Quel camion a Berlino che investe il Natale e l’umanità intera è una triste immagine del tempo inquieto che stiamo vivendo. Un momento storico molto difficile, in cui stanno venendo a mancare certezze e punti di riferimento. Una situazione storico-economica in cui la politica traballa e il popolo combatte ogni giorno tra maschere di facciata e patemi d’animo. Mai come adesso la festività natalizia deve essere un’occasione per tornare a credere. Nella storia del cinema, nessun film celebra lo spirito vero e autentico di questa festa come La Vita è Meravigliosa, capolavoro girato da Frank Capra nel 1946, settanta anni fa.
La straordinaria storia di George Bailey – interpretato da un immenso e irripetibile James Stewart – un uomo che dedica tutta la sua esistenza al servizio del prossimo sacrificando i suoi sogni, ci insegna quanto sia importante il senso di comunità. Nella piccola e rurale Bedford Falls, George, insieme allo zio paterno, dirige la Bailey Costruzioni e Mutui, una piccola e modesta cooperativa di risparmio fondata dal padre Peter. Si tratta dell’unico ostacolo che si trova davanti lo spregiudicato e odioso capitalista Henry Potter (Lionel Barrymore) che, possedendo la banca, tiene praticamente in pugno da anni la cittadina. Quando il padre muore, George rinuncia al tanto desiderato viaggio in Europa e al sogno di laurearsi per gestire la situazione dell’istituzione insieme allo zio.
Al fianco di George c’è la splendida Mary (Donna Reed), da sempre innamorata di lui, fin da piccina (poetica la sequenza in cui gli sussurra il suo amore nell’orecchio sordo). Quando si ritrovano ad una festa, l’attrazione tra i due è inevitabile e fortissima. Insieme decideranno di sistemare una casa e di sposarsi. Proprio nel giorno del loro matrimonio avviene un’altra sequenza emblematica. La società di Bailey, rimasta senza soldi in contanti, viene assalita da tutti i clienti, alle prese con i diversi guai che la vita presenta loro con costanza. Quando la situazione sembra precipitare, sarà proprio Mary a offrire tutti i soldi del loro viaggio di nozze per accontentare tutti.
Un giorno Potter, che ha l’ambizione di avere il dominio totale della città, arriva al punto di offrire a George un sostanzioso contratto, chiedendogli di fatto di chiudere la sua piccola società. Ma George rifiuta, in nome del padre, e in nome di tutti quei cittadini che Potter sfruttava e piazzava in catapecchie costose. Con l’opera di Bailey, tutti possono tornare invece a coltivare dei piccoli-grandi sogni. A tutti i suoi clienti, George non fornisce solo la sua professione, ma anche tutta la sua umanità, il suo altruismo e la sua generosità.
Diventato padre di quattro bambini, per George le cose si mettono malissimo una vigilia di Natale. Suo zio Billy, incaricato di versare in banca 8.000 dollari necessari per onorare una scadenza di pagamento, per sbadataggine perde di vista il denaro appena prima di consegnarlo all’impiegato. Quella somma, di vitale importanza, finisce nelle mani dell’inqualificabile Potter che, approfittando della sbadataggine dell’uomo, si sente ormai in pugno il controllo totale della città. Quando George viene a sapere dallo zio che i soldi sono spariti, crolla in preda allo sconforto e alla disperazione. Un fatto che significherebbe la chiusura della sua società con il conseguente scandalo pubblico da affrontare. La botta per George è talmente forte che tutte le frustrazioni e i sacrifici della sua vita riemergono implacabili.
Che senso ha avuto tutta la sua esistenza? A cosa gli è servito essere buono, onesto e disponibile con tutti? George perde la testa. Una volta rientrato a casa maltratta verbalmente i suoi famigliari, prima di decidere di farla finita. Decide di togliersi la vita gettandosi in un fiume, ma proprio mentre sta per compiere il gesto ne viene distratto all’ultimo momento da Clarence Oddbody, un angelo inviato da Dio che ha ascoltato le preghiere di tutti coloro che vogliono bene a George.
Clarence si getta nel fiume spingendo George a buttarsi anche lui, ma per metterlo in salvo. Trasportandolo in una realtà parallela e alternativa – come avviene con il fantasma del futuro ne Il Canto di Natale di Charles Dickens – egli mostra a George come sarebbe stato il mondo se lui non fosse mai nato: senza di lui, il fratello Harry, eroe di guerra e salvatore di molte vite umane, sarebbe annegato da bambino; il suo vecchio datore di lavoro, il signor Gower, avrebbe passato la vita in galera per l’avvelenamento accidentale di un bambino, lo zio Billy sarebbe stato internato in manicomio, l’amata moglie Mary sarebbe rimasta zitella, i suoi figli non sarebbero nati, la cittadina di Bedford si sarebbe chiamata Pottersville; la vita di molti abitanti e amici di George sarebbe stata miserabile.
È in quel momento che arriva a comprendere quanto valore e significato abbia avuto la sua esistenza e la sua dedizione al prossimo. Così corre, sotto la neve verso casa, desideroso di riabbracciare i suoi cari. L’ispettore lo aspetta per arrestarlo, ma lui è felicissimo e riabbraccia la sua famiglia. Sarà ancora una volta Mary a salvarlo: la moglie riesce infatti a fare in modo che i suoi amici e tutti i suoi clienti gli diano il denaro necessario per evitare la bancarotta. George è vivo, è salvo. Tutti gli hanno riconosciuto la sua bontà d’animo e il suo altruismo e lo hanno ripagato. Tutti cantano, è Natale.
Quello che riceve George è il “il più grande regalo” che potesse avere, The Greatest Gift, cioè il contenuto dell’omonimo racconto di Philip Van Doren Stern, da cui il film è tratto. I diritti vennero acquistati dal capo della RKO che propose il soggetto a Cary Grant e ne affidò l’adattamento ad altri (fra cui Dalton Trumbo) ma senza crederci troppo. Infine, nel settembre del 1945, lo svendette per 10000 dollari alla nuova compagnia di Capra, la Liberty Films. Il regista non potè contare sull’abituale sceneggiatore Riskin (perché già impegnato) e lavorò al copione con Goodrich e Hackett. A spingere perché il film si realizzasse fu lo stesso James Stewart, interprete di George.
Il 15 aprile del ’46 le riprese hanno inizio e terminano a luglio. Per la cittadina di Bedford Falls, Capra non badò a spese facendo costruire uno dei più grandi set mai utilizzati a Hollywood fino ad allora, su un’area di 16000 metri quadrati, dove si piantano persino alberi veri. E 300 tonnellate di neve sintetica (ad opera, pare, dell’esperto chimico Frank Capra) riempirono la sequenza fantastica di Natale. Il budget totale ammontava a tre milioni di dollari, ma al botteghino non si coprirono neanche le spese, nonostante le cinque nomination agli Oscar.
La Vita è Meravigliosa mantiene ancora intatta la sua verità natalizia: che la vita è un dono prezioso di Dio. Nessun uomo, se circondato da amici, si può considerare un fallimento. Un messaggio che lo stesso Frank Capra definì così nella sua autobiografia: “questo è il più bel film che avessi mai fatto. Era il film per la mia gente, il film che avevo voluto fare da quando avevo posato per la prima volta l’occhio contro il mirino della macchina da presa in una palestra ebrea di San Francisco. Un film per dire ai depressi, agli sconfortati, ai disillusi, ai barboni, ai poveracci, alle prostitute, che nessun uomo è fallito!”.
Impossibile non commuoversi ogni volta che si rivede la pellicola di Capra. Soprattutto oggi, in questo mondo che sanguina e che sembra farci perdere di vista l’orizzonte e il futuro. George incarna questo stato d’animo inquieto, di chi però non molla mai, di chi combatte per un obiettivo, contro tutto, contro tutti. Il suo personaggio ci insegna però che la frustrazione non deve lasciare spazio alla rabbia e soprattutto alla sfiducia. Non può esserci situazione peggiore, quella di non credere più a nulla, senza coraggio. Invece oggi più che mai occorre rivedere questo film per capire una volta di più l’importanza della nostra esistenza e delle persone che ci stanno a fianco.
Solo con questa consapevolezza condivisa si può tornare ad apprezzare il senso di comunità e di condivisione. Perché in fondo la vita è meravigliosa.
“La vita di ogni uomo confina con la vita di molti altri. E se quell’uomo non ci fosse creerebbe un vuoto terribile”.
Giacomo Aricò