In occasione della Giornata Mondiale del Teatro, debutta il 27 marzo su Nexo+, la piattaforma di contenuti in streaming per un tempo libero di qualità ideata da Nexo Digital, Il Terremoto di Vanja, Alla Ricerca di Čechov un docufilm di Vinicio Marchioni con la voce narrante di Toni Servillo. Un atto d’amore verso il teatro, la letteratura e gli esseri umani che resistono, un omaggio agli spettatori, in attesa di poter tornare presto a vedere gli spettacoli dal vivo.
Il documentario
In questo docu-film, attraverso le prove e la tournée dello spettacolo tratto da Zio Vanja di Anton Čechov fino alla replica al teatro ridotto de L’Aquila, Vinicio Marchioni ci accompagna nella provincia italiana distrutta dal terremoto e nei luoghi dello scrittore russo. Due anni di riprese nei maggiori teatri italiani, nelle zone terremotate di Onna, Poggio Picenze, L’Aquila, nella provincia marchigiana, dieci giorni di riprese in Russia. Marchioni apre allo spettatore il laboratorio creativo delle prove, mostra il dietro le quinte del suo fare teatro, insegue la sua passione/ossessione per Č̌echov fino ai luoghi più importanti nella vita dello scrittore russo.
A dieci anni dal terremoto che ha distrutto L’Aquila e a tre da quello di Amatrice, Il Terremoto di Vanja, Alla Ricerca di Čechov parte dal capolavoro di Čechov – adattato per lo spettacolo nella provincia italiana distrutta dal terremotato assieme a Milena Mancini e all’autrice Letizia Russo – per indagare l’immobilità italiana post-terremoto attraverso lo sguardo tragicomico di Čechov, mostrando al pubblico la straordinaria forza umana dello scrittore e riportando l’attenzione sulle persone che ancora oggi combattono contro i danni subiti da quei tragici eventi. Grazie al dialogo ideale tra Marchioni e Čechov – a cui ha prestato la voce Toni Servillo – all’alternanza dei luoghi e delle situazioni filmate ora a colori, ora in bianco e nero e ai contributi di Andrej Končhalovskij, Gabriele Salvatores e Fausto Malcovati, il documentario prende per mano lo spettatore e lo conduce in un molteplice viaggio: all’interno del lavoro teatrale, nei luoghi del terremoto, nelle parole e nell’anima di Anton Čechov.
Vinicio Marchioni racconta…
“All’inizio di questo viaggio dentro Čechov credevo di avere una meta da raggiungere, al massimo un successo da ottenere grazie allo spettacolo Uno Zio Vanja, se fosse andato bene. Poi l’ho fatto e, dopo gli applausi alla fine della tournée, mi sono ritrovato immerso in quel silenzio assordante in mezzo alle macerie del terremoto che avevo voluto mettere in scena. Avevo speso ogni sera degli ultimi tre, quattro anni a leggere di Čechov, mi ero fatto un’idea abbastanza precisa su di lui e sulla sua opera; ero riuscito a farmi seguire da otto attori, quattro tecnici, due produzioni che mi hanno dato fiducia per mettere in scena una mia visione, che a oggi considero folle: quella di raccontare le crepe dell’Italia attraverso i temi di Čechov. E quelle crepe riviste prima della recita al teatro ridotto de L’Aquila mi hanno preso a calci dentro all’anima“.
“Cosa volevo cambiare? Che senso aveva il mio spettacolo davanti a quelle macerie? Con quale coraggio andare in scena proprio a L’Aquila e fargli rivivere quella tragedia? Lì sotto i morti c’erano stati davvero, delle vite erano state spezzate in due e dopo nove anni in molti paesi lì intorno non era stato toccato neanche un sasso. Quell’abbandono e quella desolazione della provincia italiana post terremoto che avevo sovrapposto a quelli della provincia russa di Čechov mi si paravano davanti con tutta la forza distruttiva del terremoto che li aveva causati. Per la prima volta in vita mia ho sentito di essere completamente inutile, che fare l’attore o il regista fosse completamente inutile. E per la prima volta ho sentito di essere perfettamente in asse con un personaggio che facevo, quello Zio Vanja che incarna tutto il fallimento possibile. Ma a che prezzo?“.
“Sono tornato a casa dopo la tournée, e anziché buttare tutti gli appunti come faccio di solito alla fine di un lavoro, li ho riaperti e riletti tutti da capo. Ho avuto la sensazione fisica di essere diverso rispetto a quello che aveva scritto quegli appunti due, tre o quattro anni prima. Credo migliore, non so spiegare perché. Ho chiuso tutto e sono stato in silenzio per un po’. La verità è che mi mancava Čechov, mi mancava come un amico lontano che non ti scrive più. Allora ho deciso di andare io da lui. Per conoscerlo ancora meglio, o anche solo per ringraziarlo per avermi insegnato a non giudicare le mancanze e fallimenti, ma ad amarli. I miei e quelli del prossimo“.