più difficile inserirsi negli altri contesti, ma forse anche perchè tutto il cinema è caduto in crisi. Comunque ho sempre affrontato il lavoro con tranquillità e sicurezza nella mia professione senza sentirmi diversa, nonostante alcuni dolorosi rifiuti perché ero una donna. Non credo servano commenti. Questo però mi è servito per diventare autonoma e mi ha reso più forte. Poi quando ho potuto decidere e scegliere, ho sempre reclutato donne operatrici nei miei progetti, tutte delle grandi professioniste, anche questo documentario è stato girato da Barbara Fantini, bravissima operatrice e direttore della fotografia. Oggi sono molte e nessuno ci fa più caso, fortunatamente, forse anche grazie alla mia tenacia e di tutte quelle che hanno iniziato come me.
Nel documentario Mario Tursi ha messo ha disposizione il suo archivio fotografico. Parliamone.
Mario è stato fondamentale per il progetto, accettando fin da subito a mettere a disposizione il suo archivio. Mi ha dato fiducia, e una sera mi ha consegnato tutto l’archivio di Ludwig da selezionare, migliaia di scatti, forse seimila. Quella sera con uno degli autori abbiamo visionato in un colpo solo tutte le foto, per essere già il giorno dopo in grado di restituirgliele, perché mi sentivo di avere in consegna un patrimonio immenso. E’ stata una gioia ma anche una sofferenza: è stato difficilissimo scartare foto che erano dei capolavori ma non si poteva metterle tutte. Avere avuto a disposizione il suo intero archivio è stata una sensazione bellissima, ci sono passati sotto gli occhi tutte le situazioni di set e fuori set, attori, scenografie, costumi, tecnici al lavoro…un mondo fantastico. E così tra una meraviglia e l’altra abbiamo cucito le foto alle interviste e ci è sembrato tutto molto semplice e naturale farlo, utilizzando anche le foto personali degli intervistati, seppure in contrasto ai capolavori di Mario, che hanno dato un sapore di familiarità. Ritengo che l’archivio di Mario Tursi meriterebbe di essere esposto ovunque nel mondo perchè contiene l’essenza del cinema italiano nella sua massima espressione. Oggi la figlia Manuela, lo gestisce e lo promuove affinchè questo accada.