Dopo Luigo (2017) e Affittasi Vita (2019), il regista Stefano Usardi è ora la lavoro alla post-produzione di Fra Due Battiti, il suo nuovo film prodotto dalla FiFilm Production, una casa di produzione cinematografica indipendente, fondata nel 2016 da Caterina Francavilla. All’interno di tutto il Cinema – inteso come produzioni e come sale – ripartito in tempi di pandemia, questa nuova pellicola diretta da Usardi assume un valore ancora più grande, diventando il simbolo di tutti quegli autori che lottano costantemente per esprimere se stessi con la settima arte.
Fra Due Battiti – La trama
Giovanni (Stefano Scandaletti) è un giovane scrittore che vive a Trento nella villa lasciatagli in eredità dai genitori scomparsi. Passa le sue giornate girovagando in città alla ricerca di nuove avventure ed ispirazioni. Intanto, Mark (Giulio Cancelli), uno sceneggiatore “atipico”, gli crea a sua insaputa bizzarri ed emozionanti frammenti di vita. L’intero meccanismo narrativo è sorretto dall’estroso maggiordomo di casa (Remo Girone), che passa invece le sue giornate a riscrivere spartiti di Schubert. L’unica vera preoccupazione di Giovanni è scrivere un libro sulle emozioni per aiutare Tommaso (Federico Vivaldi) a riprendere in mano la sua vita ed a perdonarsi quel giorno che ha dimenticato la figlia in macchina mettendone a rischio l’esistenza. L’arrivo di Rosa (Maria Vittoria Barrella), però, rompe gli equilibri e complica l’intreccio narrativo. Giovanni se ne innamora perdutamente e abbandona il progetto del libro a cui si stava dedicando tanto intensamente. Con l’entrata in scena di Luca (Stefano Detassis), uno scrittore in crisi esistenziale, la continua alternanza tra realtà e finzione diviene preponderante, rendendo il confine tra le due sempre più labile. In fondo, nulla è come appare
Intervista a Stefano Usardi
Del film e della ripartenza generale del cinema abbiamo direttamente con il regista, Stefano Usardi.
Stefano, Fra Due Battiti, il tuo nuovo film, sta finalmente vedendo la luce. So che è stata una costruzione lunga, avvenuta durante un periodo difficile per tutti noi. Cosa provi ora che la “tua creatura” è quasi pronta?
Siamo contentissimi di aver portato alla sua conclusione un altro film che ci rappresenta. La post-produzione ha portato via più tempo del previsto perché a distanza, paradossalmente, è stato più difficile, o meglio, ha dilatato i tempi delle revisioni. Ad ogni modo il film è pronto e questo è ciò che conta.
Partiamo dal titolo. Quali sono questi due battiti? Come definiresti questa storia?
E’ la storia di un personaggio che per far tornare a vivere un suo amico scopre cosa gli interessa veramente di questa sua vita. E la risposta è in ognuno di noi, con la consapevolezza di vivere Fra due battiti, il presente più presente che ci sia.
Nel tuo film affronti il confine, che diventa sempre più labile, tra realtà e finzione. Come hai affrontato ed espresso questo aspetto?
Appunto è questo l’aspetto che indaghiamo in ogni sua sfaccettatura, l’impossibilità di trovare un confine, una linea che separi i vari strati della realtà. Anche dentro il personaggio, intendo quanto uno può fingere a se stesso e di conseguenza agli altri. Questo personaggio cerca di capire questo: dove si trova la realtà?
A riprese ultimate, riguardo al film, hai dichiarato: “La storia, la vera storia, non è altro che la ricerca di se stessi nella grande messa in scena che è la vita”. Potresti approfondire questo pensiero?
Intendo proprio questo nei nostri film. Rompere i confini e dissolverli per indagare le sospensioni di senso che possono fuoriuscire nel momento in cui qualcuno ci mette in discussione, che trova la nostra finzione. E’ lampante, anche molte discipline accademiche lo confermano, che ogni aspetto della vita dell’uomo è una messa in scena, ripeto, anche con se stessi. Si entra in alcuni ambienti rispettando il “copione”, in ogni ambiente ciò accade, ad esempio nella famiglia. Ecco, questo precario equilibrio mi interessa molto. Tutti i film che abbiamo realizzato e realizzeremo hanno questo tema.
Hai girato Fra Due Battiti nel giro di un mese, da fine agosto a fine settembre 2020. Hai lavorato e diretto il cast dopo aver vissuto il primo lockdown, ancora ignaro che avremmo poi affrontato, in modo ugualmente devastante, anche la seconda e terza ondata. Come regista e come uomo come hai vissuto la lavorazione di questa pellicola?
Con molta agitazione, perché come dico sempre per noi fare film non è una questione commerciale o di prestigio, per noi fare film è vivere. Noi traiamo la nostra essenza da questi lavori. Ovvio che pensiamo anche ad una fruizione dei nostri film, ma parte tutto principalmente da dentro e per noi è vitale. Di conseguenza percepire che potevano esserci intoppi alla nostra realizzazione era un po’ come un piccolo attacco d’asma. Uno può pensare che si può stare senza cinema, ma nel mio caso non è così. Io vivo di immagini e non poterne realizzare mi toglie slancio vitale. Non c’è niente di edonistico in questo.
Il sogno è sempre quello di poter vedere la propria opera al cinema, sul grande schermo: niente è come le sale. Condividi? Cosa pensi invece della distribuzione su piattaforme digitali? Siamo dentro una rivoluzione (già in atto prima del Covid 19)?
Il cinema non è importante per la dimensione dello schermo, ma per la socializzazione della fruizione. Viviamo un periodo in cui ognuno si chiude nel suo nucleo personale e si crea la propria simbologia esistenziale, ma così non cresce, non sente voci dissonanti. Il cinema, con le opinioni di ognuno, possibilmente discordanti, fa cambiare, mette in dubbio, crea discrepanze, ma al tempo stesso fa conoscere la propria identità. Senza confronto collettivo non si cambia, e non cambiare è noioso. Le piattaforme possono aiutare per avere maggiore distribuzione, ma è diverso dal cinema, manca l’aspetto, fondamentale, della socialità. Il discorso è lungo, ma paradossalmente già i grandi multisala hanno anticipato le piattaforme: tante sale, tutti i gusti e poco dibattito. Per me il futuro è del cinema proiettato in piccole sale, ma con molti esseri umani che hanno voglia di vivere e di chiedersi cosa sia umano fare. Da soli a casa è troppo facile.
Fra Due Battiti è l’ultimo prodotto della FiFilm. Che futuro vedi per il cinema indipendente? Una strada in salita o nuove possibilità?
Il cinema indipendente ha una grande missione davanti. Fare film diversi dalla omologazione di senso a cui assistiamo tutti. Le grandi produzioni guardano al grande pubblico, ma stanno dimenticando la varietà. Basti pensare all’algoritmo di alcune società di produzione e distribuzione internazionale che definisce la sceneggiatura da realizzare. Questa cosa mi spaventa. Serve varietà, non importa cosa si dice, ma serve, mai come ora, che il cinema indipendente non abbia paura di dire e fare cose poco allineate. Non mi riferisco ai miei lavori, parlo in generale. In questo, comunque, la fifilm mi ha dato un’opportunità incredibile.
Intervista di Giacomo Aricò