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Il vino ha un sapore di famiglia nel Ritorno in Borgogna di Cédric Klapish

Giovedì 19 ottobre arriva nelle sale italiane Ritorno in Borgogna, pellicola che segna il ritorno alla regia di Cédric Klapisch, che in questo film ci accompagna alla riscoperta delle radici familiari attraverso il verdeggiante paesaggio che caratterizza la campagna francese della famosa regione vinicola della Borgogna. Protagonisti sono Pio Marmaï, Ana Girardot, Franҫois Civil e Maria Valverde.


Dieci anni fa Jean (Pio Marmaï) ha lasciato la famiglia, proprietaria di un grande vigneto a Meursault in Borgogna, per girare il mondo. A causa della malattia terminale del padre, decide di lasciare temporaneamente l’Australia, dove viveva con la moglie e il figlio, per tornare a casa e riunirsi con la sorella Juliette (Ana Girardot) e il fratello Jérémie (Franҫois Civil).

Ma la morte del padre poco prima dell’inizio della vendemmia ricopre i fratelli di nuove responsabilità, tra le quali la ricerca di una grossa somma di denaro con la quale pagare le tasse di successione. Al ritmo del susseguirsi delle stagioni, i tre giovani adulti riscoprono e reinventano i legami familiari, uniti dalla passione per il vino.

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Per scoprire le tematiche del film, vi proponiamo un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Cédric Klapish.

Ritorno in Borgogna unisce molti temi differenti.

Proprio come il vino. Che cosa c’è in un bicchiere di vino? Il terroir, ovvero la combinazione di un clima particolare, del sole, delle piogge, della geologia del terreno. Ogni elemento regala un profumo, un gusto, una densità particolare al vino. Penso sia fondamentale anche l’elemento dell’intervento umano – la scelta del tipo di viticultura, i metodi di coltivazione. Trovo affascinante che a Mersault ci siano centinaia di diversi proprietari e centinaia di metodi differenti di interpretare questo territorio. Quando un viticoltore firma una bottiglia, è come un regista che firma un film. Riprende il concetto di autorialità. Questo è tutto quello che si può trovare in un bicchiere di vino… questa complessità è lì contenuta. Il tempo e lo spazio, la storia e la geografia. Il matrimonio tra uomo e natura. Dovevo assolutamente fare in modo che il film raccontasse questo… è un mondo estremamente sofisticato. Per questo mi piace parlare di vino. Nel film seguiamo la produzione del vino nel corso di un anno. In parallelo seguiamo più di dieci anni nella vita di una famiglia di viticoltori. Ho cercato di trovare la connessione tra questi due – seguendo i cicli della natura e le tappe dell’evoluzione di questi tre personaggi. Si è prima bambini, poi adulti e poi genitori questi cambiamenti umani, queste tappe di vita, sono comparabili alle stagioni della natura?

La famiglia è spesso presente nei suoi film. Al contrario, è la prima volta che lei filma la natura…

È stato molto strano girare tra le vigne. Non avevo mai realizzato che, fino ad allora, non avevamo mai diretto un film che non fosse ambientato in una città. Questo bisogno di natura è stato più forte di me. Non so se abbia a che fare con la mia età, ma penso che sia accompagnato dal cambio sociologico che sto sentendo in questi giorni. La relazione tra i cittadini e l’agricoltura e il cibo sta cambiando. Non è solo una moda passeggera. Sta diventando molto importante, per le persone che vivono in città, assottigliare la linea che divide il mondo urbano da quello rurale. Il documentario Domani spiega eloquentemente questa cosa. Il fatto di vivere in un mondo “virtuale” ci spinge a recuperare una relazione concreta con le cose. Senza dubbio, i nostri sentimenti e frustrazioni sono accentuati dalle distanze causate dalla virtualità. E una nuova area d’interesse nelle arti culinarie (e del vino) significa per me un ritorno più diretto alle cose.

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Cosa rappresenta per lei il vino?

Non c’è bisogno di girarci troppo attorno: chiaramente, per me, il vino è mio padre. Conosco il vino attraverso mio padre – che praticamente non beve altro che vino della Borgogna. Quando iniziai a bere (attorno ai 17-18 anni) mi fece assaggiare il suo vino. Grazie a lui ho imparato ad apprezzarlo. Fino a poco tempo fa, portava me e le mie sorelle alle degustazioni nei vigneti della Borgogna. Era una sorta di rituale, una volta ogni due anni circa. Quando avevo ventitré anni e studiavo a New York, lavoravo come cameriere in un ristorante francese. Eravamo circa quindici tra camerieri e cameriere, ma capii di essere l’unico che sapeva come consigliare un vino. I miei colleghi americani mi chiedevano “Come fai a distinguere un Cote du Rhone e un Bordeaux?” Ho capito in quel momento che il vino ha una propria cultura. In letteratura si può dire che è necessario leggere molto per distinguere un autore dall’altro. Con il vino, uno deve bere molto per capire le differenze tra le varie regioni e i loro diversi sapori.

Un sapore familiare…

Sono cosciente del fatto che sia stato mio padre a trasmettermi la cultura del vino e questo interesse per la Borgogna. Per questo ho sempre associato il vino all’idea della trasmissione. Ho intuito che il motivo che mi avrebbe spinto a fare un film sul vino sarebbe stata la voglia di parlare della famiglia. Quello che ereditiamo dai nostri genitori, quello che trasmettiamo ai nostri figli. La scelta della Borgogna mi è sembrata ovvia, anche se nel frattempo avevo “scoperto” altri territori, come Bordeaux. In Borgogna, le aziende sono, in generale, più famigliari. Nel Bordelais, le superfici sono molto più grandi e nella maggioranza dei casi i terreni sono industrializzati al punto di essere gestiti da grandi gruppi finanziari. Le problematiche del film sarebbero state completamente differenti. In un certo senso, la scelta di un’altra regione viticola francese (Alsazia, Linguadoca, Cote-du-Rhone, Beaujolais, etc…) avrebbe sviluppato tematiche ben diverse…

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Per lei, c’è un collegamento tra il mondo del cinema e quello del vino?

Dicevo che c’erano tre fonti d’ispirazione in questo film, ma in realtà ce n’è una quarta: il mondo del vino è piuttosto simile a quello del cinema. Ci sono delle somiglianze incredibili tra la lavorazione del vino e quella di un film. La relazione con il tempo è simile nelle due discipline, nella quali è necessario essere molto pazienti; girare un film è quasi come essere in un campo durante il raccolto, il montaggio è come la vinificazione: avviene nelle cantine, e speri che possa invecchiare bene. E se tutti i viticoltori della Borgogna usassero solo due tipi d’uva, il Pinot e lo Chardonnay, i risultati sarebbero comunque diversi per ognuno. Anche se un altro regista usasse gi stessi attori che uso io, il suo film sarebbe comunque diverso dai miei. Ho riscontrato molte somiglianze tra i due mondi, e penso che i vinificatori come Jean-Marc Roulot facciano un mestiere molto simile al mio.

Dopo un buon film, un buon vino? Quale?

In Borgogna si bevono solo vini che non possono essere bevuti a Parigi, sia perché sono troppo costosi o perché sono impossibili da trovare. Ho scoperto il vino bianco della Borgogna mentre facevo questo film, il Mersault in particolare. Molte persone del team inizialmente dicevano di preferire il vino rosso al vino bianco. Penso che se ne siano andati tutti dicendo di preferire il vino bianco! Mi hanno detto che il posto dove abbiamo girato – tra Puligny-Montrachet, Chassagne-Montrachet e Mersault – abbia il migliore vino bianco del mondo, e penso che abbiano ragione. È eccezionale! Il vino è un prodotto umano, con la U maiuscola. Quando ho iniziato la sceneggiatura con Santiago, sentivamo la necessità di dire qualcosa tra lo strano matrimonio tra uomo e natura. Questa storia si è portata avanti per millenni, e non è solo la storia del succo d’uva… Per fare bene il vino bisogna essere degli archivisti della civilizzazione per avere una conoscenza adeguata – geologia, agronomia, chimica – un’esperienza estremamente precisa… e tutto questo, magari, solo per sbronzarsi.

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Per fare un film come questo è necessaria una conoscenza che includa molte aree…

Nel film mi piace questa scena: alla morte del padre, i tre ragazzi aprono una bottiglia di vino del padre e una del nonno. Bevendone solo un paio di sorsi, capiscono subito quale vino appartenesse a chi. Nei bicchieri è contenuto il tempo, lo sforzo, i pensieri e il vero significato della vita… Essenzialmente, con il vino, imbottigliamo niente di meno che il vero significato dell’essere umano.

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