Giovedì 9 aprile uscrirà al cinema White God, film dell’ungherese Kornél Mundruczó. Si tratta di un racconto ammonitorio sul rapporto tra le specie superiori e i loro disgraziati subalterni. Un provvedimento apparentemente innocuo, che mira a stabilire una maggiore disciplina nell’ allevamento dei cani, dà invece luogo a una serie di eventi straordinari. Nel favorire i cani di razza, la nuova legge prevede una tassa gravosa sui cani meticci. I proprietari degli animali cominciano ad abbandonare i loro bastardini e i canili diventano rapidamente sovraffollati.
La tredicenne Lili (Zsófia Psotta) lotta disperatamente per proteggere il suo cane Hagen (Luke and Body). Il provvedimento le sembra crudele e senza alcun senso. Non può accettare nemmeno le argomentazioni del padre ed è devastata quando lui alla fine abbandona Hagen per strada. Lili, con il cuore ormai spezzato, detesta il padre (Sándor Zsótér) per averle fatto tradire il suo amico a quattro zampe. Credendo ingenuamente che l’amore possa avere la meglio su qualsiasi difficoltà, Lili si prefigge di ritrovare il suo cane e salvarlo. Anche Hagen cerca disperatamente di ritornare a casa da Lili. Sforzandosi di sopravvivere, Hagen si rende presto conto che non tutte le persone rappresentano le migliori amiche dei cani. Vagando per le strade, l’ex animale domestico si ritrova in una serie di situazioni estremamente pericolose. Deve sfuggire agli accalappiacani, viene sfruttato da un furbo barbone e diventa addirittura prigioniero di un addestratore di cani da combattimento.
Hagen presto torna per strada e si unisce a un gruppo di altri cani randagi. Settimane dopo Lili comincia ad accettare il fatto di non riunirsi mai più con Hagen. E’ amaramente delusa ma cerca comunque di concentrarsi, con la sua orchestra, sulla preparazione del concerto di fine anno, cercando di divertirsi come una normale adolescente. Quando Hagen viene catturato e mandato al canile, il suo futuro appare più triste che mai. Lui e gli altri cani colgono un’opportunità di fuga e si ribellano contro il genere umano. La loro vendetta sarà implacabile. La coraggiosa Lili potrebbe essere l’unica persona in grado di bloccare questa guerra inaspettata tra l’uomo e il cane.
Riportiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Kornél Mundruczó.
Chi è il Dio Bianco? Cosa significa il titolo del film?
Ho voluto collocare il film in una prospettiva in cui si capisca che il cane è il simbolo dell’eterno emarginato per cui il padrone è il suo Dio. Mi hanno sempre interessato le peculiarità di Dio. Dio è davvero bianco? Oppure ogni persona ha il suo Dio? L’Uomo Bianco ha dimostrato innumerevoli volte che è solo capace di dominare e colonizzare. Le due parole collegate del titolo nascondono molte contraddizioni ed è per questo che l’ho trovato così accattivante.
Quanto il presente politico dell’Ungheria ha inciso sul film?
Il film è più una critica dell’Ungheria di una volta e di quella del futuro, dove un’esigua minoranza domina su una massa più estesa. Questo sta diventando sempre più vero anche per l’Europa. Un gruppo dell’élite si riserva il diritto al potere mentre, come in un reality show politico, i politici sono stelle che noi decidiamo di eleggere o meno. Queste sono tendenze molto pericolose. Se non prestiamo attenzione, un giorno le masse si ribelleranno.
Quale aspetto di Budapest volevi rappresentare?
Volevo liberarmi da quel tipico senso di nostalgia dell’Europa dell’est post-sovietica che ha invece caratterizzato i nostri film negli ultimi decenni. L’Europa dell’est si trova in mezzo a un immenso caos, in un clima di cambiamento e instabilità; pianificare in anticipo è impossibile. Ho cercato spazi e immagini che potessero rappresentare tutto questo. Ho cercato di creare una nuova Budapest, che esprimesse una relazione attuale con la storia della città.
Com’è nata in te l’idea di utilizzare i cani per rappresentare gli eterni emarginati? Che cosa ha ispirato la storia?
Nell’arte è sempre molto difficile trovare i mezzi per descrivere delle verità senza tempo in modo nuovo. L’incontro con la letteratura di Coetzee è stata un’esperienza rivelatrice. Il suo lavoro richiama l’attenzione sul fatto che c’è uno strato più basso anche di quello dei più emarginati, che consiste in un’altra specie di esseri intelligenti e razionali che possono essere sfruttati in tutti i modi possibili dall’uomo: gli animali. E’ qui che ho cominciato a chiedermi se fosse possibile girare un film con un cane. L’idea era tanto spaventosa quanto stimolante. Inoltre, è da un po’ che volevo girare un film con una ragazzina come protagonista. Nel film, una ragazza sul punto di diventare adolescente deve perdere la sua innocenza nello stesso modo in cui fanno i cani. E’ una storia a specchio in cui un elemento non può esistere senza l’altro.
Gli ultimi 40 minuti del film mostrano immagini mai viste prima. Perché questo era necessario?
Questi sono i momenti in cui le masse si ribellano, l’attuale paura dell’Europa: la rivoluzione delle masse. E hanno ragione ad aver paura. Ho cercato delle immagini simboliche per rappresentare tutto questo, in modo che si veda la direzione che si prende quando ci si rifiuta di mettersi nei panni di un’altra specie, dell’avversario o delle minoranze. Volevo mostrare la loro prospettiva. L’arte non deve mai rinunciare alla sua posizione critica, mettendo uno specchio davanti alla faccia della società.