Ispirato all’omonimo romanzo del 2015 di Martha Batalha, giovedì 12 settembre arriva al cinema La Vita Invisibile di Eurídice Gusmão, il film diretto da Karim Aïnouz premiato al 72° Festival di Cannes – Premio Miglior Film Un Certain Regard e designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.
Il film
Rio de Janeiro, 1950. Nella famiglia conservatrice Gusmão, Eurídice (Carol Duarte), 18, e Guida (Julia Stockler), 20, sono due sorelle inseparabili che trovano l’una nell’altra uno spazio sicuro per le loro speranze e aspirazioni. Mentre Guida vede nella sorella una preziosa confidente per le sue avventure amorose, Eurídice trova nella vivace sorella maggiore l’incoraggiamento di cui ha bisogno per perseguire il suo sogno di diventare una pianista professionista. Un giorno, stanca di vivere sotto le rigide regole del padre Manoel (Antònio Fonseca), Guida intraprende un’impetuosa storia d’amore con un marinaio e decide di seguirlo in Grecia. Quando mesi dopo Guida torna a casa single e incinta, Manoel la bandisce brutalmente da casa e le dice che Eurídice è partita per studiare musica a Vienna e non vuole avere ulteriori contatti con lei. Per proteggere l’onore della sua famiglia, Manoel tiene Eurídice, ora sposata, all’oscuro del ritorno di Guida impedendo ogni contatto tra loro.
Guida e Eurídice cercano di prendere il controllo dei loro destini separati, senza mai rinunciare alla speranza di potersi ritrovare. Mentre Guida combatte ogni giorno per vivere una vita dignitosa come madre single, Eurídice lotta per essere sia la perfetta casalinga, sia una musicista professionista. Senza l’appoggio reciproco, le sorelle dovranno trovare da sole la forza di superare gli ostacoli che impediscono loro di diventare le donne che avrebbero potuto essere. Tra le difficoltà quotidiane, la più grande battaglia è contro il destino che le ha separate. Si ritroveranno in tempo per superare l’oppressione che tenta di soffocarle?
Karim Aïnouz racconta…
“Sono stato profondamente commosso dalla lettura del libro di Martha Batalha. Ha innescato vividi ricordi della mia vita. Sono cresciuto nel Nord-Est del Brasile conservatore degli anni ’60, in una famiglia composta in maggioranza da donne – una famiglia matriarcale in un contesto iper-machista. Gli uomini erano spariti o spesso assenti. In una cultura patriarcale, ho avuto la grande possibilità di far parte di una famiglia in cui le donne avevano i ruoli principali. Ciò che mi ha spinto ad adattare La Vita Invisibile di Eurídice Gusmão, era il desiderio di rendere visibili molte vite invisibili, come quelle di mia madre, mia nonna, le mie zie e tante altre donne di quel tempo”.
“Le loro storie non sono state raccontate abbastanza, né nei romanzi, nei libri di storia né nel cinema. Come reagiva una donna negli anni ’50 quando aveva il suo primo rapporto sessuale con il marito? Com’era non voler rimanere incinta prima dell’avvento dei contraccettivi? Come poteva una madre single crescere un bambino in un ambiente che la escludeva in un modo così brutale? Non possiamo dare per scontate queste domande. La sfida consisteva nell’affrontarle da un punto di vista intimo – ed è questo che il romanzo fa con tanta intelligenza. Ho scelto il genere del melodramma come una strategia estetica radicale per delineare una critica sociale dei nostri tempi, visivamente splendida e tragica, grandiosa e cruda. Volevo creare una storia che facesse luce su un capitolo invisibile della storia delle donne”.
“Ero intenzionato a raccontare una storia di solidarietà, una storia che sottolineasse il fatto che siamo molto più forti insieme di quanto lo siamo da soli, indipendentemente da quanto potremmo essere diversi. Con La Vita Invisibile di Eurídice Gusmão, ho immaginato un film pieno di sensualità, di musica, di dramma, lacrime, sudore e mascara, ma anche un film gravido di crudeltà, violenza e sesso; un film che non ha paura di essere sentimentale, più grande della vita stessa – un film che battesse con i cuori delle mie due amate protagoniste: Guida ed Eurídice”.