Hercule Poirot non è più un buffo ometto coi baffetti. Attraverso la recente trilogia cinematografica il regista e attore Kenneth Branagh ci ha portato molto lontani dallo stereotipo a cui eravamo abituati. Lungo le sue trasposizioni tratte dalle opere di Agatha Christie, prodotte da Ridley Scott e sceneggiate insieme a Michael Green, Branagh ha saputo dirigere e incarnare un personaggio più umano, più complesso, più ricco di conflitti. Alle prese con qualcosa di più grande di un semplice omicidio: il concetto stesso di giustizia di Assassinio sull’Orient’Express (2017), la forza e il dolore dell’amore in Assassinio sul Nilo (2022), il rapporto con il soprannaturale e la stanchezza della vecchiaia in Assassinio a Venezia (2023). Sfide necessarie per restituirci un Poirot al passo coi tempi.
Hercule Poirot sullo schermo
Sullo schermo Poirot l’abbiamo visto parecchie volte. Un ometto buffo, con i baffetti all’insù, un po’ sovrappeso, ossessivo-compulsivo e dallo strano accento francese – che poi sarebbe belga, altrimenti s’arrabbia. Non si direbbe che dietro quello sguardo si nasconde una delle più brillanti menti investigative del mondo. Un mito letterario creato da Agatha Christie tra il 1920 e il 1954, con oltre 50 tra racconti e romanzi, diventato presto un successo mondiale e trasposto poi decine di volte su schermo. Qui ve lo abbiamo raccontato nella sua incarnazione televisiva più celebre, quella di David Suchet, a cui è stato dedicato il bellissimo documentario Being Poirot.
Perché quando pensi al giallo all’inglese, pensi subito a Sherlock Holmes, Miss Marple e Hercule Poirot. Personaggi assorti ad archetipo che, se da un lato è la loro forza, dall’altro potrebbe essere il loro punto debole. In un epoca in cui ogni personaggio viene sezionato in ogni aspetto per dare vita ad un franchise, potevamo forse esimerci dal rivitalizzare l’iconico investigatore? La sfida vera era mantenere il suo tono classico, calandolo nel contemporaneo.
Nel 2018 questo compito è stato dato a Kenneth Branagh, un vero campione di versatilità. Diventato celebre per i suoi adattamenti Shakespeariani. Nel corso della sua carriera di autore ha ottenuto otto nomination agli Oscar, vincendolo per la sceneggiatura di Belfast. Ma non solo: Branagh ha anche saputo entrare nel ben noto universo di Harry Potter – gigioneggiando con il narcisista mago Gilderoy Allock ne La Camera dei Segreti – e provando a dare spessore a Thor, il Dio del Tuono dell’universo cinematografico Marvel, la quintessenza del blockbuster contemporaneo. La prova di una consapevolezza ed efficacia tra cinema “alto” e cinema popolare. Come un certo tipo di cinema giallo.
Assassinio sull’Orient Express
Assassino sull’Orient Express è forse l’indagine più celebre di Poirot. Un odioso affarista di nome Ratchett viene assassinato durante un viaggio verso Istanbul, a bordo di un treno affollato di possibili colpevoli. Casualmente Poirot si trova nei paraggi e verrà coinvolto nelle indagini, trovandosi a fare i conti col fatto che ci sono colpevoli i cui delitti sono difficilmente ascrivibili alla semplice vendetta, e il concetto di giustizia è ampio e sfumato. Un investigatore “integro” dovrebbe conoscere la differenza, eppure la cosa lo farà vacillare – rendendolo immediatamente più umano e coinvolgendoci nei suoi stessi dubbi ed emozioni. Niente male per essere l’esordio di un personaggio con oltre 100 anni di storia alle spalle!
Lato stilistico, se all’apparenza sembra il classico “delitto a porte chiuse”, Branagh decide di dare un vero respiro alla location. Scene ambientate a Gerusalemme, sul tetto dei vagoni dell’Orient Express, tra binari e gallerie Jugoslave. Ogni interrogatorio è pensato come un’opera teatrale, con tanto di intermezzi spettacolari – il digitale restituisce l’ampiezza di montagne innevate e tempeste notturne – ma anche inseguimenti d’azione e momenti ironici, sempre con protagonista un ex ometto buffo, ora uomo deciso e consapevole.
Branagh aveva introdotto Shakespeare dentro l’Universo di superstar Marvel, e a sua volta riesce ad introdurre l’Universo di superstar Marvel all’interno di un caposaldo della letteratura. Un sapiente mix tra divi internazionali – Johnny Depp, Penélope Cruz, Michelle Pfeiffer, Willem Dafoe, Judi Dench – e professionisti o emergenti che nel 2018 erano sulla cresta dell’onda – Olivia Colman, Daisy Ridley, e Josh Gad. 55 milioni di dollari di budget spesi, 350 incassati. Si dia il via al sequel!
Assassinio sul Nilo
Assassinio sul Nilo ripete benissimo la formula precedente. Sono passati circa tre anni dalla precedente avventura, Poirot si ritrova tra gli invitati ad una crociera sul fiume in compagnia di una ricca ereditiera e del neomarito, di loro parenti ed amici, oltre che dall’ex fidanzata di lui, che sembra non arrendersi all’evidenza della conclusione della loro storia. Potete già immaginare che spunteranno sia vittime che intrighi da svelare.
Dal lato del successo al botteghino, il film esce nel momento più sfortunato. Siamo ancora nel periodo pandemico, e la distribuzione è ancora lenta a ripartire: girato nel corso del 2020, uscirà al cinema solo nel marzo 2022. Il cast è sempre stellare e di tendenza, guidato dalla “Wonder Woman” Gal Gadot con anche le emergenti Rose Leslie (Games of Thrones) ed Emma Mackey (Sex Education), oltre che i veterani Annette Bening e Russel Brand. Ma soprattutto c’è l’incognita Armie Hammer. L’attore celebre per Chiamami col tuo nome insieme a Timothée Chalamet, all’epoca venne travolto da accuse di molestie sessuali e ciò influenzò la campagna di comunicazione della pellicola.
Finalmente giunti in sala, Branagh torna a fare sfoggio della sua estetica, con il piede sull’acceleratore. Sicuramente molto teatrale – con scenografie ampie e quasi simmetriche, incorniciate da una fotografia da cartolina – e sicuramente molto opulenta – con inquadrature dai colori ipersaturi e un eccesso di computer grafica nei tramonti tra dune e piramidi. Tornando al protagonista, assistiamo subito ad un flashback in bianco e nero che lo riguarda, a un trauma e a un dettaglio molto personale della sua vita. L’amore, ovviamente. Poirot non sembra più un personaggio asessuato, uomo-investigatore disinteressato e focalizzato solo alla risoluzione del delitto, ma una persona più reale, ferita e guidata dalle emozioni. Non sarà una vera rivoluzione in assoluto, ma aggiungere un ulteriore spessore al personaggio in relativamente al paio d’ore in cui rappresentare un giallo dal ricco cast e una trama intricata, e con il peso degli obiettivi di incasso e accessibilità al pubblico per un kolossal prodotto da Disney… ecco, in fin dei conti, un risultato interessante.
Assassinio a Venezia
In Assassinio a Venezia siamo nel 1947 e Poirot è praticamente in pensione. Vive a Venezia protetto da una guardia del corpo (Riccardo Scamarcio con un nome terrificante, “Vitale Portfolio”) e riceve l’amica scrittrice Ariadne Oliver (Tina Fey, ottima spalla per Poirot), che le chiede di accompagnarlo ad una festa di Halloween con seduta spiritica inclusa, medium da smascherare (Michelle Yeoh, fresca di Oscar per Everything Everywhere all at Once) e un delitto del passato.
Non solo la trama e l’ambientazione sono ben lontani da quelle del libro originale, Halloween’s Party – in italiano La strage degli innocenti – ma questa è l’iterazione in cui sembra ci sia più libertà di sperimentare. Una caratterizzazione che giova non solo a Poirot stesso, più credibile quando dovrà affrontare la sua mancanza di fede di fronte ad eventi apparentemente soprannaturali, ma lascia spazio anche alle interpretazione degli altri, dove emergono più i personaggi che le star dietro, grazie anche all’intuizione di scegliere nomi meno noti.
La regia si muove all’interno di un ambiente chiuso, ricercando sempre le simmetria ma con angolazioni più audaci, movimenti di macchina fissi sui personaggi molto moderni e con un vivo contrasto rispetto al setting del passato in cui siamo calati. L’ambientazione è inoltre quasi horror, con Branagh che si permette di recuperare gli stereotipi di genere quasi fossimo in un film di Dario Argento. E durante la notte, l’alta marea e la tempesta incombono martellanti, con voci misteriose, fantasmi e inquietudini aleggiano all’interno di mura fatiscenti.
La Venezia di Branagh non è quella da cartolina, ma quella più suggestiva di una domenica mattina di nebbia desolata e decadente, un po’ come Poirot, che sembra ormai una figura al tramonto, meno ossessivo e compulsivo, più distaccato e verosimile. Il momento perfetto di incontro tra il background autoriale della Christie, la vocazione shakespeariana e autoriale di Branagh unita però all’esperienza e all’efficacia dei supercast e dei kolossal holliwodiani alla Marvel-style.
Siamo sempre dalle parti del giallo molto pop, stile i film Knives Out con Daniel Craig, Omicidio nel West-end con Sam Rockwell o anche la serie Only Murders In the Buiding con Steve Martin – tanti protagonisti, molteplici piste, eccentrici investigatori – questa volta con una forte mescolanza di generi tra giallo, commedia e horror, decisamente accessibili a tutti. L’attuale conclusione della trilogia sembra lasciare una porta aperta ad ulteriori sequel. Sarebbe bello però giungere ad una degna conclusione dell’arco narrativo di questa incarnazione di Hercule Poirot. C’è ancora Sipario, l’ultimo romanzo di Agatha Christie in cui compare il belga che, rappresentandone il finale effettivo, parte già come quello più emotivamente complesso. Ehi Kenneth, non pensi che sia una bella tentazione?
Enrico Banfo