Dopo aver letteralmente sbancato in Francia (oltre 1 milione e mezzo di biglietti venduti), arriva giovedì 26 marzo nelle nostra sale French Connection, il secondo lungometraggio da regista di Cédric Jimenez con protagonisti e rivali Jean Dujardin e a Gilles Lellouche rispettivamente nei ruoli del giudice Pierre Michel e del boss Gaetan Zampa. Il film è stato presentato al Toronto Film Festival del 2014 ed ha partecipato ai César del 2015 (nominato nelle categorie: Miglior Scenografia e Migliori Costumi).
Due uomini e una città. Marsiglia, 1975. Da una parte troviamo il giovane giudice Pierre Michel (Jean Dujardin), che da Metz è stato inviato nel Sud della Francia con l’incarico di occuparsi della malavita – in particolare si dovrà dedicare ad annientare quella che è chiamata la French Connection, un’organizzazione mafiosa che esporta eroina in tutto il mondo.
Rifiutandosi di dare ascolto a chi lo invita alla cautela, Pierre s’imbarca in una crociata personale contro il leggendario e intoccabile Gaetan Zampa (Gilles Lellouche), il Padrino della malavita marsigliese, colui che esporta i maggiori quantitativi di eroina in tutto il mondo. Tra l’ambizioso e determinato magistrato e il mafioso, detto il Grande, cresciuto nel quartiere della Cayolle, lo scontro sarà inevitabile.
Jimenez ha attualizzato, con tratti incisivi e funzionali, un genere cinematografico, quello del polar francese, al quale grandi autori come Melville, Deray, Verneuil, Corneau, Marchal, hanno dato vita realizzando dei veri e propri capolavori della storia del cinema. In French Connection si coglie immediatamente l’influenza e la profonda conoscenza di Jimenez di questi classici francesi, così come di quelli americani – a partire dallo splendido film di William Friedkin che porta lo stesso titolo, The French Connection, fino a Martin Scorsese.
Marsiglia è una delle protagoniste del film. Cédric Jimenez è cresciuto in questa città, da qui anche la sua cura dei dettagli nella riproduzione della stessa che sembra anche strizzare un po’ l’occhio a molti dei romanzi del celebre scrittore marsigliese Jean Claude Izzo.
Nonostante la vicenda del giudice Pierre Michel sia poco conosciuta in Italia non vi è dubbio che la sua storia ricorda quella di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Non a caso, ‘il giudice ragazzino francese’ ebbe dei contatti con Falcone. Durante le sue indagini, tra i tanti collegamenti che trovò, Pierre Michel scoprì che i marsigliesi erano in affari con la ‘ndrangheta calabrese – in particolare, per quanto riguardava gli investimenti di droga nel nord Italia. Quando venne ucciso, Michel stava collaborando con alcuni magistrati di Palermo. Dalle cronache dell’epoca si apprende che solo poche settimane prima dell’omicidio il giudice aveva ricevuto a Marsiglia tre colleghi di Palermo. Uscirono fuori solo due nomi di magistrati italiani che mantenevano rapporti di collaborazione con Michel: Giovanni Barrille e Giusto Sciacchitano. E il terzo chi era?
Bisognerà aspettare il quinto anniversario del delitto per intuirlo. Alla commemorazione, infatti, appare Giovanni Falcone, presente in Francia per altri impegni, che fa intuire ai cronisti presenti un’antica collaborazione con il giudice assassinato nel 1981. Proseguendo nelle indagini molti altri tasselli andranno al loro posto. Nel libro di Nicola Gratteri (magistrato in prima fila contro la ‘ndrangheta), scritto insieme ad Antonio Nicaso, La Malapianta, vengono spiegati molto bene i collegamenti tra il clan dei marsigliesi con Cosa Nostra, la ‘ndrangheta e la Mafia, e il nome del giudice Pierre Michel compare più volte.
Vi riportiamo ora di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Cédric Jimenez.
Perché conosceva questa storia?
Mio padre aveva un ristorante, un locale dove si suonava musica jazz sulla spiaggia della Pointe Rouge a Marsiglia. Alcuni noti mafiosi si fermavano da mio padre di tanto in tanto e, a dire il vero, il fratello di Gaetan Zampa aveva un bar vicino al ristorante di mio padre. È questo l’universo nel quale sono cresciuto e ricordo molto bene il giorno in cui abbiamo saputo che il giudice Pierre Michel era stato assassinato. Fu uno shock per tutta la città. La mia intenzione era utilizzare tutto questo per raccontare la storia di Marsiglia.
Ha deciso subito di raccontare la storia dal punto di vista del giudice?
Sì. Era un eroe, un uomo eccezionale che ha anteposto il bene della comunità ai suoi interessi personali, cosa molto rara nella società contemporanea. Da un punto di vista psicologico era un uomo appassionato che si era imbarcato in una missione per una causa che lui riteneva giusta – i giornali dell’epoca lo chiamavano “il crociato”. Odiava con tutto se stesso la droga perché aveva visto i suoi effetti più drammatici sui giovani quando lavorava al tribunale dei minori. Ma quell’uomo aveva i suoi demoni e ho pensato che sarebbe stato interessante raccontare la storia dal punto di vista di uno “straniero”, visto che veniva da Metz. Grazie a questo approccio narrativo, lo spettatore scopre insieme a lui la città nella quale lavora, osserva i suoi singolari codici e penetra nei suoi segreti.
E Gaetan Zampa?
A Marsiglia lo conoscono tutti e lo considerano “l’ultimo padrino”. La sua carriera è stata quasi una questione di predestinazione. Suo padre, infatti, era a sua volta un noto esponente della mafia. Zampa era carismatico, intelligente e pieno di paradossi. Era un marito affettuoso e un bravo padre. Sono certo che avrebbe voluto vivere una vita diversa ma ha seguito le orme paterne. Ha creato un’associazione mafiosa di stampo familiare coinvolgendo i suoi amici e nessuno osava toccare il suo clan. Si diceva che non avesse paura di niente o di nessuno. Qualunque tassista o barista della città ha un aneddoto da raccontare su di lui e lo chiamavano tutti con il soprannome di “Tani”. Era una leggenda vivente per le strade di Marsiglia.
Il film è stato definito un thriller dai toni tragici. È d’accordo?
Era questo il mio primo desiderio. Il destino di Pierre Michel è innegabilmente tragico. Cionondimeno, Audrey Diwan ed io abbiamo capito quasi subito che questi due personaggi, che sono l’uno l’opposto dell’altro, si trascinano a vicenda verso la morte, senza che nessuno dei due uccida l’altro. Abbiamo lavorato molto su questo aspetto, sulle dinamiche del destino. Volevamo che il film fosse la storia di due uomini e non di due archetipi. Avvicinandosi, infatti, i due scoprono le loro rispettive complessità ed è per questo che abbiamo ricreato i loro universi familiari nei quali le donne svolgono un ruolo fondamentale. Sono lo specchio delle situazioni e, spesso, il motore che spinge la loro evoluzione.
Si capisce che Marsiglia è una delle protagoniste della storia. Era una cosa importante per lei?
Naturalmente amo la città e la conosco come le mie tasche. Volevo restarle fedele, mostrarne i pregi e i difetti. Marsiglia può essere ospitale, divertente, effervescente e, al tempo stesso, ostile. Ha un ritmo tutto suo.