Dopo essere stato presentato in anteprima al 75° Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e Fuori Concorso al 40° Torino Film Festival, da giovedì 5 gennaio arriva nelle sale italiane Godland – Nella Terra di Dio, il nuovo film diretto dal regista islandese Hlynur Pálmason.
Il film
Alla fine del XIX Secolo, un giovane prete danese (Elliott Crosset Hove) raggiunge una remota regione dell’Islanda per costruire una chiesa e fotografare i suoi abitanti. Ma più si addentra in quel paesaggio spietato, più si allontana dal suo obiettivo, dalla sua missione e dai suoi principi morali.
Hlynur Pálmason racconta…
“Godland è ambientato all’epoca in cui l’Islanda era sotto la dominazione danese. La mia vita è stata divisa tra questi due paesi assai diversi fra di loro, che hanno contribuito a plasmarmi sotto diversi aspetti. Non è trascorso molto tempo da quando l’Islanda apparteneva alla corona danese e non ho mai visto il cinema interessarsi a questo soggetto. Il mio desiderio era esplorare gli opposti: nel paesaggio, nel temperamento degli uomini e nella lingua come fonte di incomprensione, ma anche gli opposti nelle convenzioni e nei sentimenti e come essi si rivelino quando questi due paesi vengono messi a confronto. Penso che l’eco di quell’epoca risuoni ancor oggi, perché, in un certo senso, non siamo molto differenti come esseri umani. Tutti noi proviamo ancora gli stessi sentimenti, desideri e bisogni primitivi e condividiamo lo stesso fato in quanto esseri mortali destinati a tornare polvere“.
“Il film esplora i legami familiari, l’accettazione del mito o di una sorta di magico realismo. Questo film parla anche di un viaggio nell’ambizione, nell’amore, nella fede e nel timore di Dio. Parla del bisogno e della volontà di trovare il proprio posto all’interno di tutto ciò, di essere visti e di far parte di qualcosa. Parla della comunicazione, dell’aspetto straniante del dialogo e del modo in cui comunichiamo, o piuttosto, della nostra difficoltà nel comunicare. Parla di conflitti interiori ed esteriori. Parla dell’umanità e della natura e di come questi due estremi collidano, attraverso l’uomo, gli animali e il mondo che ci circonda. Alla fine ho compreso che questo film parla soprattutto di ciò che ci divide e di ciò che ci unisce. E mi ha sorpreso scoprire che, in definitiva, la morte potrebbe essere l’unica cosa che ci accomuna. È questo il nucleo del film, il suo cuore pulsante”.