Mercoledì 26 maggio su Netflix arriva il tanto atteso Il Divin Codino, il film diretto da Letizia Lamartire che racconta la carriera calcistica di Roberto Baggio, interpretato da Andrea Arcangeli. Il biopic dedicato ad un immenso campione, vede protagonisti anche: Valentina Bellé, Andrea Pennacchi, Antonio Zavatteri, Martufello e Thomas Trabacchi.
Il film
Dalle prime pallonate nella sua Caldogno – frantumando vetri su vetri nell’officina di suo padre Florindo (Andrea Pennacchi) – al calcio professionistico. Partendo dagli esordi, nel 1982, nelle fila del Lanerossi Vicenza e passando dal controverso calcio di rigore della Finale di Coppa del Mondo 1994 tra Italia-Brasile, il film ripercorre la vita di Roberto Baggio (Andrea Arcangeli), dal suo difficile debutto come calciatore fino all’addio ai campi avvenuto nel maggio del 2004, quando militava nel mitico Brescia allenato da Carlo Mazzone (Martufello).
Supportato dalla sua anima gemella Andreina (Valentia Bellé), dal suo manager Vittorio Petrone (Thomas Trabacchi) e dal Buddhismo, Roberto Baggio è diventato una Leggenda del calcio mondiale, amato e riconosciuto da tutti gli appassionati di pallone del mondo. Una carriera, la sua, lunga 22 anni che, attraverso gli infortuni, il rapporto di amore-odio con i suoi tifosi, le incomprensioni con alcuni dei suoi allenatori – da Arrigo Sacchi (Antonio Zavatteri) a Giovanni Trapattoni (Beppe Rosso) – e il rapporto con la sua famiglia, racconta i grandi successi sul campo di un professionista fenomenale e soprattutto di un grande uomo.
L’Uomo oltre al Mito
Osannato dai tifosi e protagonista di alcune delle imprese più spettacolari che le cronache calcistiche ricordino, Roberto Baggio è l’eroe la cui fama resiste negli anni senza scolorire. Il Divin Codino celebra l’uomo, oltre il mito, con un biopic che racconta gli anni centrali della sua carriera. A partire da quel maledetto calcio di rigore nella finale di Pasadena del Campionato Mondiale di Calcio giocato negli USA nel 1994. Italia e Brasile, bloccate per 120 minuti sullo 0-0, arrivarono a sfidarsi dal dischetto. A Baggio toccò l’ultimo penalty, con il Brasile già in vantaggio per 3 a 2. Calciò alto (una cosa per lui più unica che rara) spegnendo definitivamente ogni sogno di gloria.
L’umiltà come corazza
Eppure Baggio durante la sua carriera ha fatto molto di più, portando nel gioco del calcio l’etica professionale e i valori trasmessogli dalla numerosa famiglia. Nella sua figura, nelle sue riflessioni – indissolubilmente legate ai suoi sentimenti – vediamo la profondità d’animo di un campione che, anche negli anni di maggior successo, ha fatto dell’umiltà la sua corazza. Pur tralasciando pagine fondamentali della sua storia professionale – come le stagioni vissute alla Juventus (dal 1990 al 1995, e fu proprio a Torino che vinse, nel 1993, il Pallone d’Oro), al Milan (1995-1997), al Bologna (1997-1998) e all’Inter (1998-2000) – gli autori Stefano Sardo e Ludovica Rampoldi, ispirati dalla sua vita e dalla sua figura, hanno raccontato il viaggio di un uomo dal talento immenso e dalla storia personale tormentata.
Il Supereroe di un’intera generazione
In uno scenario internazionale dominato dal racconto di supereroi, agli autori de Il Divin Codino è sembrato naturale avvicinarsi a una figura che, se non fosse esistita davvero sui nostri campi di calcio, sarebbe potuta apparire su un albo della Marvel. La provincia, l’ascesa al club più importante, quel rigore sbagliato, la spiritualità, persino il codino, tutto concorre a fare di Roberto Baggio il supereroe di un’intera generazione. Una generazione che oggi (più che mai) ricorda con nostalgia gli anni ’80 e ’90: era un calcio diverso – dove i calciatori facevano solo i calciatori e non erano i divi narcisi (e social) di adesso – era una vita diversa. Noi tutti eravamo diversi.
Un condottiero silenzioso
Il momento della partita, soprattutto di un Mondiale di calcio, diventava un vero momento di condivisione che mai si sarebbe dimenticato. Lo si viveva intensamente, in famiglia o con gli amici, dopo una pizza, con una bibita vicino, nelle calde, lunghe e afose serate d’estate. Idealmente, quelle partite le giocavamo tutti insieme, il calcio è sempre stata una metafora della vita. E Roberto Baggio metteva d’accordo tutti, con quel suo Codino, era il fuoriclasse che ci faceva sognare, che ci guidava sul campo come un silenzioso condottiero, armato di un talento unico.
Non mollare mai
Attraverso la sua carriera Baggio, ci ha insegnato a non mollare mai. Dopo ogni caduta, si è sempre rialzato, spinto dalla passione, dall’amore, dalla forza di un sogno. Simbolo di uno Sport basato sulla lealtà e la correttezza, da molti anni Roberto ha deciso di stare lontano dai riflettori. Anche in questa scelta, coerente e sentita, sta la sua grandezza. Per ogni gol, per ogni emozione che mi hai regalato, per ogni insegnamento che mi hai trasmesso semplicemente giocando come sapevi fare solo tu, GRAZIE. E grazie a te e alle tue imprese quei momenti in cui ti ho tifato da bambino non svaniranno mai dalla mia mente e dal mio cuore.
Giacomo Aricò
Diodato – L’Uomo Dietro il Campione
“Più di vent’anni in un pallone. Più di vent’anni ad aspettare quel rigore. Per poi scoprire che la vita, era tutta la partita. Era nel raggio di sole che incendiava i tuoi sogni di bambino. Era nel vento che spostava il tuo codino, che a noi già quello sembrava un segno divino. Era cercarsi un posto in mezzo a un campo infinito. E poi trovare la gioia, quando il tempo ormai sembrava scaduto. Era cadere e rialzarsi ascoltando il dolore. Sentire come un abbraccio arrivarti dal cuore di chi ti ha visto incantare il mondo con un pallone. Senza nascondere mai l’uomo dietro il campione”.
“E poi c’è tutta la passione. E quella cieca e folle determinazione. Che la destinazione a volte è un’ossessione. Le cicatrici e i trofei, a ricordarti chi sei stato e cosa sei. E maglie stese ad asciugare, sul filo di un destino che oggi può cambiare. E lì a cercarsi un posto in mezzo a un campo infinito. Per poi trovare la gioia quando il tempo ormai sembrava scaduto. E poi cadere e rialzarsi accettando il dolore, sentire come un abbraccio arrivarti dal cuore. Di chi ti ha visto incantare il mondo con un pallone. Senza nascondere mai l’uomo dietro il campione. Che poi Roberto in fondo tutto questo amore è pure figlio del coraggio. Di quel campione che toccava ogni pallone come se fosse la vita. Lo so potrà sembrarti un’esagerazione, ma pure quel rigore a me ha insegnato un po’ la vita”.