Serena Rossi è volto, voce e anima dell’indimenticabile Mia Martini in Io Sono Mia, il biopic diretto da Riccardo Donna che uscirà in anteprima al cinema solo dal 14 al 16 gennaio, mentre a febbraio sarà trasmesso in prima serata su Rai Uno. Si tratta della storia di un’artista unica dalla voce inimitabile, la storia di una donna appassionata che ha amato fino in fondo con ogni fibra del suo essere.
Il film
La vita di Mia Martini (Serena Rossi), come in fondo forse quella di tutti i grandi artisti, è stata spesso dominata dalla difficoltà di coniugare il suo indiscutibile talento e il diritto di poterlo esprimere liberamente, con gli impedimenti e le difficoltà della vita reale e quotidiana che continuamente l’hanno messa di fronte a scelte e compromessi difficili da gestire. Questo è il dato di partenza, il nocciolo reale, vero, dal quale si dipana e si allarga tutto il film che mescola fatti realmente accaduti alla finzione di chi decide di raccontarli. Il ritorno di Mia Martini a Sanremo 1989, il perno intorno al quale la storia si sviluppa, è un fatto reale, com’è reale il fatto che accadesse dopo ben cinque anni che Mia si era ritirata dalle scene, anni nei quali per pagare l’affitto aveva scelto di continuare ad esibirsi, accompagnata solamente da una base – lei che aveva cantato all’Olympia – nelle sagre rionali e nelle feste di paese. Tutto vero.
Vero anche quel suo carattere a volte troppo intransigente, irrequieto, che non sopportava imposizioni, che voleva essere sempre artefice del suo destino e che l’ha portata a recedere il contratto prima della scadenza con un’importante casa discografica che la rappresentava – riducendola così sul lastrico – perché voleva imporle autori nuovi e un modo differente di vestirsi e di cantare, temendo che si alimentassero le voci che già negli anni ‘70 circolavano sul suo conto. Anche questo tutto vero. Le voci stupide, ma terribili, che avevano a che fare con il pregiudizio, con la calunnia, che si sono insinuate nella sua vita, inizialmente come un venticello leggero per poi trasformarsi in una vera tempesta che ha finito per travolgerla costringendola di fatto al ritiro.
La parte affidata alla finzione nella storia è portata soprattutto dai personaggi che ruotano intorno a Mia e che servono a rendere più chiara la narrazione. Sandra (Lucia Mascino), prima tra tutti, è la giornalista che l’accompagna nelle quarantotto ore che la separano dal suo sperato e temuto ritorno sulla ribalta di Sanremo. Non sapremo mai se Mia quelle quarantotto ore le ha vissute davvero così. Ricordando e raccontando a un’altra donna come lei cosa l’ha portata a ritrovarsi lì dove si trova adesso, con la paura e l’ansia di ritrovare il suo pubblico; come non sapremo mai se l’altro personaggio di pura fantasia, Tino Notte, sia stato davvero lui a mettere per primo in giro la voce che Mia Martini portasse sfortuna.
Anche Andrea (Maurizio Lastrico), un fotografo che incontra una sera dopo un suo concerto alla Bussola, grande amore che attraversa almeno dieci anni della sua vita, tra alti e bassi, liti e incomprensioni, fino alla chiusura finale, è un personaggio di fantasia e la loro storia è in linea con le tormentate storie d’amore vissute dall’artista. Perché in fondo le storie d’amore, soprattutto quelle tra due artisti di talento, possono somigliarsi, nei grandi conflitti e negli slanci passionali che le segnano. Alba (Nina Torresi) la sua amica, Loredana Bertè (Dajana Roncione) sua sorella, Crocetta (Antonio Gerardi) il suo manager, il suo entourage di autori, Bruno Lauzi, Franco Califano (Edoardo Pesce), suo padre Giuseppe (Duccio Camerini), sono tutti personaggi veri, che hanno avuto chi per un verso, chi per l’altro, un ruolo fondamentale nella storia di Mia. E tutti insieme ci aiutano a comprendere meglio e a restituire dignità all’artista e alla donna Mia Martini.
Mia, Mimì
Mia, Mimì per tutti quelli che la conoscono e che le vogliono bene. Una ragazzina di quindici anni con un sogno più grande di lei. Una ragazza che a vent’anni, insieme alla madre e alle sue sorelle, sbarca a Roma per cercare di realizzare quel sogno e che dopo soli sette anni conosce un successo incredibile, assoluto, che nessuno avrebbe potuto prevedere. Prima con Piccolo Uomo (1972) e poi con Minuetto (1973), un pezzo che la fa conoscere non solo in Italia, ma in tutta Europa. Mimì, sempre in bilico tra il bisogno di esprimersi, di cantare, di salire sul palco e dimenticarsi di tutto e la difficoltà di doversi confrontare con la vita reale, quotidiana. Una donna con un’idea di libertà moderna che fatica ad accettare i compromessi. Mimì simpatica, ironica, piena di entusiasmo e generosa, ma anche cocciuta, suscettibile, intransigente soprattutto sul lavoro. Capace, in nome della sua libertà di espressione, di stracciare il contratto con la casa discografica che la rappresenta, senza pensare un momento alle conseguenze drammatiche del suo gesto.
Mimì coraggiosa, ma piena di fragilità, alla ricerca dell’amore che quando finalmente arriva, fatica però a tenere. Con gli uomini le sue insicurezze affiorano, come con suo padre, con il quale ha da sempre un rapporto difficile; è divisa tra la necessità di approvazione e l’eterna e frustrante difficoltà a ottenerla. Divisa tra quel suo bisogno quasi fisico di cantare, incidere dischi, salire sul palcoscenico, ‘toccare’ il suo pubblico e la voglia di una vita più semplice, fatta di cose più piccole che adora, come cucinare, andare al cinema, passare una serata con gli amici. È in queste contraddizioni che Mimì si muove, vive. Affronta il successo, tocca la vetta e conosce in modo profondo la caduta, l’insuccesso, le voci terribili che girano su di lei e che la costringono di fatto al ritiro, ma lo fa sempre a testa alta; resiste, con la grazia che solo una donna possiede e che è l’arma che le permette di non affogare e di ritrovare il coraggio per tornare alla ribalta, riprendendosi quello che le era stato tolto. Riprendendosi il suo pubblico.
Ricordarla è un dovere
Il regista Riccardo Donna racconta: “il ricordo di Mia era ancora vivo tra la gente della mia età, il mio è stato dunque un lavoro sulla memoria, un concetto a me molto caro, perché oggi in questo mondo in cui tendiamo a usare e gettare tutto, è facile dimenticare e perdere il patrimonio della nostra storia. Un pezzetto di quella storia è il mio film. È un racconto imperfetto, come è giusto che sia, perché alcune cose Mimì non ha potuto raccontarcele, ma le abbiamo immaginate. Ma è un racconto umano e attuale. Perché in questo mondo dove la macchina del fango è diventato uno sport molto diffuso, è giusto rendere omaggio a Mimì che della calunnia fu una tragica vittima. Un lavoro che vorrei dedicare alla generazione che nasceva quando Mimi moriva e che forse, grazie a questo film, la conoscerà. Mi piace il titolo Io Sono Mia: racchiude il riscatto di una vita vissuta con dolore”.