Una grande storia di coraggio, uno Spotlight francese in cui a vincere è la speranza. Tratto da fatti realmente accaduti, giovedì 17 ottobre arriva al cinema Grazie a Dio, il film di François Ozon vincitore del Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival di Berlino.
Il film
Alexandre (Melvil Poupaud) vive a Lione con moglie e figli. Un giorno, per caso, scopre che il prete (François Marthouret) dal quale era stato molestato da piccolo lavora ancora a contatto con i bambini. Decide così di agire, supportato da altre due vittime del parroco, François (Denis Ménochet) e Emmanuel (Swann Arlaud). I tre uomini uniscono le forze per abbattere il muro di silenzio che circonda il loro dramma. Nessuno di loro sarà però indenne da ripercussioni e conseguenze.
François Ozon
Vi proponiamo un estratto dell’intervista rilasciata dal regista François Ozon.
Grazie a Dio è il suo primo film tratto da una storia di attualità e con tanti personaggi…
La mia idea iniziale era di fare un film sulla fragilità maschile. Ho portato molti personaggi femminili forti sullo schermo. Questa volta ho voluto volgere la mia attenzione su uomini che sono visibilmente sofferenti e estremamente emotivi, stati d’animo che di solito associamo al genere femminile. La prima idea per il titolo infatti era The Crying Man. Poi mi sono imbattuto nel caso Preynat. Nel sito creato dalle vittime “La Parole Libérée”, ho letto storie di uomini vittime di abusi perpetrati da uomini di Chiesa. In particolare mi ha colpito Alexandre, un cattolico fervente che denunciava gli abusi che aveva nascosto fino all’età di 40 anni, quando finalmente si è sentito pronto a raccontare la sua storia. Sul sito erano pubblicati anche filmati con interviste, articoli e la corrispondenza mail tra Alexandre e alcuni rappresentanti delle gerarchie della Diocesi di Lione tra cui il Cardinale Barbarin e Régine Maire, la psicologa incaricata dalla Chiesa di supportare le vittime dei preti. Sono rimasto molto colpito dai documenti pubblicati sul sito così ho deciso di cercare Alexandre.
Ci racconti cosa è successo.
Ha portato con se un file della corrispondenza con la Chiesa fin dalla sua prima denuncia. Mi ha colpito molto la fiducia che ha dimostrato mostrandomi quelle lettere. Alcune potete sentirle in voice over all’inizio del film. Ho anche pensato di farne un documentario. Ho incontrato Alexandre spesso e ho portato avanti una specie di inchiesta giornalistica, incontrando le altre vittime come François e Emmanuel e le persone che gli sono vicine, le mogli, o i loro compagni, la madre di Emmanuel, i loro avvocati… non ho voluto filmare queste interviste, ma ho ascoltato e preso nota.
Cosa le ha fatto decidere di realizzare un film e non un documentario?
Quando ho iniziato a spiegare il mio progetto alle vittime, ho sentito che erano reticenti all’idea che realizzassi un documentario. Avevano già fatto tante interviste con i media ed erano apparsi in servizi giornalistici e reportage. Erano invece interessati al tipo di approccio di un regista di cinema. Immaginavano un film tipo Spotlight dove sarebbero stati interpretati da attori famosi. Così ho pensato: questo è quello che si aspettano da me ed è anche quello che penso di saper fare meglio. Ero preoccupato dalla realizzazione del film, perché le persone che avevo incontrato mi piacevano veramente e avevo paura che non sarei stato capace di trasporli sullo schermo, in un modo che avrebbe reso loro giustizia.
Il film inizia con il cardinale che cammina di spalle, poi contempla la città di Lione dall’alto della Basilica di Notre- Dame de Fourvière.
Era fondamentale collocare il film a Lione. Lione è stato il primo luogo della cristianità in Gallia ed è legata ad una tradizione molto conservatrice della Chiesa. Geograficamente, la basilica sulla collina con la vista su tutta Lione, è una metafora del potere che la Chiesa detiene su tutta la città. L’intenzione non è mai stata di esprimere una condanna nei confronti della Chiesa ma di indagare le contraddizioni interne e la complessità del caso.
È tutto chiaro sin dall’inizio del film. Non c’è suspense sugli abusi commessi. La tensione è nelle conseguenze che avranno le dichiarazioni di Alexandre.
Dovevamo partire in quarta e puntare dritto al cuore della questione, scandire il ritmo con lo scambio di mail tra Alexandre e la Chiesa. Ho trovato queste mail così potenti e ben scritte che volevo assolutamente usarle, anche se i finanziatori del film erano preoccupati di utilizzare i voice over. Quello che più mi affascina e che mi disorienta in questo caso è che ogni accusa è stata dimostrata. I fatti sono tutti lì, ma a questi non sono seguite le azioni, rendendo l’ingiustizia ancora più grave e incomprensibile. Avrei potuto basare l’intero film sullo scambio di mail tra le vittime e la Chiesa, e tra le vittime stesse. I social e internet hanno giocato un ruolo significativo, permettendo la creazione del sito “La
parole libérée”. Ho utilizzato elementi che ho preso dal sito per scrivere le scene degli incontri dell’associazione. Anche se nella vita vera non si conoscevano così bene tra di loro.
I partner di Alexandre e François sono molto presenti nel film.
Così come nella vita reale. Senza di loro tutto sarebbe stato ancora più difficile. I loro compagni hanno condiviso pienamente la loro battaglia. Le vittime hanno sofferto così lungamente in silenzio che quando finalmente hanno potuto parlarne, le loro parole hanno travolto tutti quelli che avevano intorno, suscitando anche gelosie come nel caso del fratello di François, che ha sbottato “ne ho abbastanza dei tuoi preti. Mamma e papà non parlano d’altro!”. Ho voluto che il pubblico percepisse la violenza fisica e emotiva che è esplosa, quando finalmente le vittime hanno potuto condividere le loro storie. Volevo che le ripercussioni fossero visibili.
Alexandre sarebbe stato una vittima tutta la vita se non avesse dimenticato Padre Preynat.
La sua osservazione solleva quesiti che ho preso in considerazione. La redenzione cattolica alimenta il confronto, cosa che invece gli psicologi delle vittime ritengono essere un’aberrazione perché pone ancora una volta Alexandre nella posizione di vittima che deve accusare colui che ha abusato di lui, che è quello che Preynat continua ad essere. Perché il confronto possa essere positivo e risolutivo devi abbandonare l’ambiguo spazio della morale e della religione ed entrare in un ambito legale. Il che pone la domanda: l’atteggiamento di attesa della Chiesa è un sintomo di una istituzione invecchiata rallentata nei suoi modi o è radicato nella cultura stessa della religione Cattolica, una religione basata sul perdono? Barbarin diceva, “la porta è sempre aperta per i peccatori” pur ammettendo che Preynat dovesse essere punito. La sua posizione è sempre stata ambigua. Da quale parte stava veramente? Questa ambiguità fa sorgere in Alexandre dei dubbi sulla sua fede, come mette in evidenza la scena finale quando il figlio gli chiede: “Credi ancora in Dio?” la vera questione è: credi ancora nell’istituzione cattolica?
Pensa che questo film possa aiutare a cambiare le cose?
Ho fatto vedere il film ad un prete che ha detto “questo film potrebbe essere una opportunità per la Chiesa. Se la Chiesa lo sostenesse, potrebbe finalmente simboleggiare un’assunzione di responsabilità sulla pedofilia al suo interno e combattere questa piaga una volta per tutte”. Spero che accada.