C’è un’opera italiana che sta letteralmente conquistando gli Stati Uniti ed in particolare la città-simbolo del cinema, Los Angeles. Stiamo parlando di I Am Banksy, il nuovo cortometraggio scritto e diretto da Samantha Casella dedicato al misterioso artista cult, massimo esponente della street-art e simbolo di una generazione. I Am Banksy – prodotto da The Wild Bunch – è un ottimo cortometraggio che coinvolge lo spettatore e lo rende complice di una ricerca impossibile, folle e dannatamente rischiosa. Protagonisti sono Marco Iannitello, Caterina Silva, Diego Verdegiglio, Roberto Rizzoni, Mirko Ciorciari e Matteo Fiori.
I Am Banksy
Un giornalista spregiudicato e arrivista (Marco Iannitello) è disposto a tutto pur di scoprire l’identità di Banksy, un artista del nostro tempo totalmente avvolto dal mistero le cui opere intendono denunciare le assurdità della società occidentale, la manipolazione mediatica, l’omologazione degli individui, l’atrocità della guerra, la falsità della politica, l’inquinamento, lo sfruttamento minorile, la brutalità della repressione poliziesca, il feticismo che avvolge il collezionismo. Nella sua disperata ricerca, il giornalista incontrerà lungo la strada un ex componente della prima “banda di strada” di Banksy (Mirko Ciociari), un professore che sostiene di aver avuto come allievo il leggendario artista (Diego Verdegiglio), un improponibile “socio” che ha pagato sulla sua pelle l’avventurosa esperienza (Matteo Fiori) e un gallerista sornione (Roberto Rizzoni). Ormai travolto da un vortice dove verità e menzogna si confondono tra loro, ignaro del pericolo che sta correndo, la discesa negli inferi del protagonista si concluderà alla corte di Anubi (Caterina Silva).
I riconoscimenti
I Am Banksy ha vinto il premio Best International Short al Theatrical Release Competition & Awards, dopo aver vinto nella categoria Miglior Cortometraggio Straniero al Los Angeles Independent Film Festival Award. In precedenza ha trionfato nella categoria Best Mystery Short all’Olympus Film Festival, svoltosi presso il Laemmle NoHo 7 a Los Angeles. Altri premi sono stati: il Best International Short al Golden State Film Festival di Los Angeles, quello per la Miglior Regia al Gulf of Naples Film Festival e il Miglior Suono al Silicon Beach Film Festival, svoltosi sempre nella “città degli angeli”. Recentemente è stato in concorso al Los Angeles Theatrical Release Competition & Awards, organizzato a Malibù (dall’11 al 17 ottobre), mentre dal 18 ottobre è in gara al Festival di Marina Del Rey, presso il Cinemark del Peomenade at Howard Hughes Center.
Intervista a Samantha Casella
In I Am Banksy si confrontano due mondi distanti, ma allo stesso tempo uniti da un filo invisibile: il cannibalismo esercitato dalla società (il giornalista arrivista e senza scrupoli) e quello per l’appunto teoricamente puro dell’arte (Banksy). Oltre ai premi, tutti prestigiosi, a parlare del corto però deve essere soprattutto la regista, Samantha Casella. Per questo l’abbiamo intervistata.
Samantha, mi accodo ai tanti che ti hanno già premiato. I Am Banksy è ben riuscito, scorrevole, ti cattura, grazie a storia e interpreti, e ti dà l’impressione di aver visto un lungometraggio. Poi, come si può capire dal nome del sito, ho apprezzato particolarmente il cameralook del giornalista. Che parla direttamente allo spettatore. Da dov’è nata questa scelta?
Inizialmente ho pensato che la video confessione avrebbe permesso allo spettatore di entrare più facilmente nel contesto, di familiarizzare con il giornalista e allo stesso tempo di conoscere meglio Banksy tramite una sorta di primo capitolo documentaristico. Al che, la struttura si è un po’ scritta da sé, dato che anche il segmento narrativo, in cui vengono alternati flashback inerenti alla ricerca sul campo del giornalista, ha permesso di snellire i tempi, quindi di raccontare una storia in poco più di 15 minuti.
Le opere d’arte di Banksy, come viene spiegato nel corto, veicolano diverse tematiche che criticano la nostra epoca e la nostra società. Tu personalmente cosa ne pensi?
Onestamente Banksy non è tra i miei artisti preferiti proprio perché le tematiche sociali difficilmente mi coinvolgono. Diciamo che per una serie di casi si è delineata la possibilità di costruirci intorno un piccolo noir ed ho provato a farlo. Personalmente credo che quando di qualcosa, di qualsiasi cosa, se ne parla troppo, quando diventa un caso mediatico, la strumentalizzazione sia innegabile. Non vedo tutta questa purezza gravitare intorno alla critica della nostra società, della nostra epoca, penso sia semplicemente la critica astuta di un nome prestato a un sistema che non è detto non sia altrettanto impuro.
Il fatto che la vera identità di Banksy resti un mistero (proibito, da tenere celato) rappresenta probabilmente una scelta comunicativa studiata a tavolino che altro non fa che aumentare il clamore e il rumore su questo mister X. Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio fenomeno/farsa – che comprende tutto e il contrario di tutto – che altro non fa che stordire e distrarre la massa dai messaggi/denunce che attraverso le sue opere invece dovrebbero svegliarci. Secondo te esiste questa contraddizione? È più grande l’Arte o l’Artista?
Condivido ogni parola. Banksy odia questa società, la quale lo ha però forgiato con tutte le sue grandezze e le sue brutture. Banksy odia il collezionismo, ma di fatto le sue mosse commerciali sono altrettanto dubbie. Banksy sopratutto non ha volto, quindi è impossibile instaurare “un dibattito”, è impossibile replicare alle sue accuse. Se sia più grande l’arte o l’artista, parto da una mia opinione: penso che scopo dell’artista sia quello di rendere la propria arte più grande di lui stesso. Banksy lo fa? Non credo. Certo è che per gli artisti ogni epoca può essere difficile, in ogni epoca un artista doveva un po’ sapersi vendere. Banksy lo ha saputo fare.
Lo scorso anno uscì al cinema L’Uomo Che Rubò Banksy, il film evento di Marco Proserpio narrato da Iggy Pop che descriveva sia lo sguardo palestinese su un’arte di strada di matrice occidentale e sui messaggi che la Street Art veicola sul muro che separa Israele dalla West Bank, sia la nascita di un mercato parallelo, tanto illegale quanto spettacolare, di opere di Street Art prelevate dalla strada senza il consenso degli artisti. Tu cosa pensi di questo secondo aspetto?
Penso che l’arte sia stata, è e sarà sempre mercificata, mentre al contrario dovrebbe essere di tutti. Non si arriverà mai a quel punto, purtroppo l’arte non sarà mai circondata da fini puri, non fa interesse a nessuno, penso nemmeno agli artisti perché tutto sommato sono i collezionisti stessi a decretare in parte il “valore”, il “prezzo” delle opere. Per la Street Art credo stia accadendo la stessa cosa, o per lo meno, rimarrei stupita se non si andasse verso quella direzione.
Lasciando un attimo da parte Bansky, cosa pensi in generale della street art? Secondo te la sua efficacia e forza camminerà sempre allo stesso passo della società che evolve (o involve)? O diventerà una forma d’espressione ormai sorpassata dalla sempre più dilagante grafica digitale?
Non saprei, a Los Angeles ho avuto modo di entrare in contatto con un artista che io trovo meraviglioso: Morley. Lui si occupa di street art, ma attraverso manifesti su cui scrive adagi, riflessioni, desideri, miraggi. La sua non è un’arte destinata a essere cancellata, sono parole che per quanto potrebbero venir strappate, basta qualche colpo di rullo per ritrovarle incollate da qualche altra parte. La sua unicità prende vita proprio daquesto: se l’arte è sempre in balia delle mode, le parole no, se uscite dal cuore, accompagnano lo scorrere dei secoli restando sempre attuali. Ecco, io credo che dipenderà molto dall’uso che se ne farà della street art.
Samantha, ma secondo te, alla fine, chi è davvero Bansky?!
Ovviamente non ho una risposta e spero di non averla mai. Banksy è un mistero e spero rimanga tale.
Intervista di Giacomo Aricò