Il primo gennaio 2015 arriva al cinema Big Eyes, l’ultima straordinaria opera di Tim Burton che ha scelto di girare un film-biopic diverso dai suoi lavori precedenti, sia per tematica (nessuna storia di fantasia), sia per il budget a disposizione (qui molto ridotto). Amy Adams e Christoph Waltz sono i protagonisti di questa storia vera, una delle più leggendarie frodi artistiche della storia.
A cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, il pittore Walter Keane (Christoph Waltz) raggiunse un enorme e inaspettato successo, rivoluzionando la commercializzazione dell’arte con i suoi enigmatici ritratti di bambini dai grandi occhi. Finché non emerse una verità tanto assurda quanto sconvolgente: i quadri, in realtà, non erano opera di Walter ma di sua moglie, Margaret (Amy Adams). A quanto pare, la fortuna dei Keane era costruita su un’enorme bugia, a cui tutto il mondo aveva creduto: una storia così incredibile da sembrare inventata.
Nel 2003, la coppia di sceneggiatori Scott Alexander e Larry Karaszewski (già vincitori di un Golden Globe per Larry Flynt – Oltre lo Scandalo), sono venuti a conoscenza dell’incredibile storia di Margaret and Walter Keane, i due pittori degli anni sessanta, tra i più famosi e venduti all’epoca. Incuriositi, hanno cominciato a documentarsi su una vicenda che sarebbe diventata un film solo dieci anni dopo. “Sono molte le ragioni per cui volevamo trarne un film”, spiega Karaszewski. “Tanto per cominciare, Margaret ci sembrava uno straordinario personaggio femminile, che in qualche modo incarnava lo spirito del nascente Movimento femminista. All’inizio del film è una qualsiasi casalinga degli anni cinquanta, che fa tutto per il marito. Nel corso della storia, però, imparerà ad affermare se stessa”.
Alexander e Karaszewski, due grandi esperti di biopic (hanno scritto anche il film sul comico Andy Kaufman in Man on the Moon, sull’attore Bob Crane in Auto Focus), avevano già lavorato con Tim Burton in Ed Wood: “era la storia di un uomo che all’epoca veniva considerato il peggior regista di tutti i tempi. E c’è chi pensa che i Keane siano i peggiori artisti di tutti i tempi. Abbiamo pensato che facendo questo film avremmo potuto raccontare una storia personale molto intensa, e insieme parlare del mondo dell’arte e del movimento delle donne” prosegue Alexander.
I due sceneggiatori sono rimasti subito affascinati dalla storia dei Keane. “Praticamente, Walter ha inventato la commercializzazione di massa dell’arte”, osserva Karaszewski. “Non era accettato nelle gallerie d’arte o dai critici, e così si è costruito le sue gallerie, ha pubblicato i suoi libri d’arte. Ha trovato il modo di fare quadri così economici da essere alla portata di tutte le tasche, rivoluzionando completamente il mondo dell’arte. Sicuramente, personaggi come Peter Max o Thomas Kinkade, venuti dopo di lui, hanno fatto tesoro della sua esperienza, e perfino Andy Warhol ammette di avere attinto alla filosofia di Walter Keane. Ma la cosa più incredibile era il segreto che nascondeva: i quadri erano di sua moglie, e Walter era riuscito a convincerla a farli firmare a lui che se ne prendeva tutto il merito. Ci è sembrata una grande storia americana che meritava di essere raccontata”.
I due sceneggiatori hanno incontrato Margaret Keane (oggi ha 86 anni e vive nella periferia di San Francisco) per parlarle del loro progetto: “abbiamo capito che all’epoca Margaret aveva la tipica mentalità della casalinga anni cinquanta, per cui l’uomo era il capofamiglia e dettava le regole. D’altro canto, tutte le cose che Walter le promise – bisogna dargliene atto – si realizzarono davvero. Le disse che sarebbero diventati ricchi e famosi, e che avrebbero vissuto in una grande casa. Dopo tanti anni, Margaret dice ancora che senza Walter nessuno avrebbe scoperto la sua arte. Continua ad attribuirgli buona parte del merito”. Margaret Keane, che nel film recita anche in una piccola parte, ha accettato di vendere ad Alexander e a Karaszewski i diritti sulla sua vita e le sue opere.
Inizialmente Alexander e Karaszewski avrebbero dovuto dirigere il film in prima persona mentre Tim Burton avrebbe solamente fatto da produttore: “Tim adora i quadri di Margaret”, osserva Alexander. “Si identificava nell’idea di outsider art (l’arte praticata da autodidatti o da pittori naïf che non si sono mai “istituzionalizzati”), e anche lui si è sempre chiesto perché l’arte debba essere legittimata dal giudizio dei critici. In effetti, il film parla proprio di questo”.
Tim Burton è cresciuto negli anni d’oro dei Keane, e conosceva bene le opere di Margaret. Così tanto che ad un certo punto arrivò a commissionargliele alcune. Del resto è cosa risaputa che Burton è anche un apprezzato artista visuale. I suoi lavori e lo stile unico che lo contraddistingue sono stati influenzati dai dipinti di Margaret Keane. “In molti hanno tracciato dei paralleli tra le opere della Keane e quelle di Tim”, spiega Fey, che ha curato il libro The Art of Tim Burton, e ha collaborato con i curatori del MoMA alla recente mostra itinerante dedicata a Tim Burton, che ha fatto il giro del mondo. “Molti dei suoi personaggi hanno grandi occhi tondi e non è certo una coincidenza. Tim si è sempre identificato con personaggi che hanno quel tipo di aspetto, e non si erano mai viste opere del genere nella cultura di massa, prima della Keane. Sono certo che, da ragazzo, Tim ne sia rimasto profondamente influenzato”.
L’attrice Amy Adams, aveva letto la sceneggiatura in una prima fase del progetto, ma all’epoca non se l’era sentita di interpretare il ruolo di Margaret: “quando ha ripreso in mano la sceneggiatura una seconda volta, le cose erano cambiate, ero diventata madre e vedevo il mio personaggio da una prospettiva completamente diversa: non mi sembrava più una donna così insicura. La storia mi aveva interessato fin dall’inizio, ma è stata Margaret a conquistarmi. Margaret è una persona complessa, come la maggior parte degli esseri umani. E’ una donna umile e riservata, e forse proprio per questo si lascia manipolare dal marito”. Per prepararsi al ruolo, la Adams ha conosciuto la Signora Keane di persona: “ho capito che è umile, sì, ma anche forte e spiritosa. Non volevo essere indiscreta: mi interessava solo capire chi fosse e come fossero andate le cose. Ho scoperto anzitutto una donna gentile”.
Mentre Amy Adams ha voluto documentarsi a fondo e incontrare Margaret, Christoph Waltz ha scelto un approccio completamente diverso, affidandosi esclusivamente alla sceneggiatura. Dice: “Mi sono tenuto alla larga da qualsiasi riferimento reale, perché a cosa mi sarebbe servito? Non dovevo girare un documentario, ma interpretare un ruolo. E credo che un’opera narrativa abbia un ruolo diverso nella nostra vita e nella società”.
Per lo sceneggiatore Alexander, Walter Keane è stato un autentico genio. “Fu lui a dire per primo: perché non dovremmo vendere l’arte al supermercato o nei grandi magazzini o in una stazione di servizio? All’epoca l’arte era ancora un fenomeno misterioso e lontano, per la gente comune. Ma in questo caso, parte del mistero era anche che l’autore di quei quadri fosse Walter: c’era qualcosa di strano in un pittore maschio e virile, che dipingeva bambini piangenti e storie assurde di orfanelli tristi e scheletrici, dai grandi occhioni tondi. Quando poi scopri come stavano le cose in realtà, tutto acquista un senso: Margaret era una donna triste e dipingeva bambini tristi. Quel tipo di opere andava per la maggiore negli anni sessanta. Chi è cresciuto in quegli anni se li ricorda quei quadri, erano appesi dappertutto”.
Nonostante fossero tra le più vendute, le opere di Keane non erano accettate dal mondo dell’arte istituzionale che le giudicava kitsch. I ritratti stilizzati e sentimentali di bambini tristi erano quanto di più lontano dall’espressionismo astratto tanto in voga alla fine degli anni cinquanta. “L’arte tende ad essere seria e pretenziosa”, dice Alexander, “e nel nostro film ci sono persone che litigano e si accapigliano, sull’arte. Il critico del New York Times (Canaday, interpretato da Terence Stamp) odiava i Keane e non sopportava l’idea che guadagnassero tanti soldi e fossero invitati alla tivù. Gli sembrava una cosa terribile, e avrebbe voluto impedirla”. Eppure il loro mito, giunto anche al cinema, è diventato più forte che mai.
“Margaret ha finito per essere identificata con i grandi occhi dei suoi ritratti. In quei ritratti ha potuto esprimere tutta la sua tristezza, la sua sofferenza, le sue domande, e forse è per questo che la gente ne è rimasta conquistata. Sono opere che toccano corde profonde. Margaret ha saputo cogliere il senso di stupore, di curiosità e di vulnerabilità così tipico dell’infanzia”
Amy Adams