Lunedì 15 marzo il 20° Glocal Film Festival omaggerà una delle scenografe più brave della gloriosa storia del cinema italiano: Paola Bizzarri. È infatti a lei che verrà assegnato il prestigioso Premio Riserva Carlo Alberto, un riconoscimento che il festival conferisce ai professionisti del settore legati a Torino e al Piemonte, scelti per l’indiscusso ruolo avuto nel rendere il territorio un punto di riferimento e un’eccellenza nel panorama cinematografico nazionale e internazionale. L’appuntamento è fissato per le ore 19, prima della Cerimonia di Premiazione: Paola Bizzarri riceverà il Premio e dialogherà con un regista a lei caro e con il quale ha lavorato molte volte, Silvio Soldini.
L’arte di costruire mondi per il cinema
Paola Bizzarri è una straordinaria costruttrice di mondi cinematografici. Un lavoro che, dopo quasi 40 anni, tra cinema, tv e teatro (esordì al fianco del grande scenografo teatrale Nicola Rubertelli), continua ad appassionarla. Una professionalità e un amore che continua a mettere al servizio della settima arte e che l’ha vista vincere, nel 2012, il Nastro d’Argento e il David di Donatello come Miglior Scenografa per Habemus Papam di Nanni Moretti (regista con cui ha lavorato anche in Mia Madre e nel film, ancora inedito, La Nostra Strada). Negli anni ha lavorato con tanti altri registi: da Antonietta De Lillo (Una Casa in Bilico, 1986) a Franco Bernini (Le Mani Forti, 1997), da Giacomo Campiotti (Il Tempo Dell’Amore, 1999) a Gianluca Tavarelli (Qui Non è il Paradiso, 2000), da Carlo Mazzacurati (A Cavallo Della Tigre, 2002) a Gabriele Muccino (Ricordati di Me, 2003), da Marco Pontecorvo (Pa-ra-da, 2008) a Carlos Saura (Io, Don Giovanni, 2009) e Francesco Ghiaccio (Dolcissime, 2019).
Il sodalizio con Silvio Soldini
Un capitolo a parte merita il suo sodalizio artistico con il sopracitato Silvio Soldini. Sono diversi i film che li hanno visti lavorare insieme – Pane e Tulipani (2000), Brucio Nel Vento (2002), Agata e la Tempesta (2004), Giorni e Nuvole (2007), Cosa Voglio di Più (2010), Il Comandante e la Cicogna (2012) – e, proprio in questi giorni, i due sono impegnati in un nuovo film, che sarà ambientato a Milano e che avrà come protagonista Kasia Smutniak.
Intervista a Paola Bizzarri
Nata a Roma, Paola Bizzarri da quasi un decennio vive a Torino, ormai diventata sua città d’adozione. É proprio da qui che è cominciata la nostra chiacchierata con lei.
Lunedì 15 marzo al 20° Glocal Film Festival riceverà il Premio Riserva Carlo Alberto. Cosa significa per lei ricevere questo riconoscimento in questo momento?
Questo premio per me era totalmente inaspettato, e questa cosa mi ha anche un po’ commosso. Mi fa molto piacere che quest’anno questo riconoscimento vada ad un reparto artistico del cinema che non sia la regia o gli attori. È la prima volta che succede e questo mi rende molto contenta.
La sua carriera è fortemente legata al Piemonte. Cosa rappresenta per lei questa regione?
Sette anni fa mi sono trasferita a Torino, una città che amo e dove, attraverso tantissimi film, lavoro da ormai 20 anni. In Piemonte c’è una realtà molto collaborativa, ho la fortuna di lavorare con professionisti di alto livello, delle vere e proprie maestranze. Ho a disposizione un reparto di collaboratori e di assistenti davvero straordinario che ho scelto di portare con me anche “fuori casa”, quando mi sono occupata delle scenografie di Habemus Papam di Nanni Moretti. Sono molto fiera di loro.
C’è un film che l’è rimasto più impresso?
Il primo film che ho fatto in Piemonte è stato Il Tempo dell’Amore di Giacomo Campiotti. È stata la mia prima esperienza con la Film Commission Piemonte. Era il 1999, ricordo che mi bastò fare un sopralluogo: mezza giornata, trovai subito quello che cercavo! Quello però al quale sono più affezionata è Il Comandante e la Cicogna di Silvio Soldini, una pellicola divertente, lieve, spensierata. Fu davvero un piacere realizzarlo.
Il momento che stiamo vivendo è durissimo. Il Piemonte sta per diventare zona rossa. Quanto diventa ancora più difficile il suo lavoro?
Al di là delle difficoltà materiali, che riguardano l’intera produzione – dagli spostamenti all’organizzazione con i fornitori – la cosa che più mi turba e mi crea disagio è fare film di fronte a momenti così pesanti. Gli scenografi nel loro lavoro, a seconda del film che li vede impegnati, devono anche studiare mondi che non conoscono direttamente. E questo è indubbiamente uno degli aspetti più belli di questo mestiere. Già prima del Covid, però, mi è capitato – anche per fare sopralluoghi in pre-produzione – di avvicinarmi a certe realtà difficili e sofferenti, come carceri, ospedali, obitori. Di fronte a queste situazioni, soprattutto adesso, faccio molta fatica: sono luoghi di dolore che meritano rispetto ed un certo pudore. Bisogna entrarci in punta di piedi.
Lei è una professionista dello spettacolo. Con quale stato d’animo si lavora in questo momento storico?
Va detto che i set cinematografici sono estremamente controllati. Anche se siamo esposti, facciamo continuamente tamponi e lavoriamo in piena sicurezza. Se ci sono dei positivi, vengono isolati: nel limite del possibile, ci sentiamo dentro una bolla di protezione. Ma quello che provo è una grande angoscia. La realtà che ci circonda è durissima e sovrasta anche quello che è il mio compito come scenografa, ovvero inventare dei mondi. In questo contesto è dura, ci si sente superflui, effimeri: è difficile fare fiction in una situazione così drammatica.
Il cinema saprà rialzarsi?
Il mondo del cinema sta vivendo un momento di disperazione. Prima della seconda ondata, le sale avevano riaperto in sicurezza e avevano fatto davvero di tutto per non morire. Poi però è tornato il buio. Si avverte molta irrequietezza. Se da un lato siamo felici di poter lavorare – a differenza del teatro che da oltre un anno è completamente fermo in un incubo senza fine – dall’altro non sappiamo se e quando ciò che facciamo uscirà in una sala. Non siamo sereni, ci sentiamo fragili.
Lei è favorevole alla riapertura delle sale?
Vanno riaperte. Soprattutto tenendo conto che sono aperte le chiese e le metropolitane. I cinema, come anche i teatri, sono luoghi sicuri e controllabili, che possono riaprire in sicurezza, seguendo i protocolli. La loro chiusura prolungata è qualcosa di folle. E di grave: il danno culturale che, come società, stiamo subendo è enorme.
Lunedì sera sono sicuro che tra coloro che seguiranno la sua premiazione ci sarà qualche aspirante scenografo. C’è un insegnamento o un messaggio che vuole già lanciargli?
Credo che sia un lavoro bellissimo. Bisogna farlo con la voglia di confrontarsi con realtà nuove e diverse che vanno poi ripensate e reinterpretate. Prima bisogna conoscerle, studiarle. Per fare lo scenografo serve tantissima curiosità.
Intervista di Giacomo Aricò