Solo il 16 e il 17 ottobre arriva al cinema – come Evento Speciale – Il Saluto (Salute), il documentario che racconta la storia del coinvolgimento di Peter Norman nel saluto Black Power alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Diretto da suo nipote Matt, il film racconta la vera storia di un eroe australiano dimenticato. Il Saluto è un viaggio nel tempo, negli anni ’60, per capire il perché di uno dei più famosi episodi della storia delle Olimpiadi e del ‘900.
La storia
16 ottobre 1968, Città del Messico, Olimpiadi, premiazione della finale dei 200 metri piani maschili. Sul podio salgono gli atleti afroamericani Tommie Smith e John Carlos – medaglia d’oro e di bronzo – e l’australiano Peter Norman medaglia d’argento. Alle note dell’inno americano Smith e Carlos chinano il capo e alzano al cielo il pugno guantato di nero, simbolo del Black Power, per protestare contro la segregazione razziale negli USA e rendere nota al mondo intero la lotta degli afroamericani per l’eguaglianza e i diritti civili. Un segno di protesta eclatante, inimmaginabile, fissato nella storia dell’umanità da una foto divenuta icona del 20° secolo. Una foto che ha reso eterno un saluto, divenuto gesto di libertà toccante, ineguagliabile. Un gesto lungamente meditato e costato caro ai due atleti afroamericani che – oltre ad essere espulsi dalla federazione di atletica statunitense – vennero perseguitati lungamente e videro le loro vite rovinate.
La coccarda dell’Olympic for Human Rights
In quella foto – così forte ed emblematica – si nasconde una storia: quella dell’atleta bianco, l’australiano Peter Norman, e di come fu decisa e preparata la protesta di Smith e Carlos. Norman, che nella foto quasi scompare oscurato dalla potenza del gesto dei due atleti afroamericani, porta al petto una coccarda identica a quella che portano gli altri due atleti: è la coccarda dell’Olympic Project for Human Rights, l’associazione promotrice della clamorosa protesta di Smith e Carlos. Un gesto di condivisione e solidarietà, vissuto con impassibile quiete che costerà a Norman – atleta bianco di una nazione in cui la segregazione razziale è altrettanto forte – oblio e carriera, conseguenza di una condanna politica e sportiva che durerà sino alla sua morte.
La potenza di una foto
Il Saluto (Salute) racconta la storia dietro la foto: quella di tre atleti che protestarono dinnanzi al mondo contro la diseguaglianza e l’ingiustizia e della loro amicizia che durò tutta la vita. Un viaggio per rileggere, dal punto di vista dello sport, cosa sono stati gli anni Sessanta, indagando uno dei più momenti più famosi e drammatici della storia delle Olimpiadi. Diretto da Matt Norman, nipote di Peter Norman, questo film è stato accolto in tutto il mondo come un autentico capolavoro, una “storia di sport che andrebbe insegnata a scuola”.
Fu grazie al fotografo John Dominis della rivista Life se quello “scatto” ha fermato il tempo, immortalato l’istante e consegnato alla storia dello sport una delle sue immagini più celebri. Nessun grido, nessun discorso, solo i corpi raccolti dei tre atleti, in un gesto, un saluto, a rompere l’indifferenza e fermarsi, per sempre, nella memoria collettiva, nella storia. La cerimonia “è effettivamente passata senza molto preavviso nello stadio olimpico”, scrisse il corrispondente del New York Times da Città del Messico, Joseph M. Sheehan; tre giorni dopo, il gesto di Smith, Carlos e Norman esplose sui quotidiani di tutto il mondo. La foto dei tre atleti sul podio della finale dei 200 metri piani a Città del Messico durante le Olimpiadi del 1968 è divenuta una delle icone del ‘900 ed una delle immagini più potenti e significative della storia moderna.
Il contesto storico
A pochi anni dalla crisi dei missili a Cuba e dal trattato nucleare, nel mezzo degli orrori della guerra in Vietnam, nell’anno degli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy, folle spaventate e disperate si ribellavano nelle strade dell’Europa e degli Stati Uniti sotto ove vi era una forte spinta per i diritti civili. Le nazioni nere discutevano se boicottare le Olimpiadi per protesta e gli atleti afroamericani sentivano la necessità di boicottare i giochi olimpici. Questo il contesto in cui venne a trovarsi Peter Norman le cui prestazioni avevano già sorpreso la squadra americana di Atletica Leggera. Chi era questo sconosciuto velocista australiano? Non era il tipico velocista – era calmo, gambe corte e bianco.
Il gesto di Peter Norman
Nella finale dei 200 metri piani fece la corsa della sua vita unendosi a Tommie Smith e John Carlos vincendo l’argento. Mentre attendevano la cerimonia di presentazione, Smith e Carlos parlarono a Peter dei loro piani. Uno dei due aveva dimenticato in albergo i guanti neri e, su consiglio di Peter, ne indossarono uno ciascuno. Nonostante la questione non lo riguardasse direttamente, Peter chiese ai due afroamericani di unirsi alla loro protesta. Sentiva che non si poteva non essere solidali con qualcuno che soffriva. Così, come Tommie e John, Peter indossò la coccarda dell’Olympic Project for Human Rights in supporto della loro silenziosa protesta. L’immagine di loro tre sul podio, gli afromaericani con pugno guantato di nero al cielo che fanno il “Black Salute”, è una delle immagini più potenti del 20° secolo. Poi seguirono le ripercussioni.
Le terribili conseguenze
Smith e Carlos esclusi dalla squadra, espulsi dalle olimpiadi e banditi per la vita. Le loro vite distrutte al tal punto che, più tardi, la moglie di Carlos si suicidò. La punizione inflitta a Peter fu meno drammatica ma egualmente distruttiva. Proveniente da una famiglia conservatrice in un paese che attuava una di immigrazione riservata ai soli bianchi, la posizione di Norman causò una tempesta. L’odio di gran parte dell’establishment australiano e dei media lo colpì duramente. Nonostante fosse il favorito per l’oro e qualificato 13 volte per i 200 metri piani e 5 volte per i 100, fu escluso dai giochi olimpici di Monaco del 1972 e dalla possibilità di vincere l’oro. Per la prima volta nella storia l’Australia non ebbe nessun velocista alle Olimpiadi.
Un eroe dimenticato
Ai giochi olimpici del 2000 in Australia Peter non fu nemmeno invitato. Il più grande velocista australiano di sempre, il cui tempo di 20 secondi netti a Città del Messico gli sarebbe valso la medaglia d’oro a Sidney ed avrebbe resistito come record australiano per quasi 40 anni, non fu invitato dalle autorità olimpiche australiane alla finale dei 200 metri piani. Fu invece invitato dalla squadra americana che lo fece volare a Sidney trattandolo come gradito ospite. Quale nipote di Peter Norman, Matt Norman ha potuto avere un rapporto molto stretto ed intimo con i tre protagonisti della storia riunendoli per la prima volta dopo quell’ottobre del 1968 e facendoli parlare dell’impatto che quell’evento ebbe sulle loro vite. Sfortunatamente un infarto colpì e uccise Peter Norman uccidendolo nell’ottobre del 2006, appena dopo aver visionato un primo montaggio del documentario. Smith e Carlos parteciparono al funerale portando la bara sulle loro spalle. Uno degli ultimi desideri di Peter Norman fu che questa storia venisse raccontata.
Un film necessario
Il regista Matt Norman ricorda: “non ho avuto nessun supporto dall’industria cinematografica e televisiva australiana né, tantomeno, dalle organizzazione sportive del mio paese. Ma ho avuto un grande aiuto dalla comunità afro americana che ama Peter appassionatamente“. Poi aggiunge: “è risaputo che Tommie Smith e John Carlos avevano opinioni diverse su quanto era accaduto quella notte del 16 ottobre 1968 a Città del Messico. Questa è la prima volta che tutti e tre i protagonisti di quella notte si sono seduti uno di fronte all’altro raccontandosi la vera storia di quanto accadde quella notte in Messico e, soprattutto, dopo. Anche se Peter non è più con noi, credo di aver dato una mano a chiarire un pezzo di storia del ‘900. Possiamo finalmente onorare il vero campione che Peter Norman è stato sia durante che dopo quella notte a Città del Messico“.
“Questo film è il mio Saluto al mio miglior amico, Peter Norman e credo gli restituirà il suo posto nella storia americana ed australiana quale incredibile atleta ed essere umano”.
Matt Norman