Dopo Mon Oncle, PlayTime e Les Vacances de Monsieur Hulot, oggi si chiude la rassegna dedicata a Jacques Tati con Jour de Fête, suo primo lungometraggio, che vedremo nella versione originale in bianco e nero del 1949 (ne esistono altre due: una con elementi a colori del 1964 e la versione colore ricostruita nel 1994). Il film ebbe un grosso successo di pubblico e la critica lo premiò per la migliore sceneggiatura al Festival del Cinema di Venezia del 1949 e gli assegnò il Grand Prix du Cinéma Français nel 1950.
A Sainte Sévère, piccolo centro rurale francese, si allestisce la sagra annuale. Tra le varie “attrazioni”, c’è anche quella di un cinematografo ambulante e François (Jacques Tati), il postino, complice qualche bicchiere di troppo, si esalta davanti ai prodigi mostrati da un documentario sul servizio postale statunitense. Così, nel suo piccolo, cerca di emulare i “colleghi” d’oltreoceano, con risultati catastrofici.
Jour de Fête consacra Tati quale una delle personalità più innovative e geniali del cinema francese e lo resterà sino al termine della sua carriera influenzando molti cineasti a venire inclusi gli innovatori Truffaut e Godard che riconosceranno in Tati un maestro assoluto del cinema mondiale al pari di Rossellini e Ford.
Ripercorriamo anche questa volta il film attraverso alcuni punti chiave.
Numeri – Dalla sua uscita, Jour de Fête è stato visto in Francia da quasi 7 milioni di spettatori. Rimane ancora oggi il successo commerciale più grande di Tati. Al cinema, i suoi primi 4 lungometraggi hanno venduto in tutto quasi 19 milioni di biglietti.
Sperimentazione – Tati ritoccò costantemente il suo film per decenni per migliorarlo, come faceva per i suoi spettacoli di music- hall. Sperimentò con il colore, come fece con il formato in 70 mm e il suono in PlayTime, e fu sospettato di voler distrarre l’attenzione ma in realtà voleva semplicemente testare e affermare la libertà dello spettatore. Non rifiutava mai le nuove tecniche che si presentavano in campo cinematografico anche se fu spesso accusato di essere un regista conservatore.
Lavoro – Tati amava rappresentare certe categorie sociali piuttosto che individui particolari. Il postino François stabilisce collegamenti attraverso la sua funzione. Cura i rapporti con gli abitanti del paese, facendo favori. Fa da tramite con il mondo esterno, annunciando notizie, come il cinema. Nonostante la sua goffaggine è apprezzato dai cittadini, perché è a loro vicino e generoso. È l’antenato dello spazzino di Mon Oncle, più impegnato a intrattenere rapporti sociali che a spazzare veramente la strada. La dimensione umana della relazione è più importante del conseguimento e della puntualità del lavoro.
Disumanizzazione del progresso – Lo stile americano effimero permette a François di migliorare le sue performance da postino e raggiungere l’efficienza dei postini d’oltreoceano. Ma ha i suoi lati negativi. La maggiore produttività ha un prezzo: la scomparsa del contatto fisico e umano. Ciò che è mostrato come il simbolo del progresso espone il lavoro e le relazioni ai rischi della disumanizzazione.
Altezze – “Il mio problema – ha spiegato Tati – è che sono troppo alto. La comicità è più facile da raggiungere per le persone piccole. Ma il mio metro e 87 è un handicap”. Tati ha ricordato che i più grandi comici slapstick, a partire da Chaplin furono bassi. La caratteristica principale di François è il suo fisico atipico. Da Jour de Fête in poi, Tati ha trasformato il suo corpo nella sua carta vincente.
Invasione – Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’America supportò con forza la ricostruzione della Francia e il recupero dell’Occidente con il Piano Marshall che, per inciso, ravvivò le esportazioni americane. Quando Tati finì di scrivere Jour de Fête, l’accordo Blum-Byrnes, firmato il 26 maggio 1946, abolì la messa al bando dei film americani (introdotta nel 1939). Jour de Fête rappresenta l’ambivalenza del rapporto col liberatore. Il fantasma dell’occupazione ideologica, economica e culturale da parte degli Stati Uniti in Francia era già nella mente di Tati in Jour de Fête, come conferma PlayTime.
Jour de Fête potrebbe anche rappresentare una confessione da prendere alla lettera. Quella di un autore del cinema, un Don Chisciotte della pellicola, come si definiva egli stesso, che vorrebbe rivaleggiare simbolicamente con i geni dell’età d’oro del burlesco. Metaforicamente, si tratta di riprendere il testimone di un genere cinematografico, la comicità corporea, nato sul suolo francese poi esiliato oltreoceano, a immagine del suo primo rappresentante celebrato in tutto il mondo, Max Linder.
“Con lui nacque il neorealismo francese. Jour de Fête deriva dalla stessa ispirazione di Roma città aperta”.
Jean-Luc Godard
EXTRA – Jour de Fête, note di restauro
Sfortunatamente il negativo originale in bianco e nero del 1949 fu distrutto. Dalla nuova edizione a colori del 1995 non fu svolto nessun lavoro sulle due prime versioni in bianco e nero inizialmente concepite da Tati (una delle quali, fu scoperto che era in parte trasferita da una versione a colori a una in bianco e nero).
Nel 2012, una prima versione in bianco e nero è stata restaurata in risoluzione 4K, da due positivi di preservazione di uno stock di pellicole conservate negli archivi francesi. Anche la densità variabile del suono è stata recuperata dagli stessi positivi.