È finalmente da ieri in sala in Italia Cinema Komunisto, l’opera prima di Mila Turajlic, vincitrice al Festival di Trieste nel 2011 e successivamente premiato in numerosi altri Festival in giro per il mondo, come il premio Fipresci per il Miglior Documentario Serbo del 2011, ed il Gold Hugo come migliore documentario al Chicago International Film Festival. Il film documenta con ritmo e con ironia, pur nel realismo dei brani d’archivio e delle interviste che compongono il testo di base del film, la storia dell’industria cinematografica in Jugoslavia.
Cinema Komunisto ci fa viaggiare attraverso i resti dell’industria cinematografica di Tito, esplorando l’ascesa e la caduta dell’illusione cinematografica chiamata Jugoslavia. Utilizzando rare riprese tratte da decine di film jugoslavi dimenticati, così come inediti materiali d’archivio provenienti da set di film e proiezioni private di Tito, il documentario ricostruisce la narrazione di un Paese, le storie raccontate sullo schermo e quelle nascoste dietro di esso. Stelle come Richard Burton, Sofia Loren e Orson Welles aggiungono un tocco di glamour allo sforzo nazionale, apparendo in super-produzioni finanziate dallo Stato.
Leka Konstantinovic fu il proiezionista personale di Tito, per 32 anni. In quel periodo, mostrò al Presidente della Jugoslavia un film ogni notte, per un totale di 8801 film. Insieme a registi jugoslavi, come quello preferito di Tito, star cinematografiche, compreso il più famoso attore di film di parte, al capo degli studi centrali cinematografici con collegamenti con la polizia segreta – tutti raccontano come la storia della Jugoslavia sia stata costruita sullo schermo.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, alla storia della Jugoslavia è stata data una forma visiva nella creazione del cinema jugoslavo. In un certo senso gli studi Avala Film sono il luogo di nascita dell’illusione jugoslava. Per la regista “rappresentano un punto di partenza promettente – il crollo di set cinematografici può rivelare qualcosa circa il crollo della scenografia in cui stavamo vivendo”.
Mila Turajlic ha iniziato ad andare negli studi Avala Film quando ero studentessa in una scuola di cinema. Inviata lì per ottenere attrezzature per un film da studente, si è trovata sopraffatta dalla atmosfera del luogo: “era immenso, una città fantasma di set abbandonati e in putrefazione, attrezzature datate, studi cinematografici vuoti e tecnici disoccupati. E nessuno mi aveva mai detto niente di tutto questo”.
La regista e sceneggiatrice voleva “fare un film su come i film sono stati usati per scrivere e ri-scrivere la storia, per fornire immagini di una narrazione che è diventata la chiamata unificante della Jugoslavia. Sull’uso degli strumenti dei nostri registi, – fumo e specchi – per creare il Sogno Nazionale Ufficiale”.
Per lei “l’immagine cinematografica rimane come testimonianza, una porta verso un altro tempo. Ma è anche un inganno, un costrutto, da analizzare, per guardare attraverso. Come si spiega la Jugoslavia, un Paese la cui esistenza si inserisce in mezzo secolo caratterizzato da guerre incivili? Gli jugoslavi hanno una passione per il loro cinema, forse fondata sulla nostra passione per gli stessi miti che ci hanno portato a marciare in battaglia troppe volte”.
La vecchia fortezza nel cuore di Belgrado ospita il Museo della Guerra. Oggi, solo una piccola parte è aperta al pubblico. Per coloro che vagano in cerca di una destinazione per trascorre una domenica pomeriggio navigando attraverso la storia serba, la mostra li porterà da battaglie e regni medievali al 1930. Il resto è chiuso, indefinitamente. Il governo ha chiesto al museo di rivedere la mostra, includendo la seconda guerra mondiale, dichiarandolo “sovradimensionato e parziale dal punto di vista comunista”. Disattendendo le istruzioni ufficiali su come riscrivere la storia, il suo direttore non poteva che chiuderlo. (Per non parlare del fatto che non sapeva se montare una mostra sulle azioni di guerra e le perdite degli anni ‘90, come se la Serbia non fosse mai stata coinvolta ufficialmente nella guerra in Bosnia).
Così per la Turajlic Cinema Komunisto è diventato “un film urgente, una risposta alla discontinuità intorno a me, un modo per conservare un mondo che viene cancellato dalla memoria ufficiale. Quando mi guardo intorno cercando la mia infanzia, ogni traccia di essa è scomparsa, i nomi delle strade cambiati, il nome della mia scuola è cambiato, il vicinato ridisegnato con nuovi blocchi di uffici. Quattordici cinema nel cuore di Belgrado sono stati venduti e trasformati in caffè”. Avala Films è anche in vendita – e molto probabilmente sarà abbattuta per costruire un complesso commerciale d’élite.
“Entro in questa storia come un membro di una nuova generazione di registi jugoslavi, che ha ricordi sfumati di un paese che non esiste più – conclude la regista – veniamo da un’epoca circondata dalle rovine di qualcosa che è indicata nostalgicamente come un periodo d’oro, ma nessuno mi ha ancora offerto una visione soddisfacente del modo in cui tutto è stato gettato via. Siamo nati troppo tardi, e abbiamo perso quella festa, ma siamo arrivati in tempo per pagarne il conto”.
“Come sceglie un Paese la storia per raccontare se stesso? Se dovessi scegliere una parola per descrivere la crescita in un Paese che ha cambiato nome 4 volte negli ultimi quindici anni, sarebbe discontinuità. Distruggere il passato in nome di un nuovo inizio è diventato il segno distintivo della nostra storia, e ogni nuova rottura con il passato richiede una riscrittura”
Mila Turajlic