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INTERVISTA – Selene Caramazza: “I Cuori Puri non devono soccombere: dobbiamo essere liberi di scegliere”

Martedì 5 dicembre, ore 21.30, al Movieplanet di San Martino Siccomario (Pavia), in occasione della rassegna Visioni dal Mondo, presenterò Cuori Puri, uno dei film italiani più belli del 2017, opera prima di Roberto De Paolis presentato lo scorso maggio nella prestigiosa cornice del Festival di Cannes, nella sezione Quinzaine Des Réalisateurs. Cuori Puri è una pellicola che tratta diverse tematiche, sia quelle di stretta attualità (il tema del lavoro, il contrasto con gli stranieri, il degrado delle periferie), sia quelle a carattere universale (il bisogno di esprimere se stessi e di confrontarsi con l’altro, l’unica strada per conoscere l’Amore). Agnese e Stefano sono i due cuori puri, i protagonisti assoluti della storia, interpretati rispettivamente dagli entrambi eccezionali Selene Caramazza e da Simone Liberati.


Indimenticabile resterà l’interpretazione di Selene Caramazza, al suo primo ruolo al cinema. Intensa e commovente, volto simbolo del film, ho deciso di intervistarla.

A sei mesi dalla prestigiosa presentazione all’ultimo Festival di Cannes, Cuori Puri continua a ricevere attenzioni e apprezzamenti. Tu stessa hai appena ritirato il Premio De Sica per questa tua prima e memorabile interpretazione di debutto nel cinema. Cosa stai provando in questo momento?

Tantissima gioia. Abbiamo lavorato con tanta passione e dedizione su questo film dunque questi apprezzamenti in Italia ma anche all’estero fanno molto piacere. Sono molto contenta che il lavoro che ho fatto su Agnese sia apprezzato, dunque ricevere il Premio De Sica mi ha riempita di gioia, emozione, questo riconoscimento è un dono prezioso.

Agnese corre, prima per scappare da Stefano, poi per rincorrerlo. In mezzo vediamo una ragazza superprotetta da una madre molto devota e talvolta anche dura e manesca (Barbora Bobulova) che l’ha “rinchiusa” in una campana di vetro, ovvero una comunità cristiana. Un gruppo nella quale lei, ricevendo gli insegnamenti della Chiesa, sembra solo conformarsi senza riflettere e senza esprimersi veramente. La promessa di castità diventa per lei troppo pesante, perché Stefano, che per lei ha perso il lavoro all’inizio del film, le muove dentro qualcosa. Oltre a quello che le immagini raccontano, ci puoi spiegare qual è questo nodo che ha dentro il tuo personaggio? Sì può dire che le emozioni devono sempre correre e che è impossibile chiuderle a chiave in un cassetto?

Sicuramente si arriva ad un punto della vita dove le emozioni ci sfuggono, perché diventa impossibile trattenerle dentro, è quello che succede anche ad Agnese.  Una ragazza che si sta affacciando per la prima volta alla vera vita, che cerca di andare oltre, quello che è il suo mondo ovattato fatto dalla madre devota e dalla comunità religiosa cosi presente. L’incontro con Stefano rappresenta l’inizio dello scioglimento di questo nodo, soprattutto l’incipit di un qualcosa di nuovo.

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Agnese parla sottovoce, si fa capire con lo sguardo. In diverse occasioni sembra trattenere dentro qualcosa che sembra sul punto di esplodere. Qual è il momento nel film in cui tu-lei avreste voluto urlare?

Il momento in commissariato quando Agnese confessa di essere stata violentata, mi ricordo che quando giravo quella scena le parole, quasi, mi uscivano dalla bocca ma dovevo trattenere tutto dentro. È stato un momento emotivamente forte.

Del padre di Agnese non si sa nulla. Nel film l’unica figura maschile a cui lei fa riferimento è il prete che, a sua volta, si riferisce al Padre Divino. Ma un prete può sostituirsi ad un padre?

Un prete non può sostituirsi ad un padre, specie in cuori puri la sua figura è quella di un maestro di vita. Nel film il padre affettivo di Agnese è Dio.

Il film tratta anche il tema della (s)fiducia. La mamma di Agnese non si fida della figlia e la porta da una ginecologa, una forma di violenza. L’amministratore del palazzo non si fida delle promesse di pagamento di Stefano (pur conoscendolo da tanti anni) e sfratta la sua famiglia, anche questa una forma di violenza. Trovi qualche analogia tra questi due aspetti? In questo mondo i Cuori Puri – a cui pare non essere concesso di “ribellarsi” – sono destinati a soccombere?

I cuori puri di questo film ovvero Agnese e Stefano sono puri per questo motivo, vivono in una realtà dove sono costretti a soccombere, dove la ribellione porta alla violenza fisica o psicologica, forse per questo motivo loro due riescono a trovarsi, in un modo o nell’altro insieme si estraniano da questa realtà.

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So che il regista aveva scritto inizialmente un finale diverso dove Agnese e Stefano non si trovavano più. Tu cosa ne pensavi di un finale così?

Sì, diciamo che era un finale molto amaro, credo che alla fine quello che abbiamo scelto sia più giusto, perché lascia quella dose di speranza che in un film come questo è fondamentale.

Roberto De Paolis ha detto che “amarsi significa confrontarsi, sporcarsi dell’altro, riconoscersi impuri”. Tu condividi? Cosa significa amare in questi tempi caotici dove un individualismo crescente sembra in realtà allontanarci a vicenda? Oggi pare dominare una grande affermazione del sé, con sempre meno voglia di sacrificarsi per l’altro…

Condivido assolutamente. Purtroppo oggi, a volte, manca il coraggio di confrontarsi con l’altro, manca proprio il coraggio di amare. Il sacrificio è il più grande atto d’amore, ma chi è disposto a farlo?

Agnese nel film soffre perché le viene sequestrato il telefono, tanto che arriva a rubarne uno (la sua prima trasgressione). Del resto è il solo mezzo che ha per esprimersi e per cercare un contatto più “intimo” con gli altri (innocenti sms). Se oggi invece andiamo in giro vediamo un essere umano che ha ormai il collo piegato sugli smartphone, perennemente iper-connesso a testa bassa. Secondo te oggi il telefono è più uno strumento di libertà o di isolamento?

Un po’ entrambi, sicuramente il telefono oggi ti dà una libertà ampia, vedi i social dove tutto viene sbandierato dopo 5 secondi, dall’altro lato può diventare una forma di isolamento vera e propria, forse perché è più facile parlare dietro un telefono o un computer che faccia a faccia.

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Le persone che il prossimo 5 dicembre saranno sedute in sala per vedere per la prima volta Cuori Puri: cosa ti senti di dire loro prima del film? Che messaggio vorresti che arrivasse?

Credo che Cuori Puri sia un film che può lasciare alla fine diversi messaggi, proprio perché non vuole giudicare nessuno. Sicuramente mi piacerebbe molto che arrivasse alla gente il messaggio che dobbiamo essere liberi nelle nostre scelte, un po’ quello che alla fine scopre Agnese.

Intervista di Giacomo Aricò


Cuori Puri, fermatevi a pensare

Nell’ottima opera prima di Roberto De Paolis, ci troviamo a Tor Sapienza, Roma est, periferia degradata e senza cielo, nella quale vagano i sopravvissuti di una crisi economica, civile, morale che non vede via d’uscita. Due adolescenti, Agnese e Stefano, si sono incontrati e inizialmente scontrati in questo mondo invivibile e hanno conosciuto la purezza dell’amore.

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Agnese appartiene, insieme alla madre, ad una comunità religiosa, allegra e serena che è la sua famiglia. Il padre non c’è e nulla si sa di lui. Nelle preghiere ringraziano insieme Gesù per averle adottate nella Sua vita. La comunità contiene e protegge l’individuo, ma nello stesso tempo ne ostacola l’identificazione. L’adesione ai principi di base che aggregano il gruppo implica che tali principi siano fatti propri, ma non pensati. La mentalità del gruppo inibisce il pensiero individuale.

Basti notare lo sbigottimento della madre quando la figlia, riguardo alla promessa di castità prima del matrimonio, le dice: “ci devo pensare“. Dopo la trasgressione della promessa, la reazione di panico di Agnese è il segnale che i legami protettivi del gruppo si stanno allentando e che l’appartenenza che poteva difenderla dai pericoli della vita non c’è più. Gli assunti di base che legano il gruppo eludono la paura dell’ignoto, ma, nello stesso tempo, organizzando pensieri già definiti e indiscutibili, impediscono l’esperienza del nuovo e il desiderio di conoscenza.

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La storia di Agnese esprime il conflitto e la tensione tra appartenere e differenziarsi, diventando grande, diventando se stessa. Stefano una famiglia ce l’ha. Una famiglia disperata, padre e madre che non danno protezione, ma che la richiedono al figlio che li dovrebbe salvare dallo sfratto e comunque aiutarli economicamente perché ha un lavoro. Il suo lavoro è quello di guardiano di un parcheggio di un supermercato. Il parcheggio confina con un un’altra comunità cioè con un campo rom. Il supermercato è il mondo monetizzato che ci siamo costruiti, il parcheggio è terra di frontiera l’ultimo pezzo di terra che non deve essere invaso dallo straniero.

La difesa più estrema si centra così sul corpo inviolato di Agnese e sulla terra minacciata dall’irruzione del diverso. In entrambi i casi assisteremo ad una apertura che non è una resa bensì la conquista di sentimenti che purificano: l’amore vissuto tra i due ragazzi e l’accettazione dell’altro, del rom, che spesso condivide con il nuovo sottoproletariato delle nostre periferie, lo stesso destino di esclusione e emarginazione. Il fuggire, l’essere rincorsi, l’essere inseguiti, nelle scene che aprono e chiudono il film, esprime l’angoscia di essere continuamente minacciati, di doversi continuamente difendere da tutto ciò che di incontrollabile e pericoloso viene dall’esterno.

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Lo stesso regista dice di aver voluto rappresentare la fatica del vivere. Ed è bene guardarla in faccia questa realtà, guardarla da vicino nei primi piani della regia, nelle inquadrature strette, nella ripetitività di una vita che non ha niente a che fare con la spettacolarizzazione di successo, ricchezza, libertà, realizzazione del Sé. Una realtà che deve trovare spazio in una pensabilità non più obnubilata da superficialità e indifferenza.

Claudia Sacchi

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