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Io e Annie, il capolavoro di Woody Allen torna al cinema restaurato in 4K

Lunedì 14 maggio torna al cinema in versione restaurata Io e Annie, uno dei tanti capolavori del geniale maestro Woody Allen. Un film, recitato al fianco della sua musa Diane Keaton, attraverso il quale il regista cambiò registro, dopo le riuscitissime ed esilaranti commedie d’esordio. Uscito in sala oltre quarant’anni fa, nel 1977,  Annie Hall torna così in sala grazie alla Cineteca di Bologna per il progetto Il Cinema Ritrovato. Il restauro del film è stato realizzato in 4K l’anno scorso da Sony Columbia con la supervisione dello stesso Allen.

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Il film

Un punto di svolta, una rivoluzione comica, una disintegrazione romantica. Woody Allen, come Chaplin, scopre il proprio talento nel padroneggiare il riso e il pathos. La sincopata storia d’amore tra Alvy e Annie scompagina ogni ordito narrativo (negli anni la critica parlerà di Ionesco, di Brecht e di Groucho), sullo sfondo di ‘cartoline newyorkesi degli anni Settanta’ che oggi stringono e fanno bene al cuore: glamour femminile fatto di larghi pantaloni, fragilità eccentrica e dipendenza farmacologica, i palcoscenici off del Village, Marshall MacLuhan in fila al cinema. Seems like old times: nel ricordo i due si baciano contro lo skyline visto dal Franklin Delano Roosevelt Drive, e comincia ufficialmente l’era Woody Allen, everyman senza uguali della commedia cinematografica moderna.

Per conoscere meglio il film, riporteremo qui sotto alcune dichiarazioni-chiave dello stesso Woody Allen, tratte da Woody Allen con Eric Lax, Conversazioni Su di Me e Tutto il Resto (Bompiani, Milano 2008) e Woody Allen su Woody Allen. Intervista di Stig Björkman (Laterza, Roma-Bari 1994).

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L’idea di partenza

Voglio fare un film completamente diverso. Quando ho cominciato a riflettere sul prossimo progetto, avevo in mente di incentrarlo su una persona reale, girare una commedia ma realistica. Basta con i tizi che si risvegliano nel futuro, i rapinatori di banche e i conquistatori di paesi del Sud America. Voglio fare un film in cui io e Diane Keaton interpretiamo noi stessi, abitiamo a New York e nella nostra relazione affrontiamo conflitti reali. Lo preferirei a una commedia più stravagante.

In questo nuovo copione sto cercando di lavorare dall’interno, di partire dalle nevrosi per poi esternarle, in modo che fra cento anni il film non risulti datato.[…] I conflitti di oggi sono molto diversi rispetto a quelli delle talk comedies di dieci anni fa, che si basavano sempre su elementi esterni ai personaggi. E molto difficile far scatenare un numero sufficiente di scintille filmiche usando soltanto i personaggi. Se io e Diane dovessimo avere un confronto in un film, oggi, per risultare realistico, il conflitto avrebbe connotazioni psicologiche. Non le direi mai: “Sai cara, si era detto che avremmo provato questa casa di campagna per un mese ma abbiamo già la cantina allagata e piena di procioni”. Più probabilmente lei mi direbbe: “Vorrei vivere sulla Costa Occidentale”, e io ribatterei: “Certo, vuoi vivere sulla Costa Occidentale perché lì abitano i tuoi, hai un attaccamento nevrotico alla tua famiglia”. Forse però i procioni fanno ridere di più“.

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Diane Keaton

Il film è il risultato di tutto ciò che nella mia vita e nel cinema rappresenta Diane Keaton. Quello del film è proprio il suo look. Si vestiva così. È sempre stata eccentrica e creativa nell’abbigliamento La costumista veniva da me e diceva: “Non le faccia indossare quella roba”. E io rispondevo: “Mi sembra che le stai benissimo. Ha un aspetto incantevole”. Ovviamente gliela lasciavo indossare. Nel corso degli anni, sia nel cinema che nel teatro, avevo avuto modo di vedere attrici adorabili che arrivavano a lavoro ed erano bellissime nei loro vestiti, ma quando indossavano il costume risultavano tremende, tipo le amiche di mia madre. […] Ecco perché ho avuto sempre grande fiducia nella scelta dell’abbigliamento da parte delle attrici, specie quelle affermate come la Keaton, che faceva sempre strabuzzare gli occhi a tutti per come si vestiva. Metteva gli abiti di tutti i giorni e faceva tendenza, volevano tutte vestire come lei.

Ridere di un personaggio è impagabile. Ecco perché Diane Keaton risulta sempre più comica di me nei film che abbiamo interpretato insieme: nonostante scrivessi le battute per me – e io riesco a renderle piuttosto bene, strappo le mie risate – lei fa sempre ridere nella scena perché dà un contributo psicologico, attraverso il personaggio. Un film come Io e Annie, io posso interpretarlo da comico, con battute relativamente facili e superficiali, lei invece risalterebbe come personaggio”.

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Marshall McLuhan e gli intellettuali newyorkesi

McLuhan, in Io e Annie, mi serviva per attaccare l’iper-intellettualismo in arte, e in particolare nel cinema. La presa in giro non è diretta contro McLuhan; ho cercato di avere Fellini, Lina Wertmuller, dei filosofi, Ionesco, un sacco di gente, almeno quindici persone. Ma tutti erano occupati o non volevano. Alla fine ho chiamato McLuhan e lui ha accettato. Ha una figlia a New York e voleva venirla a trovare. Ma la sua apparizione serve soltanto a fare della satira ai danni dell’altro personaggio. Perché succede spesso, negli Stati Uniti, quando si va al cinema, ci si mette infila e c’è sempre qualcuno troppo intellettuale, che parla troppo e ha sempre torto“.

Il finale

Stavo girando quella scena con Diane Keaton, e quando giro un esterno per strada, in luoghi reali, e sto realizzando il momento clou di un film, come l’inquadratura iniziale o quella finale, oppure un altro momento molto importante, di solito guardo la scena per vedere come posso tirarne fuori un finale drammatico o soddisfacente dal punto di vista emozionale. E qui, poiché avevo soltanto la strada e il piccolo caffè, mi sembrava che la cosa migliore da fare fosse quella di lasciare che i due personaggi svanissero e che la vita della strada continuasse a fluire. Lo sentii istintivamente. Sentii che la cosa avrebbe attratto il pubblico e gli avrebbe dato un’emozione più intensa. E in seguito, quando vidi la scena con la musica, mi sembrò ben fatta, perciò la lasciai così. Con quel finale balbettammo, feci molta fatica. C’erano molte scene e molte idee diverse. Dai e dai, arrivai a quello, per tentativi. Da un punto di vista freudiano si potrebbe concludere che gli uomini accettano di affrontare le difficoltà delle reazioni amorose solo perché hanno bisogno di uova. O di ovaie“.

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Reazioni

Quando uscì Io e Annie, in molti ebbero la sensazione che mi fossi venduto o avessi commesso un errore madornale, perché il mio tipo di film era II Dittatore Dello Stato Libero di Bananas, o Prendi i Soldi e Scappa, Amore e Guerra, quel tipo di film surreale. Se nel film il pubblico non trova un’accozzaglia di battute anarchiche o demenziali, ci resta male. Lo ricordo molto chiaramente con Io e Annie perché non si trattava soltanto di strane lettere di pazzoidi che ricevevo nella posta, ma anche di gente che conoscevo personalmente. Charlie Joffe mi ripeteva: “Gesù, i miei amici si chiedono come mai perdi tempo con certa roba”. Ovviamente, reazioni del genere si sono moltiplicate quando ho cominciato a proporre film seri. […] Probabilmente per molti è inspiegabile il motivo che mi spinge a cimentarmi con qualcosa di tanto lontano dal cinema che mi ha reso popolare, che non so nemmeno fare bene, e per il quale non ci sarebbe mercato nemmeno se mi riuscisse meglio. Li capisco, ma educatamente rispondo sempre: “Immagino che tu abbia ragione”, e continuo per la mia strada“.

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