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La fede fragile nel Agnus Dei di Anne Fontaine

Presentato al Sundance Film Festival, il 17 novembre arriva in esclusiva – solo al Cinema Quattro Fontante di Roma, al Nazionale di Torino e al Cinema Arlecchino di MilanoAgnus Dei, il drammatico film di Anne Fontaine ispirato alla storia del medico Madeleine Pauliac con protagoniste Lou De Laage, Agata Buzek, Agata Kulesza. Nel resto d’Italia il film verrà programmato a partire dal 24 novembre.

Polonia, 1945. Mathilde (Lou De Laage), un giovane medico francese della Croce Rossa, è in missione per assistere i sopravvissuti della Seconda Guerra Mondiale. Quando una suora arriva da lei in cerca di aiuto, Mathilde viene portata in un convento, dove alcune sorelle incinte, vittime della barbarie dei soldati sovietici, vengono tenute nascoste. Nell’incapacità di conciliare fede e gravidanza le suore si rivolgono a Mathilde, che diventa la loro unica speranza.

Agnus Dei si ispira alla vera storia di Madeleine Pauliac, un ufficiale medico delle Forze Interne Francesi, che nell’aprile 1945 fu nominata Primario dell’Ospedale francese di Varsavia, che era ridotto in rovine. Condusse la sua missione in tutta la Polonia e in parte dell’Unione Sovietica, portando a termine oltre 200 missioni con l’Unità dello Squadrone Blu delle autiste di ambulanza della Croce Rossa. È in queste circostanze che scoprì l’orrore nei reparti di maternità, dove i russi avevano violentato le donne che avevano appena partorito e quelle che erano in travaglio; gli stupri erano all’ordine del giorno, e ci furono addirittura stupri collettivi nei conventi. Lei si occupò di fornire aiuto medico a queste donne. Le aiutò a guarire le loro coscienze e a salvare il loro convento.

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Vi presentiamo ora qui sotto un breve estratto dell’intervista rilasciata da Anne Fontaine.

Agnus Dei è ispirato a un evento storico poco conosciuto, avvenuto in Polonia nel 1945.

La storia di queste suore è incredibile. Secondo le note scritte da Madeleine Pauliac, il medico della Croce Rossa che ha ispirato il film, 25 di loro furono violentate nel loro convento – alcune fino a 40 volte di seguito – 20 furono uccise e 5 rimasero incinte. Questo evento storico getta una luce oscura sui soldati sovietici, ma è la realtà; una verità che le autorità si rifiutano di divulgare, nonostante numerosi storici ne siano a conoscenza. I soldati non ritenevano di commettere un atto ignobile, erano autorizzati dai loro superiori, come premio per i loro sforzi.

Atti brutali come questo, sfortunatamente, sono ancora largamente praticati ai giorni nostri. Le donne continuano a essere oggetto di simili fatti disumani nei paesi in guerra di tutto il mondo.

La storia mi ha subito catturata. Senza sapere neanche perché, sapevo di avere un legame personale con questa vicenda. La maternità e il fatto di porsi delle domande sulla fede erano dei temi che m’interessava esplorare. Volevo avvicinarmi il più possibile a quello che è accaduto a queste donne, per descrivere l’indescrivibile. La spiritualità doveva essere al centro del film.

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Cosa l’ha colpita più di tutto?

La vita nella comunità, questo modo di stare assieme, pregando e cantando sette volte al giorno: è come stare in un mondo dove il tempo è sospeso. Si ha la sensazione di fluttuare in una sorta di euforia, nonostante si sia vincolati da una fortissima disciplina. Ho visto come si creano le relazioni umane: la tensione e la psicologia altalenante di ogni suora. Non è un mondo congelato e unidimensionale. Quello che più mi ha colpito, e che ho cercato di trasmettere nel film, è quanto fragile sia la fede.

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