Domani sarà nei nostri cinema L’Altra Metà Della Storia, il film diretto da Ritesh Batra tratto dal romanzo Il Senso Di Una Fine di Julian Barnes. La pellicola racconta una storia di amore, rimpianto e gioventù dimenticata, interpretata da Jim Broadbent, Charlotte Rampling, Harriet Walter, Emily Mortimer e Michelle Dockery.
Tony Webster (Jim Broadbent), divorziato e ormai in pensione, conduce una vita solitaria e relativamente tranquilla. Un giorno viene a sapere che la madre della ragazza con cui stava ai tempi dell’università, Veronica (Freya Mavor), gli ha lasciato, nelle sue volontà testamentarie, il diario tenuto dal suo migliore amico di un tempo che si era messo con Veronica dopo che lei e Tony si erano lasciati.
Il tentativo di recuperare il diario, ora nelle mani di una Veronica più anziana, ma egualmente enigmatica (Charlotte Rampling), lo costringe a rivisitare i suoi lacunosi ricordi degli anni giovanili e degli amici di allora. Scavando sempre di più in profondità nel suo passato, iniziano a riaffiorare tutti i dettagli di quel periodo: il primo amore, il cuore infranto, gli inganni, i rimpianti, il senso di colpa. Tony sarà in grado di trovare il coraggio di affrontare la verità e di assumersi la responsabilità delle devastanti conseguenze dei gesti che ha compiuto tanti anni prima?
“Il Senso Di Una Fine è uno di quei romanzi che non mi ha mai abbandonato. Forse sono un’anima antica, ma è un libro con cui sento una profonda affinità”. Il regista Ritesh Batra è solo uno di una folta schiera di fan che si è innamorata del seducente romanzo di Julian Barnes, quando è stato pubblicato nel 2011. Divisa in due parti, la storia ruota attorno al personaggio di Tony, un uomo che conduce un’esistenza solitaria e tranquilla quando un cimelio che risale ai tempi in cui andava all’università negli anni ’60 ricompare e inizia a tormentarlo, costringendolo a mettere in discussione tutto quello che pensava di sapere sul suo passato e a fronteggiare le devastanti conseguenze delle scelte che ha compiuto.
Vincitrice dell’edizione 2011 del Man Booker Prize, la meditazione di Barnes sulla fallacia della memoria si distingue non solo per la preziosità e la ricercatezza del linguaggio, ma anche per l’intricata struttura narrativa suddivisa in due spazi temporali distinti e per la presenza di un narratore inaffidabile le cui rivelazioni (o omissioni di verità) imprimono il ritmo al racconto. “Per certi versi è un thriller psicologico, quindi si legge piuttosto velocemente. Per altri versi, è un romanzo che non rivela una serie di cose al lettore”, sostiene Julian Barnes.
“Per un cineasta, il modo migliore di essere fedele al testo sul quale un film si basa è tradirlo. Ne sono sempre stato convinto – continua Barnes – nel momento in cui affidi la tua opera a dei realizzatori di talento, devi lasciarli liberi di volare”. Ad occuparsi dell’adattamento è stato Nick Payne: “quello che mi ha attratto più di ogni cosa è stata la possibilità di creare una narrazione vivace come quella del romanzo – osserva lo sceneggiatore – la sceneggiatura è quasi un racconto di formazione, ma il protagonista è un uomo sulla sessantina. Di solito è un genere riservato a individui più giovani, ma sono convinto che le persone continuano a cambiare tutta la vita”.
L’obiettivo della regia di Batra e della sceneggiatura di Payne era di restare fedeli all’essenza del romanzo, pur estrapolandone i luoghi e i protagonisti in modo da riempire lo schermo in senso cinematografico: “un film può fungere da complemento a un libro – aggiunge Ritesh Batra – ma quando adatti un romanzo non puoi fare altro che renderlo tua”. Essendo il romanzo caratterizzato da una narrazione in forma di monologo interiore di Tony, il lavoro di Payne e Batra ha dovuto essere mirato allo sviluppo di personaggi che nel testo sono minori fino a trasformarli in ruoli a pieno titolo e a costruire la percezione che Tony ha degli altri personaggi allo scopo di restituire pienamente il peso emotivo di ciascuna scena.
“Leggendo un romanzo, la gente ama riempire gli spazi vuoti. A volte lo fa in modo errato, ma per uno scrittore è comunque un apporto istruttivo”, sostiene Julian Barnes. Nel suo romanzo sono molte le cose non dette e non spiegate per via della scelta di adottare il punto di vista soggettivo di un unico narratore la cui memoria è inaffidabile. Un meccanismo che funziona bene nella forma letteraria, ma che presenta nuove sfide in un adattamento cinematografico. Motivo per cui, Nick Payne e Ritesh Batra hanno cercato di arricchire il racconto e i personaggi per dare corpo a una sceneggiatura, stando tuttavia attenti a conservare l’alone di mistero che avvolge la storia e a restare fedeli al tono narrativo del romanzo.
“Probabilmente non mi sono reso conto di quale sfida mi attendesse. Quello che mi ha attratto più di ogni altra cosa è stato il ruolo della memoria, ma non nel senso in cui viene tradizionalmente usata nel cinema – continua Payne – si tratta di una memoria comune e normale, in cui persone comuni e normali hanno a posteriori mitizzato il modo discutibile in cui hanno trattato altre persone”.
Il nodo cruciale per Payne era proprio di riuscire a confezionare una sceneggiatura che garantisse l’ambiguità come fulcro della storia e l’obiettivo di Batra era di sviluppare il film attorno a questo perno facendo in modo che anche l’interpretazione degli attori contribuisse all’ambivalenza. Per Harriet Walter, anche il titolo è piuttosto elusivo: “Contiene molti significati diversi. Uno è il senso di una fine prossima che si avvicina, un altro è dare un senso alla fine”. Charlotte Rampling spiega ulteriormente: “penso che ciascuno di noi si costruisca mentalmente delle storie rispetto ai fatti realmente accaduti, perché Julian Barnes di fatto non ci fornisce alcun indizio. E dunque è compito nostro, in quanto interpreti, costruire la storia”.
“Ci saranno moltissimi dibattiti e disaccordi in merito alle tematiche del racconto, dunque sono tutte illustrate in modo che ciascuno possa trovare nel film i significati e i temi che desidera – commenta Jim Broadbent – penso che faccia parte della natura stessa del film questa discussione sulla memoria e sulla storia”. Ed è proprio questo il tema centrale del film. Il passato che scegliamo di dimenticare e la nostalgia che accompagna la vita di tutti noi sono le ragioni per cui gli spettatori si identificheranno nella storia di Tony: “sono convinta che spesso restiamo aggrappati alle cose perché vogliamo continuare a ricordarle: è un modo come un altro di tenerle in vita – aggiunge la Rampling – il film parla della riscoperta di alcuni lati della propria persona con i quali nel tempo si era perso il contatto”.
Nick Payne vede un aspetto positivo nella redenzione di Tony e nella sua decisione consapevole di affrontare il passato che aveva scelto di dimenticare: “gli viene offerta l’occasione di ripensare a tutta la sua vita e di vederla sotto una luce completamente diversa. Intravedo un aspetto piuttosto positivo in questo processo. La storia non è infallibile: è fluida e può cambiare. E le seconde chance non si esauriscono mai”.