Per Maria Grazia Cucinotta – che martedì 27 luglio compie 53 anni – il tempo sembra essersi fermato. Una bellezza mediterranea inscalfibile la sua, diventata simbolo del cinema italiano in tutto il mondo. Grazie alla settima arte Maria Grazia è diventata una donna più forte, capace di dare il meglio di sé sia davanti alla macchina da presa che dietro la scrivania, in veste di produttrice.
“Se le persone rispettano le regole sì. Rispettare le norme è un dovere civile, serve molta responsabilità” mi racconta Maria Grazia Cucinotta all’inizio della nostra intervista. Il tema di partenza è ovviamente legato alle riaperture – si spera ormai definitiva, soprattutto se legata all’uso obbligatorio del green pass – di cinema e teatri, ovvero i luoghi dove i film e gli spettacolo tornano a vivere davvero. E dove lei, Maria Grazia, sarà presto protagonista: a Teatro con Le Figlie di Eva (“non vedo l’ora“) e al cinema con Il Vecchio e la Bambina il docufilm (sono da poco iniziate le riprese) diretto da Sebastiano Rizzo e girato tra le splendide location del Veneto, dove verranno ripercorsi i luoghi visitati e vissuti da Ernest Hemingway nella sua vita. In attesa di vederla a settembre anche in tv (su La7 condurrà L’Ingrediente Perfetto), riportiamo qui sotto la chiacchierata che abbiamo avuto il piacere di fare con lei.
Siamo, sempre di più, nell’era del cinema “digitale”. Che fine faranno le sale?
Il cinema è una scelta. Non penso che il digitale possa sostituire le sale. Quando si va al cinema si esce, si decide di passare del tempo con altre persone e di condividere delle emozioni. Vedere un film su grande schermo non sarà mai la stessa cosa che guardarlo in tv o su un tablet. È tutto un altro effetto, è tutta un’altra esperienza. Il cinema non potrà mai essere sostituito dal digitale. Mai.
Nemmeno i teatri…
A maggior ragione. Gli spettatori vanno in teatro perché hanno bisogno di staccare la spina, allontanandosi un po’ dalla realtà. Il teatro ti porta altrove, ti fa viaggiare. E poi è uno scambio continuo: il teatro ha bisogno del pubblico per vivere, e il pubblico ha bisogno dei teatri per vivere. L’appagamento emotivo che ti dà uno spettacolo è qualcosa di vitale.
Uno dei fatti di cronaca tornati alla ribalta in questo periodo è la scomparsa di Denise Pipitone. In uno dei suoi ultimi lavori lei ha interpretato una madre alla quale viene rapito il figlio ne Sacrificio Disumano, il cortometraggio diretto da Pierfrancesco Campanella.
Purtroppo è una realtà che esiste, triste e “disumana”, come recita il titolo del corto. Non può ritenersi “umano” colui che compie certe atrocità. Ho cercato di immedesimarmi in questa madre seguendo le mie sensazioni. Quando ti portano via una parte della tua vita, senza sapere che fine abbia fatto, si vive in un limbo continuo, tra la tragedia della perdita e la speranza del ritrovamento. Impossibile tenere un equilibrio, si va fuori di testa, proprio come accade a Mara, la protagonista. Accade un po’ alla volta, ed è sempre più devastante: il mio personaggio si trova tradita dalle persone che aveva scelto per camminare nella vita. In realtà stavano studiando a come portargliela via la vita.
Poco più di un anno fa, quando la pandemia ci ha sconvolto la vita, ha preso parte al film corale Il Cinema Non Si Ferma. Che impressioni ha dopo un anno?
Quella è stata un’esperienza fantastica perché l’abbiamo realizzato, da remoto, ognuno da casa propria, durante la prima ondata, in una situazione drammatica per tutti, non solo da punto di vista sanitario ma anche economico. Ma grazie alle nuove tecnologie il cinema non si è “fermato” davvero. L’Arte non si può mai fermare, soprattutto se c’è creatività, visione, passione e tanta voglia di fare.
In quel film lei fa un cammeo nei panni di un’insegnante a scuola. Cosa pensa del momento che stanno vivendo i ragazzi?
Le scuole chiuse hanno creato un danno psicologico enorme sia agli insegnanti che agli studenti e i loro genitori. Quest’ultimi, soprattutto le madri, si sono ritrovate ad essere donne a 360 gradi impegnate in più ruoli: mamme, mogli, lavoratrici, domestiche. Senza mai fermarsi. Ma la DAD ha stravolto soprattutto la vita dei ragazzi che si sono ritrovati ad apprendere in modo completamente differente. Con degli effetti psichici molto profondi, che non se ne andranno via facilmente.
Cioè?
Per i giovani è stato uno shock destabilizzante, ricco di paure, sia di prendere il virus, sia di riuscire a portare avanti il proprio cammino scolastico e universitario. È durato tanto, con la tensione che alla lunga diventa paranoia. Non sono mancati casi di depressione, di tentati suicidi, di dipendenze da alcol, stupefacenti e psicofarmaci. La riapertura delle scuole è fondamentale, più che mai.
All’ultimo David di Donatello, Pierfrancesco Favino ha sottolineato l’importanza di insegnare Cinema e Teatro nelle scuole, non solo nei corsi pomeridiani. Cosa ne pensa?
Cinema e Teatro implicano un percorso psicologico molto importante. Condivido, per me dovrebbero essere dei corsi obbligatori, da almeno due ore alla settimana. Perché ti aiutano a tirare fuori le tue ansie, a stare davanti alle persone, a parlare, ad esprimerti davvero. È un percorso già in atto nelle scuole americane che qui in Italia viene ancora sottovalutato. Non esiste solo la letteratura: la cinematografia italiano ha fatto scuola in tutto il mondo. Va studiata, va conosciuta. Parlare di cinema vuol dire parlare di emozioni, vuole dire come gestire le emozioni. È importantissimo.
Cosa manca per arrivarci?
Ho la sensazione che in Italia il cinema sia ancora recepito come qualcosa di “futile” e “leggero”, e quindi da non considerare. Ma trovo che tagliare i fondi per la cultura trovo che sia una cosa davvero raccapricciante. Perché la cultura è la base di tutto. Gli americani hanno “americanizzato” il mondo attraverso il cinema, l’arma più potente, influente e rivoluzionaria di sempre.
È attraverso la recitazione, al cinema o in teatro, che si impara un po’ la vita?
Assolutamente sì. Io ho vinto la maggior parte delle mie paure attraverso l’interpretazione di alcuni personaggi. Per me, che ero timidissima e dislessica, imparare a stare davanti ad una macchina da presa o ad un pubblico mi ha messo davvero alla prova con la vita. Interpretare ruoli diversi, attraverso storie diverse, mi ha portato a confrontarmi con personaggi a volte anche molto lontani da me, da come sono io, da quello che penso. Questa per me è stata una grande occasione di crescita. Posso solo ringraziare la recitazione, grazie alla quale oggi sono quella che sono: Cinema e Teatro mi hanno insegnato a gestire le emozioni.
Cosa pensi del DDL Zan?
Sono a favore del Ddl Zan anche se sono dispiaciuta del fatto che serva una legge per far rispettare i diritti umani. Ma evidentemente serve una legge per far capire agli idioti che non devono permettersi di insultare una persona solo perché ha il colore della pelle diverso o perché omosessuale. È inaccettabile, perché le parole sono letali come i proiettili sparati da un’arma da fuoco. A volte la violenza verbale può essere altrettanto distruttiva quanto quella fisica, a volte lo è anche di più.
Soprattutto nel web…
Sempre di più. In rete c’è uno sfogo collettivo di tutti i repressi che forse avrebbero più bisogno di uno psicologo che di una tastiera. Si dice che il web sia democratico, è vero, ma questo non deve permettere alle persone di continuare ad insultare gli altri oltrepassando il limite. Ci sono strumenti per bloccare gli account, ma le ferite restano. E penso soprattutto a quei giovani che poi arrivano a compiere gesti estremi, sia contro gli altri che contro se stessi. Per questo motivo servirebbe più controllo e più regole da rispettare anche per stare “dentro” ai social.
Vite Senza Paura: com’è stato l’anno del Covid?
È aumentata, non è mai finita. Se ne parla un po’ di più, ma siamo ancora in altro mare. Ci vorranno altri dieci anni. E forse anche in questo caso servirebbero leggi più severe. Ma è tutta la mentalità che deve cambiare.
Come produttrice, cosa cerca?
Come un puzzle, il film è fatto da tanti pezzi da comporre, che devono coincidere perfettamente l’uno con l’altro. Il desiderio più è sempre quello di emozionare il pubblico, ed è proprio quella la sfida continua: sono gli spettatori che decidono se un film merita oppure no. Anche in quel caso ci sono diversi fattori che incidono, come l’umore generale delle persone, credo che siano momenti “giusti” e momenti “sbagliati” per uscire con un film. Sono momenti magici, in cui un film realizzato con piccolo budget può emozionare di più rispetto ad un film dove l’investimento è stato maggiore. È la bellezza del cinema, è la bellezza dell’arte.
Che medicina è per te la recitazione?
La recitazione continua a regalarmi emozioni. Dopo oltre 30 anni sto continuando a conoscermi, è una crescita personale continua. Ogni personaggio mi ha lasciato qualcosa che mi ha migliorato, che mi ha aperto gli occhi, che mi avvertita e messa in guardia dai pericoli.
CAMERALOOK
Mi hanno molto colpito gli sguardi in macchina di Edward Norton in Scheggie Di Paura (Primal Fear, 1996, di Gregory Hoblit) e di Anthony Hopkins in Il Rito (The Rite, 2011, di Mikael Håfström). Ma forse in assoluto quello che mi ha emozionato di più è stata Geraldine Chaplin: il suo sguardo dice tutto, è come un arcobaleno, con dentro ogni emozione.
Intervista di Giacomo Aricò