Giovanni Segantini – Magia della Luce: è questo il titolo del docu-film di Christian Labhart – al cinema con Lab80 film – su una delle figure più carismatiche della pittura europea di fine Ottocento.
Pittore, anarchico, emarginato, clandestino, Giovanni Segantini è riuscito a creare opere monumentali che celebrano un’immagine allo stesso tempo reale e ideale della natura e del paesaggio alpino. Nel corso della sua vita è salito sempre più in alto alla ricerca di una luce sempre più pura e la morte l’ha colto a soli quarantuno anni proprio sulle montagne dell’Engadina, a 2700 metri.
Il film è un prezioso, appassionante e rigoroso ritratto del maestro di origini trentine. Il regista Christian Labhart evita il facile bozzetto e fa riemergere la figura dell’artista dalle lettere e dai diari, affidando i testi nella versione tedesca alla voce di Bruno Ganz e nella versione italiana a quella dell’attore ticinese Teco Celio.
Ecco di seguito le note di regia di Christian Labhart.
“Perché Segantini? Amo i suoi quadri, sono commosso dalla malinconia silenziosa di un mondo semplice, quasi addormentato: pecore, montagne, pastori, la vita quotidiana, i lutti. Segantini cerca una spiritualità universale attraverso la natura, gli animali e gli esseri umani. Per i suoi quadri sceglie i temi fondamentali della vita: la madre, l’amore, l’eros, la sconfitta, la natura, la morte. La vita di Segantini mi ha attratto quanto le sue opere: scrive testi per il partito socialista, convive con la moglie e quattro figli, non paga imposte o affitto.
Orfano a sei anni, finì in riformatorio a Milano, da dove fuggì. Ebbe per un breve tempo uno studio a Milano, ma presto si trasferì nella luce delle montagne svizzere. Si spinse sempre più in alto, per dipingere dal vero: portò le tele a 2500 metri, lavorando in qualsiasi condizione atmosferica. La morte colse Segantini a quarantuno anni proprio in alta quota, in una baita dove viveva quando dipingeva, per un malore che a valle sarebbe stato curabile. Fece portare il letto alla finestra: «voglio vedere le mie montagne» sono le sue ultime parole”.
“Da anni studio Segantini. Ho visitato i luoghi dove ha vissuto e costruito le sue tele a cielo aperto. Ho letto quasi tutto ciò che è stato scritto su di lui. Poi ho scoperto i suoi scritti autobiografici e le lettere. La riflessione su questi testi mi ha ancora di più avvicinato al sentire di Segantini. Mi sono aperto a nuove modalità cinematografiche, mi sono liberato dalla necessità dell’interpretazione forzata, ho deciso di lasciare parlare il protagonista: i suoi scritti illuminano al meglio la sua profonda personalità. Questo rifiuto di una narrazione convenzionale mi ha aperto nuove prospettive formali, in una ricerca del rigore nella libertà espressiva”.
«Ho oltrepassato l’infinita pianura della tristezza, dove alla luce del sole e al buio si mescolano tutte le passioni umane. Ho visto fiori piangere e lombrichi ridere. Sì, ho vissuto senza vegetare, ho veramente vissuto».
Giovanni Segantini