Tra le pellicole cinematografiche incentrate sulla figura di Cristo c’è, senza alcun dubbio, Il Vangelo Secondo Matteo, il film diretto nel 1964 dal maestro Pier Paolo Pasolini, una fedele riproposizione del Vangelo secondo Matteo dal momento dell’Annunciazione alla Resurrezione di Gesù. Le tappe della vita di Gesù Cristo sono ripercorse senza variazioni nella storia, né cambiamenti anche testuali rispetto alla versione di san Matteo. Il Vangelo di Pasolini non intendeva mettere in discussione dogmatismi o miti, quanto far emergere l’idea della morte, uno dei temi fondamentali della sua poetica. Lo ricordiamo attraverso i punti di vista di due critici (Aruna Vasudev e Gianni Volpi).
“Il Vangelo Secondo Matteo è un film unico per molti motivi. Ricostruisce il Nuovo Testamento usando un cast interamente di non professionisti, ambientazioni scabre e completamente credibili e una fotografia in bianco e nero quasi documentaristica sulla scia del Neorealismo, che ebbe grande influenza sulle prime fasi della carriera di Pasolini. Pur non essendo il regista un credente, la sua personalità radicale e anticonformista era forse attratta dall’idea di un Cristo concepito come un agitatore e un rivoluzionario che esige rispetto, addirittura come un demagogo. Ma il vero successo di questo capolavoro è dovuto alla scelta di Pasolini di affidare il ruolo di Cristo a un giovane studente di letteratura spagnola, Enrique Irazoqui.
Nel miracolo dei pani e dei pesci, quando Cristo moltiplica cinque pagnotte e due pesci in una quantità inesauribile per una moltitudine di persone, egli chiede ai suoi seguaci di attraversare in barca un canale, dicendo loro che li raggiungerà dall’altra parte. Durante il trasbordo, i fedeli vedono uno spettro lontano che si avvicina a loro sull’acqua. Cala il silenzio, il vento svanisce, l’acqua cessa il suo sciabordio, mentre su di essa giocano baluginii luminosi. E si vede Cristo compiere un altro miracolo. La nuda bellezza del campo lungo sulla sagoma di Cristo che cammina sulle acque è rivelatrice. Non solo perchè è in grado di rivaleggiare con gli effetti speciali in digitale di qualsiasi film contemporaneo, ma anche perchè attira l’attenzione su se stessa all’interno di un’opera il cui approccio, altrimenti, è interamente Neorealistico. Si tratta di un momento sublime”.
Aruna Vasudev
“Pasolini compie qui una lettura integrale del Vangelo di Matteo che ambienta tra i sassi di Matera che gli permettono, dice, una trasposizione non archeologica del mondo antico nel mondo moderno. Nel Vangelo Pasolini traspone, con sanguinante sincerità e un vissuto senso del sacro, i propri “maligni, cocenti, inafferrabili elementi religiosi”. E lo fa sul filo di una visione paleocristiana che nega ogni fiducia alla Chiesa-Istituzione, recuperando invece valori che sono parte di altre ideologie, prima fra tutte il marxismo. La sua è una religione che vuole parlare ai poveri del mondo, e in essa si fondono passione e ideologia: da cineasta la cui grandezza non è separabile dalle sue idee.
La sua poesia è appunto, alla lettera, vitale e scandaloso messaggio. Il suo Cristo eremita è un violento predicatore di una verità radicale, la sua parola, rigorosamente filologica, s’incarna nella lingua scritta della realtà (è anche il titolo di un suo “saggio eretico”). Il sacro, nella sua inattualità, si fa linguaggio attivo, crudo, ma pure, pasolinianamente, di un originale e colto sincretismo di figurazioni che cerca tra la gente reale il tipo originario rispondente al modello pittorico. Detto in altri termini, moraviani, in Pasolini la realtà si manifesta come cultura. E nel Vangelo produce quel narrare “epico nella povertà e sontuoso nella semplicità” che impressiona”.
Gianni Volpi
“La mia lettura del Vangelo non poteva che essere la lettura di un marxista, ma contemporaneamente serpeggiava in me il fascino dell’irrazionale, del divino, che domina tutto il Vangelo. Io come marxista non posso spiegarlo e non può spiegarlo nemmeno il marxismo. Fino a un certo limite della coscienza, anzi in tutta coscienza, è un’opera marxista: non potevo girare delle scene senza che ci fosse un momento di sincerità, intesa come attualità. Infatti, i soldati di Erode come potevo farli? Potevo farli con i baffoni, i denti digrignanti, vestiti di stracci, come i cori dell’opera? No, non li potevo fare così. Li ho vestiti un po’ da fascisti e li ho immaginati come delle squadracce fasciste o come i fascisti che uccidevano i bambini slavi buttandoli in aria”.
Pier Paolo Pasolini