Con l’uscita al cinema di Montage Of Heck, torna a rivivere sul grande schermo Kurt Cobain, con il suo genio, con la sua sregolatezza. Bello e dannato, un angelo caduto dal cielo che diventa un mito per sempre. Nato ad Aberdeen il 20 febbraio 1967, fin da piccolo Kurt è un bambino portato per la musica e per l’arte. A sette anni però la sua vita cambia quando i suoi genitori divorziano: da quel momento da estroverso e felice diventa cupo e triste, in conflitto con l’intero genere umano. Nel corso degli anni però, seppur attraverso diversi conflitti familiari, il suo talento viene alla luce. E la luce per Kurt Cobain era la musica. Il rock, il punk, il grunge: diventa il frontman dei Nirvana, il suo successo è planetario e rivoluzionario. E poi, il matrimonio esaltante con Courtney Love e la dipendenza dall’eroina. La nausea per lo show business, una fama che lo schiaccia e gli spegne ogni emozione. Solo, incompreso, arrabbiato perché non compreso da nessuno. Il sollievo non è più la musica ma la droga. Fino al tragico epilogo, con un colpo di fucile alla testa.
Tutto questo è contenuto ne Il Romanzo di Kurt Cobain, il libro di Marcel Feige in libreria in questi giorni (edito da Sonzogno) che ci fa entrare nella sua vita insieme tragica e tenera, e ti fa amare Kurt come un «fratello impossibile». Insieme ai Nirvana, la sua band, Kurt Cobain è stato uno dei musicisti più influenti degli ultimi decenni. Artista geniale e inquieto, sognatore in preda ai suoi stessi incubi, ci ha lasciati alla fatidica età di 27 anni – la stessa a cui sono morti Jim Morrison, Janis Joplin, Amy Winehouse. Chi era davvero? E cosa ha lasciato ai milioni di fan in tutto il mondo che continuano ad ascoltare le sue canzoni, ad andare in pellegrinaggio nei posti in cui ha vissuto, a trarre ispirazione dai suoi testi? Marcel Feige scrive, senza voyeurismo né luoghi comuni, di un musicista outsider e ribelle e della sua ricerca interiore durata 27 anni, scandita da quei brani che hanno cambiato per sempre la storia della musica rock. Con il commento dei testi più belli e poetici dei Nirvana, la cronologia e l’elenco di tutti i loro album.
In mezzo ai tanti libri e documentari su di lui, vogliamo ricordare Last Days, il film girato dieci anni fa da Gus Van Sant e presentato in Concorso al 58° Festival di Cannes del 2005. La pellicola è incentrata sui suoi ultimi assurdi, allucinati e interminabili giorni di vita a Seattle, appena prima di quel gesto estremo che lo avrebbe liberato da tutto quel marcio che provava nell’anima. Ad interpretarlo, un bravo ed ispirato Michael Pitt.
Nei suoi occhi stralunati, quelli di Blake (il nome di Kurt Cobain non fu concesso per il film), vediamo una sofferenza cosciente. Parla da solo, blatera qualcosa, delirante. Animalesco, bestiale, lo vediamo trascinarsi tra una stanza e l’altra sempre sotto effetto della droga. Delirante, disperato, smarrito anche quando passeggia in mezzo al verde, fuori di casa. Il venticello pesante e l’umidità delle piante fuori, il sudicio e la puzza in casa. Solo disordine, solo silenzio. È rimasto questo della sua giovane vita.
Van Sant ha utilizzato pochissimi dialoghi, girando lunghi piani sequenza. Sembra un documentario naturalistico su una bizzarra creatura che a stenti, goffamente, girovaga in un assordante vuoto. In un nulla lontano da tutti e da tutto. Mentre tutto e tutti fuori lo aspettavano, ancora.
Prima di quello sparo che riportò quell’angelo lassù, in quel cielo da cui era caduto più di una volta.