Diretto dal pluripremiato regista giapponese Hirokazu Kore’eda, giovedì 19 dicembre – con Double Line – arriva al cinema Il Terzo Omicidio, pellicola presentata in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 2017. Il film sarà proiettato in versione originale con sottotitoli per dare il giusto rilievo alle interpretazioni di Yakusho Koji, Fukuyama Masaharu e Hirose Suzu. La colonna sonora del film è stata creata dal più noto compositore italiano contemporaneo, Ludovico Einaudi.
Il film
Shigemori (Fukuyama Masaharu), un avvocato di successo, assume la difesa di Misumi (Yakusho Koji), un uomo di mezza età accusato di aver brutalmente ucciso e derubato il proprio capo. Il presunto assassino aveva già scontato una lunga pena detentiva per un duplice omicidio di cui si era macchiato 30 anni prima. Le possibilità di Shigemori di evitare la condanna a morte per il suo assistito sono poche, dato che l’uomo ha già ammesso chiaramente la propria colpevolezza. Mentre approfondisce il caso, ascoltando le testimonianze dei conoscenti di Misumi, dei familiari della vittima e dello stesso indiziato, Shigemori inizia a dubitare che l’uomo sia davvero colpevole.
Vincitore di 6 Japan Award in patria, Il Terzo Omicidio è un legal thriller che offre uno spaccato del mondo della giustizia giapponese e delle sue peculiari procedure. Ma è anche un film di Kore-eda Hirokazu, regista attento alle relazioni umane e che torna a trattare uno dei suoi temi più cari, quello della verità.
Kore-eda Hirokazu
Presentiamo qui sotto l’intervista rilasciata dal regista Kore-eda Hirokazu.
Il Terzo Omicidio è un dramma processuale ricco di suspense. Da dove ha tratto l’ispirazione?
In primo luogo, volevo rappresentare in modo corretto il lavoro di un legale. Poi, quando ho parlato con gli avvocati e con il supervisore legale di Father and Son, tutti mi hanno detto: «La corte non è il luogo dove stabilire la verità». Mi dissero che nessuno può conoscere la verità. Ho pensato che fosse un argomento interessante e ho sentito di voler fare un film di genere forense in cui la verità non viene rivelata.
Durante la stesura della sceneggiatura è incappato in molti passi falsi…
In passato, ho realizzato film da una prospettiva in cui i personaggi non venivano giudicati. In altre parole, ho filmato senza una prospettiva onnisciente. Tuttavia, i film di suspense e i drammi processuali non funzionano senza una prospettiva di questo tipo. Nonostante questo, non ne volevo adottare una, perciò ho lottato con questo conflitto.
Si percepisce un’autentica tensione quando guardiamo l’avvocato (Fukuyama Masaharu) interrogare l’assassino (Yakusho Kōji).
Ho fatto dei reading della sceneggiatura assieme a Fukuyama e Yakusho prima di iniziare le riprese. Le scene nel parlatorio sono state meravigliose. All’inizio pensavo di non volerne troppe perché sarebbero risultate statiche. Nei miei precedenti drammi familiari, pensavo a come avrei mosso le persone nello spazio. Per questo film, il parlatorio diviso in due dalla presenza del vetro, conteneva sostanzialmente persone sedute. Tuttavia, quando ho visto loro due interagire, ho pensato che queste scene sarebbero state molto intense. Così ho incrementato il loro numero nel film. Dopo aver visto gli attori al lavoro, sono riuscito a visualizzare l’ossatura del film.
La fotografia è molto potente, percorre le strade del cinema noir ma con una natura propria.
Questa volta ho puntato al look di un film di genere crime. Ho enfatizzato il contrasto tra luce e ombra, non la luce naturale che avevo usato nei film precedenti. Ho accolto consigli del direttore della fotografia Takimoto Mikiya, inoltre ho girato in CinemaScope. Con questo formato, i primi piani risultano molto efficaci: la scena con i tre avvocati che camminano fianco a fianco, per esempio, colpisce nel segno. Penso che abbia funzionato molto bene.
Come ha focalizzato la composizione delle inquadrature?
Nella mia testa avevo l’immagine dei crime-movie americani degli anni ‛50 e ho chiesto a Takimoto di guardare Il Romanzo di Mildred (Michael Curtiz, 1945). Abbiamo discusso di film che impiegavano bene il CinemaScope, come Seven (David Fincher, 1995) e diversi titoli diretti da Paul Thomas Anderson, così come Anatomia di un Rapimento (1963) di Kurosawa Akira. Abbiamo studiato come catturare le cose con il CinemaScope senza perdere il senso della tensione.
Questo film asserisce che il “giudizio” è stabilito senza tener conto della “verità”.
Solitamente un film raggiunge la verità verso la fine. Invece in questo film soltanto la procedura giuridica giunge a una conclusione, mentre i personaggi non conoscono la verità. Mostra che la nostra società tollera un sistema imperfetto che non può conservarsi a meno che le persone giudichino altre persone senza conoscere la verità.