Vincitore del Premio come Miglior Film alla sezione Orizzonti della 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, giovedì 10 settembre uscirà nelle sale italiane Manta Ray, il lungometraggio d’esordio di Phuttiphong Aroonpheng. Una pellicola dove batte forte un cuore umanista, un film affascinante sullo sconosciuto, suadente e ipnotico, alla maniera dell’andamento dell’animale marino da cui prende il nome.
Il film
La storia di Manta Ray comincia in una foresta vicino a un villaggio costiero: un giovane pescatore dal biondo capello ossigenato (Wanlop Rungkamjad) s’imbatte in un uomo ferito e privo di sensi (Aphisit Hama) e decide di prestare immediatamente soccorso, portandolo al sicuro in casa propria. Lo sconosciuto però non proferisce parola, forse è muto oppure troppo scosso dal proprio viaggio per riprendere a parlare. Il pescatore decide quindi di assegnargli il nome di una pop star thailandese, Thongchai. Da lì a poco s’instaura un forte legame tra i due, fino a quando una mattina il pescatore scomparirà in mare (ma è una vera scomparsa? O solo il preludio di un ritorno inaspettato?). Thongchai lentamente, e quasi inesorabilmente, si ritroverà a prendere il suo posto, abitando nella sua casa, vivendo del suo lavoro e convivendo con la sua ex moglie (Rasmee Wayrana).
Il dramma dei Rohingya
Come è noto, migliaia di rifugiati Rohingya ogni anno sono costretti ad abbandonare la Birmania – ufficialmente Repubblica dell’Unione del Myanmar -, perché perseguitati, e avventurarsi per mare alla ricerca di una terra più sicura che possa accettarli. Un viaggio che spesso porta alla morte, con il rinvenimento dei cadaveri annegati anche sulle spiagge thailandesi. Del resto, ai Rohingya è dedicato in apertura Manta Ray, ma questo dramma della cronaca e della storia dei nostri anni nel film va oltre il cinema del reale e concede spazio ad una narrazione che accarezza il surreale, l’inconscio, dove l’immagine supera il contenuto e lo scaraventa nel territorio visionario dell’onirico.
Una voce da non dimenticare
Manta Ray è il primo lungometraggio del regista tailandese Phuttiphong Aroonpheng che così lo presenta: “il film evoca e racconta i corpi sconosciuti che annegano nel mare della Thailandia e vengono sepolti nelle profondità della terra: sono i corpi dei rifugiati Rohingya, la cui voce rimane inascoltata. Al contrario, questa voce non deve scomparire, né venire dimenticata. Io l’ho registrata, perché voglio che continui a esistere, nel mio film”.