Ambientato ad Albany nel 1938, nei giorni che precedono la festa di Halloween, trent’anni fa usciva al cinema Ironweed, struggente pellicola drammatica diretta nel 1987 da Hector Babenco che ha come protagonisti principali due mostri sacri del cinema: Jack Nicholson e Meryl Streep. La pellicola, che ha visto entrambe le stelle – nella parte di due senzatetto – conquistarsi una nomination all’Oscar come Miglior Attore/Attrice, è tratta dall’omonimo romanzo Premio Pulitzer di William Kennedy che ne ha anche scritto la sceneggiatura.
Secondo la struttura del romanzo di Kennedy (scritto nel 1983), il film è ambientato nella zona di Albany (New York) nel 1938 e narra di Francis ‘Fran’ Phelan (Jack Nicholson), un ex giocatore di baseball divenuto una sorta di hobo un po’ schizofrenico che, insieme ai compagni di vagabondaggio (tra cui Rudy, interpretato da Tom Waits), decide di trascorrere la festività di Halloween nella città natale dalla quale manca da ventidue anni. Causa del suo distacco è l’inguaribile e attanagliante senso di colpa per aver provocato la morte del figlio appena nato che gli cadde accidentalmente dalle braccia.
Per questo Francis è diventato un alcolizzato, che spende in bottiglie quello che riesce a guadagnare ogni giorno con lavori di fatica. Lo accompagnano, oltre ai compagni di sventura sempre alla ricerca di un piatto caldo e di un letto al coperto in cui ripararsi dal freddo e trascorrere la notte, i fantasmi del passato. In particolare gli danno il tormento tre anime: un crumiro ucciso in gioventù durante una manifestazione sindacale e altri due vagabondi (uno non riuscì a salvarlo mentre tentava di fuggire dalla polizia, l’altro lo uccise per difendersi da un’aggressione).
Accettando di andare a scavare al cimitero della cittadina insieme al malato Rudy (quest’ultimo nelle battute iniziali del film scherza amaramente: “il Dottore ha detto che ho un cancro: è la prima cosa che ho!”), Francis va a visitare per la prima volta la tomba del figlio. Lo vediamo inginocchiarsi per parlare alla lapide, per parlare a suo figlio: dopo poco scoppia in un pianto a dirotto. Il suo è un dolore che non affogherà mai nell’alcool e che mai nessuno riuscirà ad alleviargli. E al freddo dell’anima si aggiunge il freddo della notte. Francis e i suoi compagni vanno in chiesa per avere un piatto di minestra caldo. “Quei barboni non pregano, non hanno fede: hanno solo fame” spiega Francis a Rudy.
Una volta terminata la messa, che né scalda né solleva il cuore, arriva il momento di sedersi al tavolo per nutrirsi di quell’amara brodaglia. È in questo momento della sera che vediamo arrivare Helen Archer (una cantante e pianista in declino interpretata da Meryl Streep), la compagna di Francis. Porta un cappellino per proteggersi, ma ha il viso congelato e le ossa rotte. La coppia e tutti gli altri sanno che una volta svuotata la ciotola saranno accompagnati alla porta. La cosa che invece non sanno è dove trascorreranno la notte.
Così entrano in un locale per farsi offrire un goccetto e Francis le compra un fiore (spende 4 dei 6 dollari che ha in tasca). È in quel momento che va in scena una delle sequenze più drammatiche e poetiche del cinema. Helen viene invitata a cantare dal proprietario del bar, anch’egli, come lei, un ex cantante alla radio. Meryl Streep inizia a cantare, prendendo vigore e coraggio con il procedere della canzone. Come una star, durante la sua performance la vediamo muoversi nel locale: tutti i presenti la guardano entusiasti e con ammirazione. Nel finale, dopo il suo acuto, il pubblico in delirio esplode in un fragoroso applauso e una standing ovation. Francis la raggiunge, le sussurra che era nata per fare la star: i due si baciano con passione (foto copertina del film).
Ma questa purtroppo è solo un’amarissima immaginazione. Le immagini infatti mostrano che in realtà la donna è rimasta ferma al microfono cantando la canzone con voce debole e stonata, senza forze. Il suo trionfo era stato solo un sogno e una volta terminata davvero l’esibizione, gli ospiti del bar, quasi indifferenti, non applaudono, provando per lei un senso di compatimento. Il suo sguardo triste (dopo aver accennato un sorriso – con tutti i denti rovinati – aspettandosi un applauso) e la sua mesta camminata verso il bancone sono laceranti. Francis la rincuora dicendole: “bravissima, vecchia mia”. Una volta usciti, dei teppisti le rubano anche il borsellino dove custodiva 15 dollari, per quegli anni, una cifra considerevole. Ma la sua rabbia e disperazione si interrompe quando Rudy e Francis scoprono che un’altra donna del loro gruppo è morta per strada: “pregherò per lei” singhiozza Helen.
La notte è ancora lunga. Francis ed Helen cercano di farsi accogliere da un’altra coppia che vive in un appartamento, ma i gomiti alti e rancori mai sopiti li portano ad essere cacciati da casa. Helen e Francis si insultano e accusano pesantemente. Lui la strattona con veemenza, lei poi scoppia in lacrime. Poi si abbracciano, perché si amano. Da soli sarebbero perduti. Francis le offre la sua giacca e l’accompagna a dormire in una macchina abbandonata dove dormono anche altre persone. Del resto un po’ di forze sono necessarie per affrontare una nuova giornata.
I due di giorno sono sempre separati e un montaggio alternato ci mostra cosa fanno. Lei, dopo un disgustoso risveglio, va in chiesa a pregare e trova, quasi miracolosamente, una banconota da 10 dollari che usa per fare colazione (anche se alla fine rinuncia perché non riesce a mangiare). Lui invece si fa assumere come aiutante da un cenciaiolo con cui capita nel quartiere dove è nato e cresciuto e una casa abbandonata lo fa tornare indietro nel tempo. Ormai deciso ad andare a far visita alla sua famiglia, rinuncia a parte della paga, acquista una camicia e un tacchino e si presenta davanti alla sua vecchia casa.
Intanto Helen va in una biblioteca per riposarsi vicino al camino. Qui trova una vecchia conoscente che le racconta di aver visto suo fratello in chiesa. A questa notizia Helen perde il lume della ragione e si infuria. Nascondendole per anni il testamento, suo fratello e sua madre le hanno infatti sottratto i soldi che il defunto padre le aveva lasciato. “Ladri di polli!” urla Helen sbronza. Poi la vediamo entrare in un raffinato negozio di musica. Si siede al piano e suona una meravigliosa canzone mettendo in mostra tutto il suo talento. Il titolare del negozio la osserva impassibile, fermo, di ghiaccio. Con i soldi rimasti la donna decide di affittare una camera in una pensione. Dopo essersi fatta finalmente un bagno e dopo essersi pettinata, Helen muore, esausta. Lei stessa aveva detto che “si muore quando non se ne può più”.
Intanto Francis viene accolto dalla moglie Annie (Carroll Baker) che, emozionata e sorpresa, lo accoglie in casa dove ci sono anche Billy e Peg, i suoi due figli ormai grandi, e il suo giovane nipote Danny. Dopo aver ricordato insieme la morte del figlio e dopo essersi lavato, Francis viene circondato da tutti i suoi fantasmi, mentre Annie, capendo la sua sofferenza, lo invita a tornare per sempre a casa. Cosa che trova d’accordo Billy ma non Peg, che non riesce a nascondere al padre tutto il dolore che le ha causato la sua lontananza. Un nodo che si scioglierà quando Francis, mentre tutti aspettano di mangiare il tacchino, racconterà un simpatico aneddoto di quando giocava a baseball: “succedevano grandi cose in quei tempi” gli dice Billy, “ogni momento accadono grandi cose” gli risponde Francis che si vede afferrare la mano da Peg.
La cena non si vede. Francis è di nuovo in strada, ubriaco, che si dirige verso i suoi compagni vagabondi. Un’incursione improvvisa della polizia li mette in fuga e nel trambusto il suo amico Rudy muore. Addolorato, raggiunge la camera di Helen. Quando la vede a terra capisce subito che è morta. Sul letto, come ultimo gesto d’amore, Helen gli aveva lasciato delle stringhe nuove per le sue scarpe rotte. Nell’ultima scena, vediamo Francis di nuovo in viaggio dentro un vagone di un treno merci. Gli appare sua moglie che gli porge una tazza di tè e lui, in un attimo di lucidità, getta la bottiglia di whisky fuori dal treno. Poi ripensa alla stanza di Danny, luminosa e ampia, in cui Annie avrebbe messo per lui una branda.
A parte l’eccezionale prova della coppia Nicholson-Streep, di livello indubbiamente superiore al loro precedente Heartburn – Affari di Cuore (diretto da Mike Nichols l’anno precedente, 1986), Ironweed non è stato accolto con favore dalla critica che non ha apprezzato la trasposizione cinematografica del romanzo di Kennedy. Babenco, regista scelto dallo stesso scrittore-autore-sceneggiatore, è entrato in quello spietato mondo maleodorante, dove “puzzano perfino le anime”, dove si rimpiange il passato e si è fisicamente distrutti e, in fondo, si desidera solo la morte. E i mostri del passato, i fantasmi che ritornano, rientrano perfettamente nel clima scuro di Halloween.
Eppure rivedere oggi Ironweed riesce a conferire alla pellicola un rinnovato valore che va oltre alla prova super degli attori (non a caso in Italia il dvd del film esiste da meno di un anno). Nell’America della depressione post 1929, rivediamo eterne bassezze e virtù degli esseri umani. Tra egoismo e pietà, povertà d’animo e dignità, pregiudizio e compassione. Riflettiamo sul valore delle cose, sull’importanza di trovare il proprio posto nel mondo, di avere un letto in cui dormire e un piatto con cui sfamarsi. Sull’importanza di provare amore e sentirsi amati, al di là del senso di colpa (di Francis) e dell’orgoglio (di Helen), dalla propria famiglia. Quel luogo ampio e luminoso del nostro cuore.
“E tu di chi hai bisogno Francis?”
“Ho bisogno di un paio di stringhe”.